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La democrazia, come i blue jeans, quando è necessario o si cambia o si rattoppa. Ma nel frattempo non si può stare con le mani in mano

" A Destra e a Manaca #86" "Tu mi chiedi un'opinione circa un eventuale dopo Concina, sia in caso di interruzione a breve sia in caso di rinnovo per fine mandato. Ovviamente gli scenari nei due casi sarebbero del tutto diversi..."

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Caro Franco,

mi è capitato di dire, scherzosamente, che la democrazia è come i blue jeans. Nati in America utilizzando stoffa italiana (in dialetto nuovaiorchese blue jeans = blu di Genova),  i popoli ricchi non hanno nessuna intenzione di farne a meno e i popoli poveri li desiderano. Troppo pesanti in estate e troppo leggeri in inverno, un po' scomodi sempre, tuttavia si adattano ai giorni di lavoro e a quelli di festa, mitigano le differenze sociali e assicurano, nel loro ambito, una certa libertà. La pressione di chi fa la moda per costringere la gente a rinnovare il guardaroba tenta invano di snaturarli stracciandoli od ornandoli, me essi rimangono molto simili a quelli delle origini. Resta il fatto, insistendo nella metafora, che ogni tanto bisogna lavarli o rattopparli o sostituirli.

Le recenti elezioni amministrative hanno messo in evidenza che il ciclo di un centrodestra imperniato su una persona di successo, che ha saputo mettere insieme il riformismo liberale di massa e il corporativismo conservatore, sfruttando la paura di un confuso riformismo di sinistra, si va esaurendo. È vero che i governi di Berlusconi non hanno realizzato le riforme liberali, ma è anche vero che la metà del suo elettorato non le voleva. Quindi le due anime del centrodestra dovranno sedersi separate al tavolo in cui si giocherà la partita della ricerca di nuovi equilibri politici e di nuovi assetti istituzionali. Il centrosinistra, da parte sua, nonostante l'euforia per i risultati ambigui di Milano (dove i riformisti liberali hanno fatto pesare la loro delusione, ma probabilmente senza alcuna fiducia nel riformismo di sinistra) e di Napoli (dove un personaggio molto scaltro ha umiliato destra e sinistra) dovrà anch'esso presentarsi separato a quel tavolo. Per i molti milioni di italiani che prendono parte emotivamente alle vicende politiche, con spirito analogo a quello del tifo sportivo, saranno tempi duri. Li aspettano ansie, illusioni e disillusioni.

Se invece cerchiamo di ragionare, anche per trarre dalla situazione politica generale qualche spunto per quella del nostro comune, ti ricordo che le elezioni primarie promosse dal PD, che hanno innescato le mine che hanno fatto saltare in aria il centrodestra (assediato a Milano e assediante a Napoli) sono lo stesso strumento che ha fatto saltare il centrosinistra a Orvieto. Le elezioni primarie,  per il modo in cui è venuto di moda attuarle, ripugnano a un modesto giurista come me perché danno spazio ai giochi sporchi interni ed esterni ai  partiti, se è vero, come abbiamo visto in Orvieto e altrove, che il candidato sindaco è stato scelto coi voti determinanti di elettori estranei e addirittura ostili al partito che le aveva promosse. In altri termini, il PD ha affidato la scelta dei candidati a giochi di bussolotto rinunciando al dovere primario di un partito forte e organizzato di risolvere le tensioni all'interno e di assumersi le proprie responsabilità. Mi preoccupano quindi le pulsioni del centrodestra verso le primarie così come mi preoccupa l'insistenza del centrosinistra. Ovviamente mi preoccupano le primarie che ho visto, non quelle che ognuno ha il diritto di sognare.

Lascio a te le considerazioni del caso (e anche fuori del caso) ma tengo, in particolare, alla tua opinione su quel che potrebbe succedere in Orvieto sia in caso di atterraggio morbido dell'amministrazione Concina, sia in caso di una sua fatale avaria.

Mi preme però di assicurarti che non sono catastrofista e spero che lo stato di crisi generale costringa la classe politica alle riforme istituzionali indispensabili. La costringa cioè, se non all'atto eroico di sostituire i blue jeans, alla decisione coraggiosa di  lavarli e di rattopparli.   

Tuo Pier

                                                           
Caro Pier,

mi verrebbe da dire "tempi duri per i troppo buoni!", ma soprattutto "mala tempora" per gente come noi che ama i ragionamenti, le posizioni lineari e una dignitosa coerenza che ci renda riconoscibili almeno a noi stessi. Le recenti elezioni, per il loro svolgimento e per il loro esito, hanno infatti fornito sì indicazioni generali delle tendenze attuali dell'opinione pubblica (in termini di schieramenti: favorevole al centrosinistra e sfavorevole al centrodestra), ma non sono certo interpretabili come timbro di un cambiamento chiaro e rassicurante. Il punto è questo: la crisi del berlusconismo emerge e viene sanzionata dal voto popolare, ma questo non significa per nulla che a destra si sia disposti ad ammettere che una fase si è chiusa e che è necessario passare ad altro, premier e logiche di governo; la sinistra ha ragione di cantar vittoria, ma non ha il coraggio di dire a se stessa che tipo di vittoria, perché in quel momento deve ammettere che di tutto si tratta tranne che dell'emergere di un progetto politico, di un disegno generale utilizzabile per il governo della nazione, tali e tante sono le situazioni, le persone, le logiche, da prendere in considerazione.

Mi spiego meglio. Ha ragione Emanuele Macaluso a sostenere che il berlusconismo è un sistema piramidale irriformabile perché ormai contrasta irrimediabilmente con le esigenze diffuse nel paese, per cui lo sbocco della crisi non può essere il ribaltone (via Berlusconi, ci mettiamo un altro e, con la convergenza di una parte delle opposizioni, tiriamo a campare fino alla fine della legislatura) ma solo un passaggio di fase. Però Macaluso ha anche ragione a sostenere contemporaneamente che l'alternativa di cui a sinistra si parla come se ormai fosse a portata di mano in realtà non si vede. Insomma la situazione è grave e incerta, aperta a sbocchi nient'affatto prevedibili. Per questo non ha alcun senso baloccarsi di qua con Berlusconi uno e Berlusconi due, e di là con Bersani sì e Bersani no. Forse invece converrebbe ragionare su una crisi che è di sistema e che richiederebbe di riflettere sia sull'assetto istituzionale che sulle leggi elettorali (nazionale e locale), oltre che sui meccanismi di selezione delle classi dirigenti, a partire da quelle dei partiti (primarie e non solo). E anche ragionare sul fatto che, se da una parte si è verificato un evidente indebolimento dei partiti più forti all'interno dei due schieramenti, dall'altra e corrispettivamente sono aumentati frammentazione e personalizzazione, con punte preoccupanti sia di estremismo (anche e forse soprattutto di destra) che di antipolitica e di demagogia antisistema.

No, le cose non sono per nulla chiare e tranquille. E tu hai ragione da vendere quando dici che le primarie non solo non sono la soluzione, ma sono semmai la complicazione. Però tu sai come vanno le cose in Italia: quando c'è qualcosa che ha prodotto guai da una parte, c'è sempre qualcuno che prima o poi la sposa anche dall'altra parte, cosicché anche chi ne aveva sperimentato l'inefficienza si convince che bisogna tenersela. Così va con le primarie, così è andata con la legge sull'elezione diretta dei sindaci e la riduzione a comparse dei consiglieri comunali (naturalmente con le dovute eccezioni, ci mancherebbe!).

Quale insegnamento trarre da tutto ciò? Tu mi chiedi un'opinione circa un eventuale dopo Concina, sia in caso di interruzione a breve sia in caso di rinnovo per fine mandato. Ovviamente gli scenari nei due casi sarebbero del tutto diversi. Basti pensare che nella prima ipotesi saremmo ancora nel bel mezzo del processo di destrutturazione del sistema politico che è in atto, con tutte le influenze indotte sul piano locale, mentre nell'altro caso, essendo a quel punto già intervenute le elezioni politiche generali, il loro esito avrebbe con ogni probabilità un'influenza non di poco conto sia sulle alleanze che sulla formazione delle liste e sugli stessi programmi, per quello che contano.

Di una cosa però sono sicuro: in entrambi i casi nulla sarebbe come oggi, primarie o non primarie, a destra come a sinistra. Nessuno si illuda che si possa tornare a Tara e al bel (sic!) tempo che fu. Non sono nemmeno sicuro che lo schema di base continuerà ad essere quello binario (destra e sinistra), in fondo rassicurante, anche se, andando così le cose, sempre meno rispondente alla cruda realtà.

Tuttavia anche di un'altra cosa debbo dire di sentirmi sempre più sicuro: nonostante l'incertezza di come potrà essere il futuro, il futuro è meglio provare a farlo che subirlo, perché il presente proprio non va. Allora, per seguire la tua metafora, direi così: in attesa che ci si decida a compiere, se non l'atto eroico di sostituire i blue jeans, l'atto di coraggio di  lavarli e di rattopparli, noi, realisticamente, diamoci da fare. Se non esiste il tempo delle cose migliori, esiste però quello delle cose possibili.

Tuo Franco


La rubrica di Orvietosì  "A Destra e a Manca"è alla ottantaseiesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose". 
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca". 
La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 06/06/2011

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