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Se vince la logica della pialla non ci rimane che la fatica di Sisifo

A Destra e a Manca sessantadue. "Quando sarà possibile rompere quel cerchio subdolamente violento, che accomuna il di qua e il di là (i segni sono consistenti), che è la depressione di ogni iniziativa di reale innovazione, lo schiacciamento del merito, la cura del 'particulare' all'interno della ristretta rassicurante catena degli amici amici?" Contributi di Mario Tiberi e Flavio Zambelli

Caro Franco,

una bella metafora paragona la storia dell'umanità a una scala  a pioli. Più gli esseri umani salgono, più si amplia il panorama che essi possono abbracciare. Non è certo dov'è il primo piolo, né dov'è l'ultimo. Ma è certo che gli esseri umani sono distribuiti contemporaneamente a vari livelli. C'è chi si trova ancora all'età della pietra e chi naviga nello spazio. Ma càpita che un piolo ceda e si torni a un livello più basso dopo essersi abituati a un più vasto panorama. Non solo, ma possono cedere più pioli, uno appresso all'altro, e allora ci si deve dar da fare per riparare un piolo per volta  e tentare di risalire. Né va mai dimenticato, quando si sale, che i pioli lasciati in basso, anche se difettosi, erano abbastanza robusti per consentirci di salire e di apprezzare cose che sono ancora presenti nel nostro panorama e che possiamo riscoprire, rinfrescare e adattare alle nostre attuali necessità.

Questo preambolo l'ho scritto (come hai compreso subito, poiché mi conosci bene) soprattutto per il gusto di scriverlo. Ma anche per invitarti a commentare e sviluppare un'idea che mi è venuta in mente, come tante altre, frequentando l'ambiente del COVIP, dove circola gente di buon ingegno e di poche pretese. Dice il mio compaesano Giambattista Casti, nel poema "Gli animali parlanti": "Chi pretende e non merta ognor vedrai; / chi merta e non pretende è raro assai."

Infatti, applicando la metafora alla nostra città, è chiaro che ci si è rotto qualche piolo, e che si sta lavorando per ripararli. La fatica è tanta e il risultato ancora non si vede. Ma qualche sbirciatina in basso, cioè indietro, può far comodo.

Hai presente la piazza delle Erbe? È quella che consente di vedere il palazzo comunale come se fosse completo, perché l'osservatore, applicando i canoni delle simmetria, può visualizzare la parte mancante. È quella dove c'è una vera di pozzo, bella e maltenuta, ma non c'è il pozzo. È quella ridotta a parcheggio, sempre sporco, dove non si trova mai un posto. Ebbene quella vera di pozzo è stata disegnata da Ippolito Scalza e, fino al 1924, stava sul terrazzo del palazzo comunale, dove, scavando, si può ritrovare la canna del pozzo e la relativa cisterna dell'acqua piovana. Lo Scalza fece fare il pozzo, per l'approvvigionamento idrico del palazzo, quando si rese conto che le casse del comune erano scassate e che il palazzo comunale non si sarebbe mai completato. Cose che succedevano nel XVI secolo.

La piazza delle Erbe si chiama così perché ospitava il mercato degli ortaggi. Credo che sarebbe cosa degna, giusta, equa e salutare riportare la vera di  pozzo dove l'aveva messa lo Scalza (e dove il pozzo può essere rimesso in funzione) e ripristinare il mercato degli ortaggi.

Vi dovrebbero essere venduti solo ortaggi e frutti provenienti dal territorio orvietano e coltivati con criteri rigorosamente naturali: senza concimi chimici e senza impiego di antiparassitari e di anticrittogamici. Né dovrebbero mancare piccioncini, pollastri e conigli allevati senza mangimi industriali. Sarebbe una goduria per chi sa che chi più spende meno spende. Sarebbe un trionfo del gusto. Sarebbe un incentivo a recuperare alberi che davano frutti non belli, ma resistenti. Sarebbe un'attrazione per i forestieri; non solo per gli sfigati che vogliono campare cent'anni, ma anche per i raffinati cultori dei veri  sapori.

Pensa quanti pensionati arzilli, quanti giovani volonterosi e quanti appassionati potrebbero dedicarsi con profitto alle colture naturali.

Il Comune dovrebbe predisporre la piazza, disciplinare il mercatino, istruire gli ortolani e realizzare finalmente quegli orti amatoriali che il piano regolatore prevede da oltre dieci anni.

È utopia? E, se è utopia, è quella che deriva dal greco outopia = nessun luogo (cioè non realizzabile) o dal greco eutopia = buon luogo (cioè valido e possibile)?

Tuo Pier

Caro Pier,

tu mi stimoli i ricordi e la fantasia e nella mia mente si scatena il turbinio delle idee e delle riflessioni, alcune nuove e alcune forse già fatte, ma nascoste e apparentemente dimenticate.

La prima riflessione riguarda la bella metafora della storia dell'umanità come una scala a pioli. Essa mi ricorda ad esempio che in quasi tutte le culture e in molte religioni la scala è il simbolo preferito per indicare l'ascesa verso una condizione superiore, il collegamento della terra con il cielo, il passaggio graduale attraverso le virtù per il congiungimento con Dio. Le scale poi sia nelle religioni che nella tradizione ermetica (quella riferita a Ermete Trismegisto), a seconda della funzione simbolica che svolgono, sono di sette, nove o dodici pioli, o anche di più. Però in tutti questi casi, qualsiasi sia il numero dei pioli, si sale sempre e i pioli non si rompono, mentre tu hai fatto bene a ricordare che una metafora riferita alla storia dell'umanità non può evitare di considerare che i pioli si possono rompere e che la faticosa ascesa non solo non è mai conclusa ma può trasformarsi in ogni momento in caduta e necessità di ricominciare. Per questo aspetto direi che la rottura dei pioli della scala di Orvieto, se da un lato è nel ciclo normale delle cose umane - che appunto vanno su e vanno anche giù (del che non ci si può stupire più di tanto) -, dall'altro presenta caratteristiche tali che la loro riparazione, se non si verificheranno certe condizioni (che peraltro noi del COVIP diciamo ormai da molti mesi), potrà ad un certo punto essere assimilata più alla "fatica di Sisifo" (il mitico fondatore di Corinto che, per punizione di Zeus, è costretto nella perenne condizione di dover spingere un masso dalla base fino alla cima del monte per poi cadere giù e ricominciare la faticosa scalata) che non alla paziente opera del contadino di sempre o dell'artigiano di ieri o del professionista di oggi.

Mi sembra che questa potrebbe essere la scalata a cui siamo condannati (anzi, ci siamo condannati), se dovesse risultare acclarato che ci riguarda da vicino quanto dice il magico poeta Giovanbattista Casti, tuo compaesano, nei versi che seguono immediatamente quelli che tu citi e che recitano così:

Più ancor raro è trovar fra i concorrenti
A luminose dignità primarie,
Chi siane degno per virtù e talenti,
E per le qualità che necessarie
All' alto grado son che si desira ,
E a cui lo stuol de' candidati aspira.

Nella sua prefazione al poema poi egli dice: "Fin da' tempi più remoti, l'ingenuo scrittore e il franco filosofo si sono assai sovente trovati in caso di dover involgere nel velo dell' allegoria certe ardite verità, che i riguardi adottati dalla molle società qualificano per dure e pungenti, o che l'intolleranza dell' arbitrario potere perigliose rende a quei che hanno il coraggio di proferirle apertamente". Il poeta dunque usa legittimamente l'allegoria. A noi però di conseguenza non restano che le ardite verità.

Ed ecco dunque la seconda riflessione, che finalmente riguarda il progetto per la nostra "Piazza delle Erbe" (di passaggio va notato che le città che hanno una storia radicata nella notte dei tempi hanno una "Piazza delle Erbe"). L'idea è splendida, sia per la riscoperta di autenticità degli spazi urbani e per la rivisitazione dei loro propri elementi funzionali e di arredo, sia per la proiezione sull'oggi di modelli di produzione e di vita vissuta che potrebbero rappresentare un tassello significativo dell'operazione di rilancio sulla quale saremmo tutti tenuti unitariamente ad impegnarci. Ripeto, idea splendida. Essa mi ricorda i nostri sogni degli anni ottanta, poi diventati progetto e progetti, quando cercammo di trasformare il patrimonio naturale e storico della nostra città, che era diventato un problema apparentemente irrisolvibile, in una risorsa per uno sviluppo possibile. Ed è seguito tutto quello che è seguito: i successi e le sconfitte, le cose belle e quelle brutte, ciò che dura e ciò che passa, i pioli sicuri e quelli rotti. Il segno però, la percezione che ne è derivata, non è l'equivalenza tra i due aspetti, ma la netta prevalenza del secondo, quello negativo, fino al punto di farci temere di aver imboccato la discesa di una decadenza irreversibile.

La tua proposta per Piazza delle Erbe ha la natura, la logica, del progetto generale di rilancio della città che formulammo negli anni ottanta. Alcuni dissero outopia = nessun luogo (cioè non realizzabile); noi dicemmo eutopia = buon luogo (cioè valido e possibile). Ed essendo valido, divenne anche possibile. Come puoi capire, caro Pier, mi sento coinvolto in profondità, intellettualmente e moralmente. E sai che è questa la prospettiva che va riproposta con forza, ovviamente attualizzata, per ricollocare la città e il territorio di Orvieto in una traiettoria fondata sulla speranza di futuro. Ma non posso evitare di chiedermi e di chiederti: quando si farà una riflessione seria, vera, sul perché quella logica è stata fermata fino a rovesciarla? E quando incominceremo a togliere quel velo del poeta per scoprire tutta intera la verità anche sull'oggi? Perché, senza di ciò, non solo non faremo nessun passo avanti, ma di fatto vedremo vincere la logica della pialla, quella che pareggia ogni increspatura prodotta da chi fa le cose per bene, con lealtà, professionalità e buon gusto. Vincerà la pialla di chi ha in odio la qualità e predilige la mediocrità. E allora è necessario anche domandarci: quando sarà possibile rompere quel cerchio subdolamente violento, che accomuna il di qua e il di là (i segni sono consistenti), che è la depressione di ogni iniziativa di reale innovazione, lo schiacciamento del merito, la cura del 'particulare' all'interno della ristretta rassicurante catena degli amici amici? Noi, che siamo amici ma non la catena degli amici e che lavoriamo per il bene generale (anche e soprattutto di quelli che non ci sono amici), saremo condannati da un nuovo Zeus alla fatica di Sisifo? O riusciremo finalmente a spezzare il cerchio magico di una logica che continua consolidata dal tacito accordo sul principio del levati tu che mi ci metto io, per continuare meglio quello che facevi tu? In fin dei conti la sintesi del ragionamento è questa: se dovesse vincere la logica della pialla, a noi rimarrà non la scala a pioli per cercare di raggiungere comunque una prospettiva più ampia, ma solo la fatica di Sisifo. E allora che tristezza!

Tuo Franco


da Mario Tiberi

Amici miei carissimi,

Il Vostro fraseggiare, colto e incalzante, mi scatena antiche passioni e più recenti emotive meditazioni. Avremmo a portata di mano alcune degne soluzioni ai molteplici problemi che affliggono la società orvietana, ma per infingardaggine o, peggio ancora, per ormai conclamata insipienza non si è in grado nemmeno di tentarne un principiante abbozzo di impostazione risolutiva.
L'attuale compagine consiliare, a parte talune illustri eccezioni, mi offre sempre di più la sensazione di non essere all'altezza della gravità emergenziale in atto e affermo ciò, sconsolato e rammaricato, assumendomene tutta la responsabilità in essa insita.
Di questo passo, se non si avrà la forza e il coraggio di cambiare marcia, accanto alla "Fatica di Sisifo" avremo presto da aggiungere "Il supplizio di Tantalo".
Ritrovando in Voi valide motivazioni per non demordere e coltivare rinnovata speranza, Vi abbraccio fraternamente assieme al Direttore Dante Freddi. 



da Flavio Zambelli

Carissimi amici questa volta sarò breve e conciso. Colgo l'occasione per rivolgere i migliori auguri di Buon Natale alla nostra Associazione COVIP e quindi , a  tutti voi : A Franco, che si è assunto l'onore e l'onere di guidare il COVIP in questa fase importante; a Pier, che è stato sempre puntuale in Consiglio comunale nel presentare  interpellanze e mozioni che avessero anche il marchio del COVIP; a Mario, grande umanista e scrittore di romanzi, impegnato( finché ne avra' tempo e voglia) nel romanzo molto più tragico di salvare il salvabile nel PD; a Massimo la cui abilità  nel saper leggere i Bilanci di aziende pubbliche e private ha consentito di dare al COVIP un 'impronta propositiva nelle materie economiche e finanziarie; a Luciano che con la sua partecipazione,ha  aumentato il numero dei consiglieri comunali interessati a proseguire il percorso del COVIP; infine tanti auguri al nostro grande Direttore Dante Freddi sempre pronto a proporre e diffondere sul web notizie e riflessioni importanti per il COVIP e per la Città in generale. Buon Natale anche agli amici che per un certo periodo hanno seguito con interesse IL COVIP pur senza partecipare poi alla fase fondativa dell'Associazione; Buon Natale a tutti i nostri lettori.


La rubrica di Orvietosì  "A Destra e a Manca" è alla sessantaduesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.

Per verificare le pubblicazioni passate clicca qui.

Pubblicato il: 20/12/2010

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