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La ex Piave ci potrà salvare o ci potrà affossare. Dipende , ma da che dipende?

A Destra e a Manca #85 "La ex Piave ci poteva consentire di non arrivare al punto di crisi, non solo finanziaria, a cui siamo invece giunti!

foto di copertina

Caro Pier,

le generazioni di orvietani che lavorarono alla realizzazione di quel grande progetto che è stata la costruzione della caserma Piave, se lo potessero fare, avrebbero tutto il diritto di ribellarsi e di cacciar via a pedate quelle che si sono autodefinite e si definiscono ancora classi dirigenti della città. E in qualche modo avrebbero lo stesso diritto tutti coloro che in quella caserma hanno passato un anno e più di vita nel lungo periodo in cui la Piave è stata prima caserma dell'Aeronautica Militare e poi dell'80.mo Reggimento Fanteria.

La ragione non sta nel fatto che a quell'edificio, pure costato rilevanti sacrifici alla collettività, non è stata data continuità nella sua destinazione d'uso originaria, ma nel fatto che ad esso non è stata data, come si sarebbe potuto fare, alcuna destinazione d'uso dopo il suo ritorno nella disponibilità dell'ente proprietario Comune di Orvieto, fino alla fase attuale in cui si è costretti ad assistere a discussioni spesso a dir poco inconcludenti.

E pensare che la ex Piave ci poteva consentire di non arrivare al punto di crisi, non solo finanziaria, a cui siamo invece giunti! Comunque è mia opinione che ci potrebbe consentire ancora di uscirne, seppure a determinate condizioni, oppure al contrario potrà rappresentare la sconfitta definitiva del sogno orvietano, e con ciò la riduzione di Orvieto a cittadina da visitare sì, ma senza speranza di essere e di contare qualcosa. Tento di dimostrarlo e vado per punti.

Punto 1. La ex Piave, dal momento della sua dismissione come caserma militare, poteva essere un punto di forza per lo sviluppo della città, nonostante i ritardi con cui si giunse al progetto di rifunzionalizzazione della metà degli anni 2000. Per motivi in parte chiari e in parte ancora da capire, coloro che allora avevano lo scettro del comando e coloro che li supportavano impedirono che quel progetto, che oltretutto riassumeva un lungo e proficuo dibattito durato anni, proseguisse il suo cammino e dimostrasse di funzionare.

È falso e deviante sostenere che il progetto di RPO fu accantonato perché si voleva che il mercato intervenisse in settori non produttivi, giacché la realtà è del tutto diversa: si voleva che anche nei settori sociali e culturali si introducessero sistemi di gestione manageriale e che in particolare la cultura si trasformasse da peso in risorsa produttiva integrata, perciò generatrice di sviluppo, come notoriamente avviene in altri paesi. Si voleva inoltre che tra pubblico e privato si stabilisse finalmente anche nella nostra realtà un circuito positivo di idee e di risorse, nella chiarezza dei compiti e nella trasparenza delle operazioni in tutte le fasi.

Ma, come ho detto, chi poteva operò perché questo non avvenisse. Colpa grave, non solo perché l'operazione era seria e realistica, e conciliava appunto in modo creativo interesse pubblico e ruolo attivo dei privati, mettendo in gioco insieme energie nazionali e locali, cultura progettuale ed economia moderna, ma perché, senza svendere nulla e rapportandosi alle tendenze mondiali di mercato, attivava in tempi rapidi risorse notevoli, creava lavoro (anche stabile e qualificato), generava entrate per le casse comunali, che erano già sofferenti. Ripeto, colpa grave, peraltro ancora non riconosciuta per chi realmente ce l'ha.

Quel progetto aveva punti di debolezza? Sì, come ho detto più volte, ma tra essi (lo spiegherò dopo) non c'era certo quello che il mercato non può fare ciò che stabilisce il potere pubblico. E comunque essi potevano essere di sicuro superati dai punti di forza, solo che lo si fosse capito e voluto, e fosse prevalso, come avrebbe dovuto essere, l'interesse generale della comunità.

Punto 2. Ma la ex Piave può ancora rappresentare il perno di una strategia di ripresa dello sviluppo economico, culturale e civile, di Orvieto e del suo territorio, solo che si riesca a costruire intorno ad essa, insieme all'ex ospedale e ad altri beni, un progetto di rilancio complessivo della città nel segno della sua riqualificazione all'interno di un'area vasta interregionale, e in tal senso della ricollocazione delle sue funzioni in ambito nazionale e internazionale. Per fare questo però occorrono alcune condizioni, nient'affatto facili da determinare.

La prima condizione è spostare la discussione sul punto vero, che è ciò che lì ci si vuol fare, nei termini di ciò che è utile per il futuro della nostra comunità, come minimo indicando i settori da sviluppare e/o da impiantare ex novo. Chi ha il diritto/dovere di discuterne, auspicabilmente senza partire di nuovo da zero? La risposta è facile: è la comunità stessa, direttamente e attraverso i suoi legali rappresentanti, cui spetta senza alcun dubbio la potestà decisionale ultima. Non è il mercato come tale, che ha altro ruolo, peraltro non solo da rispettare, ma da valorizzare, naturalmente nelle forme corrette. Certo, il mercato fa ciò che gli conviene, ma è tutto da dimostrare che il potere pubblico debba abdicare al suo ruolo di rappresentanza degli interessi di una comunità perché sennò il mercato, come fosse il nuovo signore assoluto della terra, si stizzisce e ci manda a quel paese. Questa prima condizione comporta anche che si abbandoni il terreno scivoloso della trangosciante questione se sia meglio vendere il bene o darlo in concessione d'uso, magari per novantanove anni, cioè quattro vite, in realtà molto più della vendita. Discussione inutile, ma che rivela come interessi ben poco ciò che con l'area di Vigna Grande ci si può fare sul serio e invece interessi molto appunto la pura vendita, magari a prezzi stracciati. Essa comporta infine e conseguentemente che si dica con chiarezza da parte del Consiglio Comunale, senza infingimenti, paure e strategie incomprensibili a menti normali, se e quale ruolo intende riservarsi la parte pubblica, quali sono le indicazioni per i soggetti privati, con quali modalità, tempi e procedure, saranno attivate le diverse fasi del percorso di rifunzionalizzazione. Insomma uno scatto di reni.

La seconda condizione è presto detta. Si tratta finalmente di riprendere modalità di pensiero e di azione da disegno strategico, ciò che non può prescindere dal coinvolgimento di altre istituzioni, a partire ovviamente dalla Regione, che non ha solo compiti generali di governo anche rispetto al territorio orvietano, ma è chiamata ad essere compartecipe di scelte che guardino oltre gli stessi confini regionali proprio per territori cerniera come l'orvietano. Peraltro non va dimenticato che la Regione dell'Umbria ha un debito pesante con Orvieto proprio rispetto alla rifunzionalizzazione dell'ex Piave a partire dal 2005. Non solo, essa è anche proprietaria dell'ex ospedale, cosa nient'affatto insignificante.

La terza condizione discende poi direttamente da questa. Di fatto è una domanda: chi può oggi riprendere modalità di pensiero e di azione da disegno strategico? Caro Pier, tu torni a proporre un'uscita dalla crisi come quella su cui si lavorò invano nello scorso ottobre 2010: una convergenza limitata e temporanea dei due schieramenti per evitare la bancarotta finanziaria e con ciò la distruzione di ogni speranza di futuro della nostra città e di tutte le realtà con essa collegate. Sarebbe di sicuro la via maestra, ma sono scettico che possa essere percorsa oggi, per le condizioni che si sono determinate a causa di elementi sia soggettivi che oggettivi. In mancanza di segnali diversi, temo che oramai il processo sia involutivo e irreversibile. Per questo penso che sia necessario battere altre strade. La questione di quali esse siano per me resta aperta, e ne faremo spero oggetto di un serio e urgente confronto a tutto campo, cioè senza alcun pregiudizio. In sostanza si devono creare le condizioni politiche per andare nella direzione che sto auspicando.

Punto 3. La ex Piave è dunque la questione delle questioni, l'aspetto intorno al quale ruota sia l'uscita dalla crisi che la connessa capacità di guardare con rinnovata fiducia al futuro della nostra comunità. Perciò, se non si risolve questa, le altre questioni diventano di fatto scarsamente rilevanti. Ma guai a sbagliare.

Dunque, innanzitutto, resta fasulla la litania del fare presto: nel passato i soloni di turno dicevano sempre "bisogna fare presto, presto!", e poi erano loro stessi che ostacolavano il lavoro; oggi non si deve dire fare presto, ma fare bene, che è il migliore modo di fare presto, come è ampiamente dimostrato da ben sei anni di tempo perso e di risorse buttate al vento.

In secondo luogo si deve respingere ogni tentazione di trasformare una straordinaria opportunità di sviluppo moderno in un peso di cui liberarsi prima possibile e costi quel che costi, come invece mi sembra stia facendo più di un soggetto. Ne consegue che si deve respingere ogni tentazione di svendita, non importa che sia frutto di manovre o di disperato bisogno finanziario per le malandate casse comunali. A parte altri aspetti, una simile evenienza quasi sicuramente non si tradurrebbe in un riuso produttivo, e probabilmente nemmeno in un qualsiasi scadente riuso: con ogni probabilità sarebbe, come dimostrano tanti altri casi, una pura speculazione immobiliare, un classico esempio di congiunzione tra dabbenaggine pubblica e capacità improduttiva privata. Insomma, un vero capolavoro. Forse più propriamente, un esempio da indicare a monito per le generazioni future.

Da ultimo, se per caso dovesse avverarsi la profezia di Massimo Gnagnarini di un possibile uso strumentale degli immobili di Vigna Grande per chiudere un bilancio comunale 2011 di pura sopravvivenza, saremmo arrivati ad un gradino al di sopra del peggio, il peggio del peggio. Allora forse dovremo dire non semplicemente che una risata ci seppellirà, ma che la Piave impietosamente ci seppellirà con una sua sonora risata.

Caro Pier, mi auguro davvero che con queste considerazioni pessimistiche in realtà io non stia facendo altro che esorcizzare pericoli che non si verificheranno perché le forze responsabili della città infine prevarranno e la luce della speranza tornerà a brillare. Cerca di confortarmi tu che hai la possibilità di tastare meglio di me il polso del malato.

Tuo Franco

 

Caro Franco,

bene usando la tecnica di una rubrica di corrispondenza giornalistica, tu scrivi a me solo formalmente, perché i destinatari sono i nostri concittadini, sia quelli che hanno responsabilità politiche e amministrative, sia quelli che formano la cosiddetta opinione pubblica. Lo fai attenendoti al motto che la ripetizione dei concetti è sempre utile [repetita iuvant], ma questa volta, oltre ad affrescare un'ampia sintesi, la colori coi toni di una passione civica particolarmente accorata, quasi un ultimo appello al popolo di Orvieto e non solo. D'ora in poi dovremo dedicarci, anche con il prezioso aiuto del Direttore, ai particolari. Dovremo illustrare che cosa si è ipotizzato di fare a Vigna Grande e nell'ex ospedale, dovremo spiegare ciò che i piani urbanistici consentono, dovremo raccogliere altre idee di chi sa mettere in sintonia l'immaginazione col ragionamento.

Ti mostri scettico sul mio richiamo all'accordo tra le forze politiche, che il sostegno assicurato al sindaco da tre consiglieri eletti nel centrosinistra ha reso ancora più irrealistico. Certo è che la stampella fornita dai "responsabili" all'anatra zoppa ha cambiato le carte in tavola, ma essa reggerà fino a quando l'amministrazione Concina offrirà qualche speranza di vitalità, oltre che di vita. In ogni modo, se questa vitalità si dovesse manifestare, sarei il primo a levare il calice in segno di giubilo. Non mi sono certo candidato in una lista di centrodestra col proposito di governare insieme a un centrosinistra che ritenevo invischiato nel suo fallito tentativo di rinnovarsi. Così come tu non ti sei candidato in una lista di centrosinistra col proposito di collaborare a un andazzo che aveva proditoriamente cercato di screditare il tuo servizio alla comunità.

Il mio ragionamento può essere smontato solo dai fatti, altrimenti resta in piedi come orientamento per me, come consiglio agli amici, come monito ai non amici.

Ma consentimi di rinfrescare un argomento che dimostra, a chi ha occhi per vedere e orecchi per intendere, che lo Spirito soffia dove vuole e che, ogni tanto, soffia pure in Orvieto. Sembrano anni, invece sono pochi mesi, che il capo della Chiesa locale stava rivoluzionando tutto quello che poteva rivoluzionare. Comincio con la casa di accoglienza per le madri nubili: un luogo, molto più efficace dei consultori familiari, dove manifestare amore e solidarietà alle donne che affrontano la procreazione senza il conforto e la sicurezza della famiglia. Era quasi fatta, ma c'era da mettere le mani sui tesoretti di certe parrocchie. E finisco col Santuario Eucaristico, che avrebbe dato a Orvieto la forza di un respiro che avrebbe raggiunto gli angoli più remoti del mondo.

Mentre mangiavano Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: «Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti.»

Almeno su questo passo del Vangelo tutte le confessioni cristiane convergono.

Ma il diavolo ci mise la coda, e un giovane uomo che aveva bevuto fino alla feccia il calice delle più cocenti umiliazioni e aveva finalmente trovato rifugio nel grande cuore di Padre Giovanni, quando era quasi giunto al traguardo del sacerdozio fu sgambettato e si trovò col corpo fracassato ai piedi della Rupe. Solo i corvi erano lì ad ascoltare il rantolo della sua agonia. Confido che, a dispetto di crudeli dottrine che non hanno niente a che fare con lo spirito evangelico, riposi sotto le grandi ali della misericordia di Dio.

Non sarà il caso di andare a recitare qualche preghiera a Cascia, nell'esilio di Padre Giovanni, e a  chiedere qualche consiglio per vederla meno nera?   



La rubrica di Orvietosì  "A Destra e a Manca"è alla ottantacinquesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose". 
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca". 
La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 30/05/2011

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