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Ancora sui giovani, lo studio e il lavoro

A Destra e a Manca #80 Da tempo immemorabile, quando si discute di sviluppo o di crisi e di come uscirne, non viene quasi mai in mente che una chiave di lettura fondamentale è il sistema scolastico...

Caro Pier,

pur avendo dedicato già diverse puntate di questa nostra rubrica ai giovani, ultima quella di due settimane fa su disagio giovanile e immigrazione, non possiamo evidentemente ritenere esaurito l'argomento. Questa volta il bisogno di parlarne, sempre con riferimento al rapporto dei giovani con il lavoro manuale - che io però preferisco considerare come aspetto del più generale concetto di attività pratiche -, mi deriva dall'aver osservato direttamente i comportamenti di un folto gruppo di nostri studenti (prevalentemente studentesse) nel corso di uno stage a Londra svoltosi proprio la settimana scorsa.

Londra ti fa capire nel giro di poche ore quali sono le competenze essenziali che devi avere per muoverti agevolmente nel mondo di oggi e ancor più di domani: senso del contesto, saper leggere e interpretare un testo, comunicazione corretta in lingua madre e nella lingua internazionale (l'inglese), padronanza delle tecnologie, non perdersi di fronte alle novità. E che le cose stiano così gli studenti lo hanno capito, a dimostrazione che se la scuola crea, come del resto deve,  le condizioni di apprendimento, i giovani non restano indifferenti.

Certo, non sono competenze necessarie per esercitare tutti i mestieri, ma quelli moderni sì, e si tratta senza dubbio di cultura pratica. Gli artigiani ne hanno bisogno? Io penso di sì, almeno in una certa misura (anche il meccanico d'auto deve saper leggere uno schema e usare strumenti tecnologicamente complessi, e l'idraulico deve saper leggere un progetto, una relazione, o le istruzioni per l'uso corretto di qualcosa, che talvolta sono in tedesco e comunque in inglese). Si tratta però delle competenze di base, che tutti dovrebbero possedere. Poi vengono gli apprendimenti specifici, che caratterizzano i diversi percorsi e gli sbocchi successivi. Quali sono in generale i più assonanti da una parte con le necessità di sviluppo del nostro paese e dall'altra con le aspirazioni di lavoro e di realizzazione personale che alla fine non risultino frustranti?

Qui la riflessione me l'ha suggerita da una parte la lettura dell'articolo di fondo di Dario Di Vico sul Corriere della Sera di martedì 19 aprile, e dall'altra il ricordo di un'intervista rilasciata allo stesso giornale da Corrado Passera, amministratore delegato di Banca Intesa San Paolo, lo scorso 5 febbraio.

Dario Di Vico, partendo dall'assunto che i distretti produttivi italiani stanno reagendo bene alla crisi, sostiene che è venuto il momento che la società riscopra il valore del lavoro manuale e che lo Stato indirizzi gran parte dei giovani verso le scuole tecniche e quelle professionali. Corrado Passera, sulla base di un'ottica più ampia e di un'analisi più articolata, a sua volta sostiene che l'Italia ha bisogno di fornire ai suoi giovani da un lato una preparazione di base molto solida e insieme flessibile, su cui innestare sia percorsi universitari di livello elevato (fino ai dottorati di ricerca) sia diplomi di istituto tecnico superiore (post diploma), e dall'altro lato scuole professionali di qualità. Si dirà: niente di nuovo, perché in fondo è il modello tedesco, fatto di buoni licei e di altrettanto buoni istituti tecnici e professionali. Ma non è esattamente così, perché secondo Corrado Passera la partita si gioca, più che a livello di secondo ciclo di istruzione, nel post diploma e nell'università, in cui si è all'altezza delle necessarie sfide solo se nella scuola superiore si è stati messi nella condizione di "imparare ad imparare", cosicché il sapere poi non diventi rapidamente obsoleto essendo capaci di un autoapprendimento che duri lungo tutto l'arco della vita (lifelong learning).

Non ritengo che ci sia contraddizione tra la posizione di Di Vico e quella di Passera. In realtà è evidente che abbiamo bisogno sia di una buona preparazione di base da raggiungere nei percorsi di scuola secondaria che di un'altrettanto buona preparazione specialistica da ottenere nel post diploma e nell'università, ma abbiamo anche bisogno di una formazione professionale che funzioni in connessione con le esigenze della moderna produzione artigianale e industriale. E in generale però abbiamo bisogno di una scuola che in ogni sua articolazione sia permeata di cultura pratica, attenta all'evoluzione dei saperi, capace di muoversi agevolmente nel mondo delle tecnologie, aperta ad un rapporto positivo con il lavoro, con la testa rivolta al futuro e capace di fare sistema.

Che cosa bisogna fare per andare in tale direzione? Già ci stiamo andando o siamo lontani? Dobbiamo attenderci soluzioni solo dallo Stato o hanno un ruolo anche le Regioni e gli Enti Locali? Le strutture e l'organizzazione contano? E le singole scuole?

Non mi pronuncio subito, caro Pier, perché penso che sia preferibile che il dibattito resti aperto almeno un po' e perché mi aspetto da te una sagace riflessione, al di là di quanto di interessante tu non abbia già detto. Mi limito a rilevare che da tempo immemorabile, quando si discute di sviluppo o di crisi e di come uscirne, non viene quasi mai in mente che una chiave di lettura fondamentale è il sistema scolastico. Ma a noi viene in mente di sicuro. D'altronde questo della scuola, della formazione e dell'università, è uno dei temi forti che come COVIP ci impegneranno nei prossimi mesi con specifiche iniziative pubbliche.

Tuo Franco

 

Caro Franco,

consentimi, per questa volta, di bivaccare un po' nel tuo campo professionale, che è la scuola.

All'università mi hanno fatto studiare, e la vita mi ha consentito di verificare, che le disposizioni scritte della costituzione formale s'intrecciano con quelle non scritte della costituzione materiale, che sono altrettanto efficaci. Per costituzione materiale s'intende quella che rispecchia gli interessi e i valori delle classi egemoni. E per egemonia s'intende sia quella culturale che quella economica. Ebbene, in materia di scuola, le disposizioni scritte sono piuttosto ambigue, frutto di un compromesso tra le culture laica, cattolica e marxista dei padri costituenti. Mentre le disposizioni della cultura materiale sono chiarissime: la scuola statale deve essere tendenzialmente monopolistica e la scuola privata deve essere scoraggiata, per evitare che il clero cattolico abbia modo di accogliere nelle proprie scuole i cattolici non abbienti e di indottrinarli. Infatti nelle scuole cattoliche s'insegnano cose che la cultura dominate aborre e che evito di enumerare perché sono perfettamente note a te e ai nostri lettori.

È per questo che i sussidi alle scuole private sono quasi simbolici, che non sono previsti sgravi fiscali e altri aiuti alle famiglie che vogliono orientarsi verso la scuola privata e che si tiene in piedi lo screditatissimo principio del valore legale dei titoli di studio rilasciati dalla scuola statale o sotto il suo stretto controllo.

A mio avviso, questa paura del clero e della scuola cattolica è un retaggio di altri tempi, sfacciatamente illiberale,  che finisce col danneggiare la scuola statale, privandola di un sano confronto. Tanto più che di clero ce n'è più poco e che i cattolici osservanti sono una sparuta minoranza.

Per questo, caro Franco, non posso essere ottimista sulle prospettive di adeguamento della scuola statale italiana alle esigenze del mondo contemporaneo. Ma non dispero, almeno fino a quando ci sono in giro dirigenti scolastici del tuo livello. E dispererei ancora meno se tu me ne facessi conoscere altri.

Invece ritengo di poter essere più costruttivo nell'ideazione del rapporto tra la comunità orvietana e la scuola. Sono convinto infatti che Orvieto abbia come dote particolare quella dell'accoglienza. E per accoglienza intendo non solo e non tanto la capacità di fornire servizi turistici, ma qualcosa che assomiglia al senso di ospitalità e che si riflette non soltanto sui servizi turistici. Lo posso dire con cognizione di causa, e forse, conoscendo la tua biografia, ti sarà facile trovarti  d'accordo con me. Così mi perdonerai di averti fatto arrabbiare con quel che ho detto sulla scuola statale.

Non tutti hanno il dovere di sapere che non sono nato orvietano e che, quando la mia famiglia venne  a stabilirsi a Orvieto, ero un giovanottello di paese che, per motivi di studio, aveva avuto modo di conoscere bene Viterbo e i Viterbesi. Ebbene, fui subito accolto amichevolmente, fui messo a mio agio, mi si spalancarono le case dei miei compagni di scuola. Mi resi conto che ogni città ha il suo carattere, e che quello di Orvieto era dolce e accogliente. Tanto mi trovai bene che nemmeno m'infastidiva quella curiosità particolarmente acuta che gli Orvietani hanno per i fatti degli altri e che interpretai, credo giustamente, come un aspetto della socievolezza. Tra i miei amici, a quel tempo, c'erano numerosi ragazzi e ragazze di paese che studiavano in Orvieto, ospiti di collegi, di convitti e di case private. Tutti si trovavano bene e non mostravano alcuna voglia di ritornare presto ai loro paesi.

Da allora ho sempre pensato che Orvieto dovesse creare le condizioni per accogliere in strutture adeguate il maggior numero possibile di studenti delle scuole medie superiori appartenenti a famiglie di paesi più o meno vicini. Tanti studenti umbri, toscani e laziali, dovrebbero trovare in Orvieto il calore di un ambiente ospitale, l'accesso alla vita tranquilla ma non priva di stimoli di una cittadina elegante, la possibilità di scegliere tra vari indirizzi di studio. Ovviamente i convitti per adolescenti sono strutture delicate e costose, ma non impossibili da realizzare e da gestire con lo sforzo congiunto delle istituzioni e delle famiglie. E non mi si dica che Orvieto non ha edifici da convertire a iniziative del genere.

Non so se tu mi conforterai in questa mia fissazione di vecchio immigrato, ma certamente mi dirai cose sagge.

Tuo Pier


La rubrica di Orvietosì  "A Destra e a Manca"è alla ottantesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose". 
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca". 
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Pubblicato il: 25/04/2011

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