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Il gettone consiliare può far bene o può far male?

La questione dell'emendamento Gialletti fa discutere "A destra e a manca" e impegma Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella. L'impegno politico è gratuito o a pagamento? Contributo di Flavio Zambelli

foto di copertina

Caro Franco,
vorrei inserirmi nel dibattito sul gettone di presenza ai consiglieri comunali, che il Direttore Dante Freddi ha trasferito dalla cronaca spicciola alla sfera dei principi. Soprattutto per stimolare un tuo intervento che, avendone parlato con te, ritengo utile e opportuno.
Per la cronaca, dico subito che la famosa mozione Gialletti per ripristinare i gettoni di presenza dei consiglieri comunali è stata osteggiata dal centrosinistra (non compattamente, avendo votato a favore i consiglieri Tonelli e Meffi) esclusivamente per dispetto. Mentre è stata approvata dal centodestra (compattamente, me compreso) esclusivamente per premio. Infatti il socialista Gialletti aveva dichiarato che avrebbe votato a favore del bilancio proposto dalla giunta Concina e quindi s'era meritato premi e castighi.
In questa curiosa vicenda, possono vantare la virtù della coerenza solo Evasio Gialletti (che è stato sempre un geloso custode della dignità e delle prerogative del consiglio comunale), Carlo Tonelli (che ha sempre respinto la facile demagogia che circola in materia) e Roberto Meffi (che ha voluto ricordare al partito democratico di non essere un soldatino ubbidiente, come la tradizione comunista, che non è del tutto spenta in quel partito, imporrebbe).
Quanto ai principi, mi sembra valida, anche perché collaudata da una lunga tradizione, la distinzione tra l'esercizio professionale della funzione pubblica (ad esempio, il funzionario comunale che  fa quel lavoro per mestiere, cioè per vivere) e l'esercizio "onorario", cioè per elezione popolare temporanea  (ad esempio, il sindaco e i consiglieri comunali) o per nomina temporanea da parte di un eletto (ad esempio, gli assessori comunali).  La presenza di figure intermedie (come i dirigenti con incarico temporaneo e tutti quelli che buscano la pensione passando dal lavoro di partito e di sindacato a cariche politiche, e viceversa) non smonta l'antica distinzione. Vale a dire che una cosa è la posizione economica nella società (lavoro dipendente, o imprenditoriale, o professionale, o casalingo, o semplice godimento di rendita da pensione o da capitale), altra cosa è l'esercizio (per sua natura transitorio, almeno nel sistema democratico) di una carica politica.
Ne deriva che le indennità attribuite dalle leggi ai politici fin da quando il suffragio universale si è affermato su quello censitario (nel quale solo i ricchi eleggevano ed erano eletti) non sono retribuzioni, non hanno natura di salari o stipendi, ma sono indennizzi a ristoro della diminuzione di reddito, o almeno di libertà, che l'esercizio della carica pubblica comporta. Chi è investito di una carica politica è retribuito semplicemente con l' "onore" di servire la comunità, non solo elargendo servizi essenziali, ma anche imponendo i relativi oneri. E, per avere questo onore, sono  molti a concorrere per poche cariche. Anche se non manca chi mira più all'indennità che all'onore.
Il nostro Direttore è andato a scavare nel sistema delle indennità e vi ha trovato ingiustizie e incongruenze. Potrei metterci del mio per aggravare la soma. Mi limito a osservare che quel sistema è soggetto a continui rimaneggiamenti (l'ultimo è del 31 maggio scorso) a seconda del prevalere delle esigenze di contenimento della spesa pubblica, dell'abitudine al finanziamento occulto dei partiti o della paura del malcontento popolare per i costi della politica.
Quel che deve restare fermo, secondo me, è il concetto della politica come il servizio più onorevole e onorifico che si può fare alla comunità e non come un mezzo per sbarcare il lunario.
Tuo Pier

Caro Pier,
è certamente opportuno che anche noi, vista la piega che ha preso la faccenda, ci occupiamo del gettone di presenza ai consiglieri comunali. Senza dimenticare però che non è questo l'aspetto caratterizzante il Consiglio dello scorso 18 giugno. Sul quale appunto torneremo presto. Tu hai riassunto bene i comportamenti sull'emendamento Gialletti: quella è la realtà e io non vi aggiungo nulla. Vengo perciò al merito e anche ai principi, sapendo però che quando si toccano questi il discorso diventa sempre delicato.
Parto dalla questione di opportunità, che ha posto con nettezza il nostro amico Direttore. A mio parere Gialletti (si è trattato di una scelta sua, anche se in linea con una lunga tradizione del gruppo socialista) ha preso un'iniziativa saggia e opportuna, sia in sé che in quel particolare contesto, per la semplice ragione che al centro delle decisioni di quella seduta non c'erano i tagli, ma l'inizio di una strategia di risanamento e sviluppo, nella quale e per la quale il ruolo del Consiglio comunale deve essere affermato, quantitativamente e qualitativamente, come determinante. Perciò contrapporre il gettone di presenza, peraltro solo simbolico e senza aumentare di un euro il capitolo in cui erano state previste le indennità per gli amministratori, ai sacrifici che nel contempo venivano richiesti ai cittadini, a mio parere è pura demagogia. Le iniziative, appunto demagogiche e denigratorie che ne sono seguite, evidentemente per solleticare il ventre della città più incline alla maldicenza, ne sono la logica indiretta controprova.
In secondo luogo bisognerebbe riflettere adeguatamente sul senso che sta assumendo la politica nelle attuali circostanze che coinvolgono la nostra città. Il consiglio del 18 giugno segna indubbiamente un punto di svolta: lì non è successo solo che si è approvato un bilancio che solo pochi mesi fa sembrava impossibile costruire, evitando con ciò il commissariamento, ma si sono gettate le basi di un modo nuovo e diverso, e possibile, di intendere la politica, se non altro perché sono saltati quasi tutti gli schemi che eravamo abituasti a considerare immodificabili. Dunque situazione incerta, ma di sicuro aperta. Però questa apertura non potrà avere seguito se il Consiglio comunale nel suo insieme ed i singoli consiglieri (come individui e come espressioni di partiti e movimenti) non saranno capaci di autostima e di autonomia di ruolo, e se nel contempo i cittadini a loro volta non saranno disposti sia a concedere loro la stima necessaria che ad esaltarne il ruolo. In sostanza, la questione investe direttamente anche la responsabilità dei cittadini, che non possono chiedere ai consiglieri che loro stessi hanno eletto di essere proni a chi vorrebbe ridurli a pure comparse o ridicole marionette. Il gettone - lo ripeto, puramente simbolico - tende oggettivamente a sottolineare in particolare quest'esigenza.
Di qui, in terzo luogo e come questione di principio essenziale, la politica da contrapporre all'antipolitica. Sono convinto che la questione del gettone andava comunque posta, in quello o in altro momento, perché in un regime democratico qualunque classe dirigente che voglia considerarsi ed essere considerata tale non deve concedere nulla all'antipolitica, che è di per sé l'anticamera inconsapevole, spesso purtroppo per diffusa ignoranza o sottovalutazione e indifferenza, della liquidazione consapevole e programmata della democrazia. Lo ha spiegato Carlo Tonelli e non vi insisto oltre. Semmai annoto la preoccupazione, che spero sia presente in altri, e in te di sicuro, per la disinvoltura con cui si liquidano questioni così delicate.
Poi, da ultimo, c'è il tema parimenti cruciale della natura delle indennità connesse con le cariche pubbliche, che tu hai giustamente individuato nella distinzione tra l'esercizio professionale e quello "onorario" della funzione pubblica, per cui l'indennità non può avere mai natura di stipendio, ma solo di indennizzo "a ristoro della diminuzione di reddito, o almeno di libertà, che l'esercizio della carica pubblica comporta". E la conseguenza è che prima viene l'"onore" di servire la comunità e poi il resto, compresa l'indennità o il gettone. D'accordo con te, ma ciò non contrasta con la previsione di indennità e gettoni, se essi mantengono la natura di indennizzo e non diventano stipendio. E comunque vale per tutti, per cui non si capisce come si possa reggere un ragionamento sull'esclusione delle indennità che riguardi solo i consiglieri comunali, o addirittura solo i consiglieri comunali di Orvieto. Né regge il rapporto che il nostro Direttore pare voler stabilire tra livello di gettone e tipo di professione: il riconoscimento del diritto ad un'indennità di carica o ad un gettone per la partecipazione ai lavori di un'assemblea elettiva non possono che essere indipendenti da chi sono coloro che ne beneficiano, perché quel che conta non è chi sono e quale professione svolgono, ma la carica che ricoprono. Può piacere o no, ma questa è la democrazia.
Altra cosa invece è il diritto/dovere di risparmiare il più possibile, fino al punto, in certi momenti come può essere quello attuale, di attestarsi su riconoscimenti puramente simbolici, o l'opportunità della rinuncia  totale o parziale ad essi, per particolari ragioni, individuali o di gruppo.
In ogni caso, e comunque la si pensi, non si dovrebbe scantonare dalla domanda: che qualità di eletti o di incaricati di responsabilità pubbliche si vuole? Si è proprio sicuri che il rapporto inversamente proporzionale tra costi e qualità delle prestazioni sia la strada giusta? Non ci sono forse numerose esperienze, anche ad Orvieto, che dicono esattamente il contrario? L'alternativa evidentemente è il puro volontariato, naturalmente per legge. E le conseguenze non vale nemmeno la pena di elencarle. Vogliamo dire con Orazio "dulce et decorum est pro patria mori" (è dolce e decoroso morire per la patria)? No, di sicuro nessuno vuole arrivare a tanto; era solo per introdurre un'esagerazione.
Caro Pier, francamente non pensavo che una questione così marginale potesse assumere un rilievo tanto grande da oscurare perfino il significato e le conseguenze di un bilancio approvato in quel modo e con quei voti. Ma in fondo va bene anche questo, purché se ne tragga insegnamento, il principale essendo, dal mio punto di vista, che nessuno deve dimenticare che il consiglio comunale è la prima e fondamentale espressione della democrazia e che la democrazia non può non avere dei costi che non possono che gravare sui cittadini elettori. Se non si accetta questo principio, si deve coerentemente sostenere che deve sparire ogni indennità e ogni finanziamento alla politica sotto qualsiasi forma. Non solo mi pare che le cose non stiano cosi (peraltro, seppure in modi diversi, in tutte le parti del mondo), ma potrebbero stare così solo in sistemi fondati sul censo e sul privilegio. Si vuole risparmiare ed avere nel contempo più qualità? Si abbia il coraggio, da una parte di diminuire enti e inutili prebende, e dall'altra di legare una giusta indennità o gettone che sia ad una vera selezione del personale politico.
Tuo Franco


da Flavio Zambelli

La questione del gettone di presenza ai consiglieri comunali offre lo spunto per trattare del tema molto più importante del finanziamento pubblico ai partiti e alla politica in generale. Non c'è dubbio che i costi della politica, e dei rappresentanti politici nei vari enti istituzionali, hanno una loro spiegazione logica: se si vuole rispettare il corretto funzionamento della democrazia , è necessario svincolare i rappresentanti del popolo, e i partiti che candidano questi rappresentanti, dal controllo delle lobbies economico-finanziarie, dalle multinazionali e dai forti gruppi di pressione in generale. Senza questa separazione netta, il parlamentare (e quindi anche il partito di provenienza), non è libero nelle sue scelte e nelle sue determinazioni. E senza questa libertà e autonomia di giudizio, non decide nell'interesse della collettività , ma nell'interesse di poche oligarchie finanziarie e gruppi di potere. Per realizzare questo obbiettivo è fondamentale che il servizio offerto dal rappresentante del popolo, sia giustamente remunerato, per evitare che quella "remunerazione", la vada a cercare da altre parti e  da altri soggetti economici,  che sfuggono al controllo trasparente dell'opinione pubblica. Questa è la giusta enunciazione di principio, che giustificò l'introduzione in Italia del finanziamento pubblico ai partiti. In realtà abbiamo visto che i soldi non bastano mai per mantenere certi apparati clientelari; ragion per cui, il più grande scandalo politico in assoluto scoppiò proprio in Italia , negli anni'90 con il nome di "Tangentopoli". L'inchiesta "Mani pulite" evidenziò che l'intreccio tra politica e alta finanza e grandi imprese, era molto più esteso di quello che si potesse immaginare. Questo altera il corretto svolgimento della dialettica democratica; e altera pure il corretto funzionamento del mercato e della concorrenza.  Non vengono premiate le imprese più meritevoli, ma quelle che pagano meglio il politico,o il partito, di turno al governo. Ho usato il presente, perché gli scandali politici e gli intrecci finanziari, non sono finiti con Tangentopoli, ma al contrario sono una terribile attualità .Vedi lo scandalo della Aziende che vincevano gli appalti della Protezione civile. A consolare il cittadino medio di questa realtà è la situazione nella più grande democrazia del mondo: gli Stati Uniti ; dove il liberismo economico è considerato pane quotidiano. Ebbene proprio in questo grande Paese, i candidati alla Presidenza se non sono espressione delle grandi famiglie politiche americane (Repubblicani e Democratici), non vengono mai eletti; vedi gli stramiliardari come Ross Perot e Ralph Nader. Detto questo, in un momento dove sono richiesti sacrifici per il risanamento del bilancio di Orvieto, basta anche un modesto gettone per i consiglieri, a far inalberare i cittadini. Se il gettone è legittimo per i ragionamenti da me sopra esposti, è contestabile sotto il profilo dell'opportunità del momento. Concordo quindi con l'analisi di Dante Freddi in un suo precedente articolo.



 

La rubrica di Orvietosì  oggi "A Destra e a Manca" è alla trentasettesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 28/06/2010

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