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Orvieto in crisi. Chi deve dare il suo contributo d'idee?

A Destra e a Manca #94 "L'unica differenza è che, rispetto alla società civile, la classe dirigente può essere cambiata con maggiore rapidità e talvolta anche repentinamente e radicalmente. Perciò, se non funziona, la si cambi. E se non funziona il meccanismo del cambiamento, si cambi anche il meccanismo"

Caro Franco,

credo di essere abbastanza consapevole dei miei doveri di pubblico amministratore. Se mi sono messo a disposizione per questa funzione, e se rimango al mio posto, è perché spero di essere utile. Tuttavia spesso le difficoltà dell'amministrazione comunale sono tanto gravi e la situazione è così pesante che dubito di essere all'altezza;  non tanto per povertà d'idee, quanto perché raramente sono ascoltato, anche se,  altrettanto raramente, sono contestato. Tengo sempre presente il detto demitiano che, in democrazia, le idee buone non sono quelle che a noi sembrano tali, ma quelle che ottengono il consenso. Quindi mi trovo spesso costretto a riesaminare le mie idee e, se non me ne vengono di migliori, mi guardo intorno. Quel che pensano gli amministratori comunali, di maggioranza e di opposizione, è notorio, perché le sedute del consiglio comunale sono pubbliche e, a Orvieto, lo sono ancora di più. La televisione locale diffonde reiteratamente le riprese delle sedute e tutti i cittadini, soprattutto quelli che soffrono d'insonnia, possono vedere e ascoltare. Ciascuno è in grado di fare le sue valutazioni senza che io debba infierire su compagni di viaggio coi quali cerco di tenere a galla la stessa barca.

Devo invece registrare il silenzio assordante della cosiddetta società civile. A parte le contestazioni (abbastanza blande) di alcuni provvedimenti dell'amministrazione comunale, ogni volta che leggo le cronache locali dei giornali, stampati e on line, e ogni volta che ascolto le opinioni dei cittadini, che interpello o che m'interpellano, registro più lamentele che idee, e le idee sono raramente originali e quasi mai realizzabili. Con l'unica significativa eccezione del movimento ambientalista, che ha saputo armonizzare le molteplici associazioni in una azione comune, che ho volentieri affiancato, e che ha conseguito risultati significativi.

Però mi guardo bene dal disprezzare la società civile, della quale sono un fedele e volontario servitore. Quindi, se la mia impressione corrisponde, anche approssimativamente, al vero, devo trovare una spiegazione. Ma tu mi devi aiutare, anche se ti stai ritemprando in uno dei più bei posti d'Italia.

Azzardo una ipotesi. Il sistema di potere orvietano (nel quale il progressismo tutto particolare dei clan contadini si era saldato con quello di una parte della piccola borghesia artigiana e impiegatizia, e successivamente anche con una quota dell'area clericale)  era prosperato nel brodo di cottura della mitezza e della capacità di adattamento di tutto il popolo orvietano. Tutti, a destra e a sinistra, percepivano quel sistema come eterno, ovviamente nel senso che non speravano di uscirne da vivi.

In una atmosfera del genere, avere idee era, se non inutile, pericoloso. Lo sa bene chi ci ha provato.

Così si andava avanti con una economia sostenuta dalla enorme mole degli investimenti statali nel territorio e consentendo di prosperare, nel settore industriale e dei servizi, solo a quelle aziende che il potere comunale poteva tenere in pugno, come le imprese edili, dipendenti dalle scelte urbanistiche del comune, e le cooperative, dipendenti dagli appalti comunali.

Così le buone qualità del popolo orvietano si sono riversate sul volontariato, che richiede più bontà e buona volontà che creatività.

Poi il sistema, come tutte le cose umane,  è entrato in crisi e gli Orvietani sono stati colti impreparati. Ma è arrivato il momento di rendersi conto che non c'è più tempo per chiacchiere, critiche e lamentazioni.

Tuo Pier

Caro Pier,

pur apprezzando il tuo sforzo di dare una spiegazione di tipo per così dire local-sistemico della crisi orvietana, sono più propenso a collocare tale crisi nel contesto generale della crisi italiana, pur manifestando essa tratti di originalità che altre volte abbiamo indicato e che anche in questa occasione sarà utile ricordare seppure succintamente.

Non tratterò certo della crisi italiana, se non altro perché non c'è ormai giornale, settimanale, televisione, radio o sito web, che se ne occupi per meno di 12 ore al giorno, senza che tuttavia prenda corpo un movimento di reazione con energia almeno pari alla gravità e alla portata dei mali che si denunciano in coro. Non posso però non registrare che i maggiori e più accreditati analisti ormai insistono quasi ossessivamente su un punto, che, guarda caso, è lo stesso su cui anche noi abbiamo insistito quasi da due anni a questa parte: l'inadeguatezza della classe dirigente.

C'è poco da fare, che si tratti del mondo, dell'Europa, dell'Italia o di Orvieto, il governo delle cose terrene è roba da classe dirigente. Tant'è che il problema è sempre stato e sempre sarà come e per fare che cosa si seleziona la classe dirigente. Se la classe dirigente è debole, impreparata, inadeguata alla bisogna, vuol dire semplicemente che questo ha voluto la società civile, perché questo ha ritenuto che fosse utile alla salvaguardia dei suoi interessi e delle sue dinamiche.

Certo, ad un certo punto, attraverso percorsi più o meno chiari e lineari, ci si può accorgere che quella valutazione è stata sbagliata, o non più rispondente a quei bisogni, e può ingenerarsi il desiderio, magari forte o fortissimo, di un rapido cambiamento. Ma gli errori si pagano sempre, e quelli della società civile non fanno eccezione. Ti risparmio una caterva di esempi, di storia passata e presente, internazionale, nazionale, locale, in particolare orvietana.

L'Italia, che sta nel mondo e non sulla luna, paga gli errori commessi (che peraltro non si decide a correggere); Orvieto, che sta in Italia e nel mondo e non sulla luna, paga anch'essa gli errori commessi (che peraltro non sembra decidersi a voler correggere).

No, caro Pier, non credo affatto né all'innocenza della società civile, né dunque alla sua estraneità agli errori e all'inadeguatezza della classe dirigente che essa stessa ha scelto. L'unica differenza è che, rispetto alla società civile, la classe dirigente può essere cambiata con maggiore rapidità e talvolta anche repentinamente e radicalmente. Perciò, se non funziona, la si cambi. E se non funziona il meccanismo del cambiamento, si cambi anche il meccanismo.

Certo, nel frattempo non si può stare con le mani in mano. Ed allora capisco il tuo discorso sulle idee. Mi sembra che tu, di fronte alle difficoltà di governo di una realtà complessa e difficile come quella orvietana, ti stupisca del fatto che nulla di significativo in termini di idee (presumo utili al cambiamento) emerga proprio da quella società civile che tanto si è lamentata e tanto si lamenta con la classe dirigente che essa stessa ha voluto. Io non mi stupirei: certo ci sono state, ci sono e ci saranno eccezioni, ma quasi sempre alle idee si preferiscono i lamenti e gli strilli, la maldicenza e il disimpegno. Di più: non devo ricordare io l'atteggiamento di sospetto nei confronti di chi (e l'emarginazione fino alla persecuzione di chi) ha idee, le manifesta e le difende con coraggio e indipendenza. Le idee sono pericolose, si sa. Allora meglio ignorarle, anzi, meglio ignorare chi le idee ce le ha. Lo so, tutte cose note.

Voglio aggiungere però ancora una notazione e una considerazione. Mi ha colpito il fatto che Angelo Ranchino, intervistato da OrvietoSi TV a proposito del riuso dell'ex Piave, (pur nella vaghezza delle espressioni) abbia manifestato nella sostanza le stesse idee che a suo tempo sono state elaborate da RPO, con l'unica eccezione della vendita separata della palazzina comando presentata come normale e inevitabile per sbloccare la situazione esistente. Ma, caro Pier, Angelo Ranchino non era una delle espressioni di quella società civile che voleva il cambiamento? Allora consentimelo, se le idee della società civile sono queste e se questa è la loro natura innovativa, figuriamoci che succede quando da questo si passa ai livelli un poco più bassi!

Credimi, quanto ho detto fin qui non è frutto di improvvisazione vacanziera, è lucida convinzione. Insisto: c'è da lavorare per ricostruire. Ed è roba da classe dirigente.

Tuo Franco


La rubrica di Orvietosì  "A Destra e a Manca"è alla novantaquattresima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose". 
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca". 
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Pubblicato il: 01/08/2011

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