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Sulla responsabilità del potere: l'anatra zoppa, le frange lunatiche e il Simposio di Platone

A DESTRA E A MANCA. Riaffermazione della politica come progetto e prospettiva. Contributo di Dante Freddi, Mario Tiberi, Massimo Gnagnarini, Flavio Zambelli

foto di copertina

Caro Franco,

l'anatra zoppa non l'abbiamo inventata noi, ma è prevista, come eventualità, da una legge democratica. Il corpo elettorale orvietano, tra le scelte consentite dalla legge, ha voluto un sindaco moderato e una maggioranza progressista. Si può bofonchiare quanto si vuole, a destra e a manca, ma le cose stanno così. Sindaco e consiglieri sapevano, o avrebbero dovuto sapere, che si sarebbe potuta creare una situazione del genere. Conseguentemente hanno il dovere di governare. Le persone d'onore non scappano di fronte alle difficoltà, ma resistono coraggiosamente fino a quando è ragionevole resistere. Credo che i cittadini che non si occupano direttamente di politica, a parte le frange lunatiche (lunatic fringes, secondo i sociologi americani), abbiano poca voglia di tornare a votare. Invece spingono per il voto, sia a destra che a sinistra, coloro che stanno fuori dal Comune e vorrebbero direttamente o indirettamente entrarci. A sinistra fanno leva sul sentimento di rivalsa. A destra sul senso di delusione. Né bisogna farsi fuorviare dalle eccezioni, che, come è normale, confermano la regola.

Mentre stavo rimettendo a fuoco questi concetti (in verità, con una certa noia) mi sono ricordato di uno scritto politicamente scorretto e cristianamente inquietante di Vittorio Messori. Sono andato a ricercarlo e te ne trascrivo i passi più forti. "Tra gli infiniti uomini che, in tutto il mondo e in tutti i tempi, gestirono il potere (a qualunque livello; da quello supremo, a quello intermedio, a quello infimo) sembra che proprio nessuno abbia saputo andarsene se non costretto dalla morte, dalla forza, da una legge cui non ha saputo opporsi []. Perché questa vischiosità del potere, questa tenacia nel comando (grande o piccolo che sia), questo non sapere rinunciare al gusto di una simile mela, una volta assaggiata? Una tale ostinazione universale nel difendere a ogni costo le poltrone (o anche solo le sedie e gli sgabelli) è ancora più sorprendente se si riflette che ha poco a che fare con la logica []. Ci ho spesso riflettuto, giungendo alla conclusione che il potere appartiene forse alla stessa, misteriosa dimensione dell'amore, ed entrambi rinviano al mistero di Dio. In effetti, per loro natura, sia il potere che l'amore tendono all'eterno: non c'è nessuno che non desideri avere il potere "per sempre"; e non c'è amore vero che non spinga a giurare all'amato o all'amata di amarlo (o di amarla) "per sempre" []. In effetti, a ben rifletterci, l'amore rinvia al mistero della "fecondità" di Dio; il potere a quello della sua "autorità". E, dunque, questa pretesa, questa illusione di eternità di chi governa è forse, a suo modo, traccia di un Mistero che lo sovrasta, anche se non ne è consapevole".

Meglio disquisire di queste cose (sulle quali hai senz'altro molto da dire, così come credo che abbiano molto da dire il nostro amico Mario Tiberi e, se trova il tempo, il nostro direttore Dante Freddi) che del bilancio, che sarà probabilmente approvato in un mare di chiacchiere, con le quali tutti cercheranno di pararsi (e salvarsi) il deretano.

Tuo Pier

 

Caro Pier,

tento di tradurti a mio esclusivo uso e consumo. Tu in sostanza dici: l'anatra zoppa c'è, non è un caso fortuito che ci sia, e in ogni caso nessuno può far finta di non sapere che si tratta sì di un'anomalia del sistema, ma di un'anomalia pur sempre prevista dal sistema stesso; l'ha voluta il popolo secondo le regole, e dunque nessuno può sottrarsi al dovere di governare anche in tale "anomala" condizione; di conseguenza le elezioni anticipate, soprattutto se fatte nelle condizioni attuali, e nell'assunto - anche per me fondato - che il popolo non le voglia, non solo non sono necessarie come superamento dell'anomalia, ma sarebbero un cedimento alle "frange lunatiche" (lunatic fringes), la cui ambizione è solo quella di avere il potere che oggi non hanno. Di seguito conseguentemente ti chiedi: come si spiega questo desiderio di potere, anche piccolo o piccolissimo, dunque non necessariamente legato a vantaggi? Si può spiegare con quanto dice Vittorio Messori a proposito del legame strutturale del potere, così come dell'amore, con il desiderio di eternità e di congiunzione con Dio?

Anche se non concludi in modo esplicito e inviti me a dare la risposta insieme agli altri amici, il tuo ragionamento è chiaro e coerente. Cercherò dunque di rapportarmici anch'io con pari coerenza e chiarezza, cominciando proprio dall'anatra zoppa. Essa è indubbiamente, come già detto, un'anomalia del sistema, che nella sua normalità prevede una maggioranza che governa e una minoranza che vi si oppone (il modo in cui lo fa è altra questione), cercando a sua volta di diventare maggioranza. Ma la maggioranza che è tale troppo a lungo senza essere realmente insidiata, e senza essere perciò costretta a reinventarsi il consenso mediante uno sforzo vero di miglioramento, tende inevitabilmente ad impoverirsi sia nei contenuti che nei metodi, fino a sclerotizzarsi nelle logiche chiuse ed arroganti dei clan. L'anatra zoppa è in questi casi quell'imprevisto che il sistema ammette come prevedibile in quanto strategia di autodifesa, salutare reazione e fase di riflessione in vista del necessario ritorno alla normalità, che però può diventare possibile solo se almeno una parte della classe dirigente, reale o potenziale, vecchia o nuova, trova in sé le ragioni e la forza per aspirare ad una nuova legittimazione. In altri termini, il ritorno alla normalità della dialettica democratica (maggioranza che governa e minoranza che vi si oppone per diventare a sua volta maggioranza) non è un automatismo. Essa richiede che se ne creino le condizioni, ciò che non può avvenire senza il più lucido esercizio della responsabilità, che è intrinsecamente connesso con la libertà di pensiero e di azione, su cui a sua volta si fonda la democrazia.

Il punto cruciale su cui a mio parere vale la pena di riflettere per comprendere o, se si preferisce, per dare senso al potere nella sua dimensione pubblica, è proprio l'esercizio della responsabilità come sua stessa essenza. Ci si deve chiedere: può esserci potere senza responsabilità? La risposta non può che essere negativa, perché un potere irresponsabile può esistere solo laddove siano state eliminate tutte le regole, perfino quelle primordiali che garantiscono la semplice sopravvivenza. Ma responsabilità rispetto a chi e a che cosa? Ovviamente rispetto a se stessi e agli altri, ma anche rispetto alla collettività e alle cose che ad essa appartengono, comprese quelle immateriali, come ad esempio il futuro e la speranza, che del futuro è parte integrante. In tale prospettiva l'esercizio del potere nella dimensione pubblica mi appare più come un dovere assimilabile in qualche modo ad un servizio civile che non quella difesa ad ogni costo delle poltrone e degli sgabelli di cui parla Messori nello scritto che hai citato.

Non ti sembri strano, ma a questo proposito mi viene in mente Platone, che pure è così lontano, per tempo e temperie culturale, dalla democrazia moderna. Anche Platone infatti parla di amore e potere. Ne parla, prima del cristianesimo, stabilendo tra i due termini un nesso molto forte, inscindibile. L'amore (Eros) è l'elemento divino che da una parte è legato all'apparenza e all'inganno, e dall'altra però apre alla verità, al mondo dell'eterno, dell'immutabile sottratto alla precarietà del tempo (cfr. il Simposio). Tocca al filosofo imparare a distinguere l'una e l'altra dimensione e tocca perciò al filosofo conoscere per governare, non a caso dopo un lungo periodo di apprendimento (non meno di cinquant'anni!) inteso come ascesa dall'ignoranza alla conoscenza delle verità ultime. Potere e amore, come si vede, si congiungono in quanto tensione dell'uomo verso la perfezione, abbandono del contingente e aspirazione, desiderio, di perfezione. L'analisi del desiderare è particolarmente rilevante. Il desiderio è la tensione verso l'altro, è l'uscita da sé per l'incontro con l'altro da sé, ciò che mi fa chiedere chi sono io in quanto denuncia la mancanza in me di qualcosa, il mio essere parziale e incompleto, essere finito che come tale o si accontenta di restare nella dimensione della parzialità o aspira ad ascendere in quella dell'infinito e dell'eterno, nei diversi modi in cui ciò può avvenire.

La psicologia moderna ha tentato di dare una spiegazione non religiosa di questa aspirazione e ne ha individuato l'elemento fondante in due paure che connotano la dimensione umana: la solitudine e la dispersione. Da qui il desiderio dell'altro per vincere la prima e il desiderio di identità per vincere la seconda, cioè il bisogno di comunione e di condivisione per non essere ridotti solo a polvere ("pulvis es et in pulverem reverteris!". Genesi 3, 19) e la connessa affermazione di una identità riconoscibile da noi stessi e riconosciuta dagli altri. In questo senso credo si possa dire che amore e potere coincidono nell'esaltare la finitezza dell'uomo, che genera per converso, consapevole o no che egli ne sia, la sua tensione all'infinito, anche e soprattutto nella dimensione religiosa.

Insomma, caro Pier, a mio avviso questo aspetto particolarmente rilevante della natura umana che è il desiderio di potere si può leggere in diversi modi, ma la lettura che a me pare più convincente è quella che ne sottolinea il legame con la libertà individuale moderna e dunque con l'esercizio della responsabilità civica, nella quale può convergere sia l'aspirazione all'eterno di natura religiosa sia l'aspirazione squisitamente laica a non vedere dispersa la propria identità e la propria opera nel mondo.

A noi spetta, qui ed ora, appunto l'esercizio della libertà e della responsabilità civica, perché abbiamo il dovere di non disperdere noi stessi e quello di contribuire a non disperdere la comunità alla quale apparteniamo. Di conseguenza nessun cedimento alle "lunatic fringes" in salsa orvietana, nessun appiattimento sulle meschine aspirazioni al potere spicciolo, nessuna tenerezza verso gli interessi particolari e contingenti. E, al contrario, riaffermazione della politica come progetto e prospettiva. Voglio credere che questo sarà il timbro della discussione, nelle sedi politiche e istituzionali, sulle modalità, le basi programmatiche e i tempi, del superamento dell'anatra zoppa. Sono convinto che da te verrà un importante contributo in tal senso.

Tuo Franco


da Dante Freddi

Amici carissimi, questa volta avete elevato il ragionamento ad altezze inebrianti e se manca abbondante ossigeno filosofico  si corre il rischio  di rimanere senza fiato.
Mi scuserà Franco se anziché Platone, con cui non ho particolare frequenza, contribuirò al ragionamento sul potere con un proverbio siciliano, ripreso in ogni regione italiana e probabilmente vivo  in ogni paese del mondo. E' un'affermazione che constata la continuità e immutevolezza di alcuni atteggiamenti individuali, che assumono valore universale e divengono così modello di comportamento sociale codificato da proporre come insegnamento basilare di vita: "Megghiu cumannari ca futtiri" . Meglio comandare che fottere.
La condizione del "comandare" è contrapposta al massimo del piacere per noi animali, che è il "fottere".
Forse il ragionamento è più semplice di quanto non sembri, seppure può sopportare argomentazioni filosofiche e religiose: il piacere sostiene la straordinaria fatica del comandare, come lo fa in quella del riprodurre. Tutto il resto è pensiero, che cerca i motivi di come siamo o di come dovremmo essere nella nostra cultura e si specializza in filosofia o antropologia o scienza politica e sociologia  o religione.
Non so esattamente perché, ma in Sicilia e in Italia e nel mondo, è stato accertato, è un fatto popolarmente formalizzato, "cummannari" è meglio che "futtiri".
Ultimamente però, è stato rilevato e diventerà presto saggezza popolare nostrana cristallizzata  in un proverbio, "E' mugghiu  cummannari e futtiri".
Un abbraccio


da Mario Tiberi

Amici miei carissimi,

      il livello del dibattito politico-culturale di "A destra e a manca" si sta elevando, per meriti "magis" vostri e "minus" nostri, in linea talmente esponenziale che la mia povera mente ne risulta sbattuta da vento maestrale e agitata da vortici risucchianti.
Sarà stato caso fortuito o, come meglio credo, provvidenziale congiunzione di benevolenza astrale ma, sia io che Franco, abbiamo affrontato in sincrono il tema della solitudine e della dispersione per trarne ragioni di superamento delle amarezze e delle delusioni esistenziali nella prospettiva di una robusta ricarica energetica in vista dell'impegno civico che la Città, nostra madre, sta a gran voce reclamando ai suoi figli migliori. Non ci tireremo indietro, perché siamo ad Essa fedeli e mai stati volgari traditori.
Al dotto ragionamento di Pier Luigi, mi permetto di contribuire con la seguente "parva integratio": il potere sugli accadimenti e sulle persone, per sublimarsi, necessita di metamorfosi da "Eros" in "Agape" (in latino da Affectio a Caritas) per poter aspirare a divenire messianico strumento di edificazione di una convivenza civile, all'interno della quale, il Bene Comune sia principio e fine.
Platone, nell'Apologia di Socrate, esortava gli Ateniesi a mai temere la morte, come del resto tutte le entità non conosciute, proprio perché ignota e, dunque, di fatto a noi estranea.
Anche il futuro ci è ignoto e non va quindi temuto: va solo e semmai costruito con le armi affilate e raffinate della sana politica, sostanziata da programmi ingegnosi e da progetti di altrettanto spessore.
Diletto Direttore, la saggezza dei Siciliani è notoria. In occasione della laurea di un caro amico, di cognome Pica, ho a lui dedicato una epode che così si concludeva: "allora viva il Pica e viva la Pica e, se anche la vuoi col PH neutro, godine comunque a bizzeffe, basta cambiare la Pi con la Effe!".
Tra il serio e il faceto, è Orvieto che ci attende: non la deluderemo!.
Il Vostro amico che Vi saluta affettuosamente.


da Massimo Gnagnarini

Questo fine settimana l'ho trascorso a Barcellona dove mia figlia Marta vive e lavora. In questi giorni in Catalugna e in tutta la Spagna si discute sul disegno di legge del governo Zapatero per la scristianizzazione delle cerimonie e dei luoghi pubblici nel rispetto della laicità dello Stato.
Non interessa qui affrontare l'argomento, ma ne traggo spunto per inserirmi nel vostro dibattito sul potere e sulle sue muse. Posto che il potere è necessario perché serve a tenere uniti in un unico destino miliardi di persone, il suo esercizio si complica assai quando insieme al bene comune esso può e deve corrispondere al bene di ciascun individuo.
Non so se all'uopo sia più consono un approccio meccanicistico piuttosto che uno umanistico. L'aria che tira nel nostro vecchio continente sembrerebbe, con il relativismo imperante, propendere per il primo. Certo non è né esaltante né appassionante un' Europa ridotta a un megacondominio dove al massimo si può discutere del colore delle tapparelle piuttosto che degli ingredienti di un alimento. Tuttavia ben sappiamo cosa accadde quando le nazioni erano percorse e incendiate dal pensiero forte delle passioni e delle fedi ideologiche e religiose.
Credo che la seduzione del potere, per quanto io incline alla seduzione, non sia più la molla di chi oggi lo persegue. Troppo mediocre la classe dirigente attuale per esserne ispirata.
Quindi, oggi, mi accontento di guardare alla politica come a un condominio dove l'amministratore deve far quadrare i conti. Non mi interessa se questi zoppica o corre veloce. Deve far quadrare i conti. Lo stesso vale per la cosiddetta anatra zoppa al potere in questa nostra città. Se non ce la fa, e io spero il contrario, deve diventare un'anatra infilzata.


da Flavio Zambelli

Certamente ha ragione Franco ,il Potere e la Responsabilità sono due facce della stessa medaglia; non ci può essere un esercizio del potere, senza assumersi ruoli di responsabilità; così come non ci può essere assunzione di responsabilità senza avere il potere di metterla in pratica concretamente. Tuttavia mentre nelle aziende private e individuali, quest'esercizio del potere e della responsabilità, può durare anche a vita, (se uno è in grado di saper condurre un'impresa), nell'Amministrazione degli enti pubblici così non è. O non dovrebbe essere. In realtà la politica, qui in Italia e  a Orvieto  è diventata un mestiere. Fare il pubblico amministratore, ricoprire e accumulare cariche pubbliche, è ormai diventata per molti una professione consolidata. Al contrario l'amministrazione di un ente pubblico isituzionale,  dovrebbe essere un servizio che uno svolge  alla collettività. Questo servizio e questo alto ufficio verso la comunità deve necessariamente essere a tempo limitato; per evitare il consolidamento di un potere personalistico e clientelare; e per evitare che diventi un mestiere a tutti gli effetti. L'esatto contrario di ciò che è avvenuto, per esempio, a Orvieto. Una concezione utilitaristica della cosa pubblica ha prodotto negli anni la formazione di un ceto politico autoreferenziale, che si scambia e si gira i posti di potere, premiando sempre gli stessi soggetti, che  non se ne vanno mai , cresciuti negli apparati dei partiti .Ovviamente soprattutto nei partiti che hanno governato un certo territorio per molto tempo, come è il caso di Orvieto. Ma lo stesso discorso vale per la controparte politica in altri territori. Durante l'antica Roma dell'era repubblicana, la più alta autorità di governo erano i consoli. Governavano sempre in due, per evitare concentrazioni di potere in uno solo; e soprattutto rimanevano in carica per un solo anno, e poi dovevano lasciare l'incarico. Perché il loro ufficio era considerato un servizio alla città e non un  mestiere. E per spirito di servizio alla città voi che scrivete su questa rubrica , dovete contribuire a costruire una nuova coscienza civica e una nuova classe dirigente, per voltare pagina rispetto agli anni che hanno portato la nostra città alla situazione debitoria attuale. Confermo che uno degli strumenti per fare ciò, può essere riconducibile alla mia proposta di una settimana fa; cioè a'associazione insieme dei migliori "cervelli" e dei migliori giovani della città . A scanso di equivoci, e sempre per spirito di servizio alla città è necessario far governare, finché è possibile, l'anatra zoppa attualmente in carica. Il ricorso immediato alle urne andrebbe contro quell'alta concezione della cosa pubblica di cui parlavo prima. Chiaro che anche l'anatra zoppa ,quando sbaglia, deve essere sempre soggetto all'attenzione critica del vostro intelletto. Un saluto




La rubrica di Orvietosì  oggi "A Destra e a Manca" è alla trentacinquesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 14/06/2010

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