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Vivere troppo a lungo può essere una mina vagante

La foto della realtà prossima ventura disegnata dagli studiosi di demografia ci offre immagini in cui è sconquassata la struttura sociale occidentale...

foto di copertina

Proporre gli anziani come problema sembra inopportuno e sgarbato e allora si rivolta la questione e diventano"risorsa". Certamente l'immagine è positiva, nessuna sensibilità è offesa. Ma è un'immagine aulica,  sganciata da una realtà molto più prosaica.

Vorrei mostrare"l'altra faccia" della medaglia, quella ansiogena, per nulla rassicurante.

Non è una provocazione, ma una riflessione seria e preoccupata, un punto di partenza per ragionare  senza orpelli, con la crudezza che l'argomento richiede. E con la speranza che esistano soluzioni.

Il nostro Paese ha circa 2.700.000 persone classificate come disabili non autosufficienti. Di queste oltre due milioni sono sopra i 60 anni e il 30% sopra gli 80, fascia in cui ovviamente l'invalidità progredisce in maniera proporzionale all'età.

L'Italia ha il tasso di invecchiamento più alto del mondo e se proiettiamo questi numeri nell'immediato futuro, vediamo che nel giro di pochi anni la situazione diverrà catastrofica.

È diminuito il livello di fecondità, si è ridotta la mortalità delle fasce intorno ai 35-45 anni e si è allungata la durata media della vita. E poiché il periodo di fecondità delle donne è circoscritto, possiamo prevedere con un discreto margine di sicurezza la composizione futura della popolazione in base all'età.

di Dante Freddi

Secondo le proiezioni demografiche ISTAT nel 2030 la fascia di età più rappresentata sarà quella intorno ai 60-65 anni per le donne e 55-60 per gli uomini;

Arrivati al 2050, la fascia di età più rappresentata sarà quella 75-80 anni per i maschi e 80-85 per le donne, cioè quella parte di popolazione della quale probabilmente almeno il 50% non sarà più autosufficiente.

Quello che impressiona, nel dibattito sull'invecchiamento della popolazione italiana ed europea, è l'approccio esclusivamente economicista e sostanzialmente cinico con cui viene affrontato. Si discute se l'attuale sistema pensionistico sia o no sostenibile sul lungo periodo. Non siamo in grado di stabilire chi abbia ragione, ma certo questa è soltanto una parte della questione. La cosa più importante è l'insostenibilità di una società con un numero di anziani non autosufficienti in continua crescita.

I progressi della medicina hanno allungato enormemente la possibilità di sopravvivenza biologica dell'individuo, ma non la sua capacità di rimanere autosufficiente. Ci troviamo di fronte perciò a un numero crescente di anziani non più autosufficienti, che non sono più in grado di autogestirsi e di organizzarsi la vita. Presentano non solo difficoltà motorie, ma soprattutto un progressivo deterioramento delle facoltà mentali. È un problema gigantesco, perché queste persone necessitano di un tipo e di una qualità di assistenza che va molto al di là di quello che fornisce, e forse che può fornire, il servizio sanitario pubblico.

Sia per sostenere il sistema pensionistico che per "badare" agli anziani non autosufficienti si conta ormai solo sull'immigrazione, mentre la si combatte su tutti gli altri fronti. Ma fino a quando potrà durare?

Gli anziani, comprensibilmente, faticano ad accettare il fatto di non essere più autosufficienti e spesso si adattano con fatica ad essere accuditi da estranei. Non si rendono conto di costituire un carico estremamente gravoso per la famiglia, tanto più se hanno perduto anche l'autosufficienza intellettuale. I modelli, per cui dovrebbe essere la famiglia a prendersi cura dell'anziano, risultano sempre meno applicabili alla nostra società e alla famiglia mononucleare.
Il carico di problemi che pone una persona di questo tipo, specie se affetta da demenza, è enorme, in grado di scombussolare l'intera vita di una famiglia. Tutto finisce per ruotare intorno all'anziano e alla fine a risentirne è la terza generazione. L'anziano non autosufficiente può diventare un elemento dirompente

Detto in maniera molto brutale, si muore troppo tardi.
O la classe medica cerca di affrontare il problema del gap crescente tra morte biologica e venir meno dell'autosufficienza, soprattutto intellettuale, per cui a un allungamento della vita possa seguire un prolungamento adeguato delle condizioni di autosufficienza, oppure quello che la comunità scientifica sta vantando come un successo, ovvero il fatto di aver aumentato la speranza di vita, in realtà si sta dimostrando un disastro, una fonte potenziale di disgregazione dei rapporti personali.

Ovviamente questo quadro riguarda una piccolissima parte della popolazione mondiale, quella dei paesi ricchi, perché altrove, purtroppo, si continua a morire troppo presto. Ma se questa tendenza fosse destinata ad estendersi anche a quei paesi che adesso costituiscono il nostro serbatoio di immigrati, se cioè il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e alimentari facesse aumentare la speranza di vita anche là, il problema diverrebbe insolubile, almeno con i mezzi per interpretare la realtà che abbiamo oggi a disposizione.

 

 

Pubblicato il: 21/02/2005

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