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E' ora di fare una politica territoriale e di accettare la sfida delle unioni comunali

Per "A destra e a Manca" la soluzione è la collaborazione tra i comuni nella organizzazione e gestione dei servizi...Contributo da Flavio Zambelli

Caro Franco,

abbiamo avuto già occasione di stigmatizzare come una grande bufala l'opinione diffusa che i comuni italiani sono troppi e quindi sono d'intralcio al buon funzionamento delle autonomie locali. Abbiamo già osservato che i comuni francesi, a quasi parità di popolazione nazionale, sono quasi cinque volte più numerosi di quelli italiani, eppure funzionano.

La soluzione è la collaborazione tra i comuni nella organizzazione e gestione dei servizi.

Le unioni dei comuni, introdotte dalla riforma degli enti locali del 1990, non hanno dato i risultati sperati. Si ritiene che sia dipeso dalla volontarietà delle unioni, che cozzava contro il campanilismo. Ma si tratta di una mezza verità. In effetti, i comuni sono, per loro natura, gelosi della loro autonomia. Si uniscono solo quando vi sono costretti da pressioni finanziarie (stato e/o regione premiano i comuni aggregati e puniscono quelli isolati) o da prescrizioni legislative. La soluzione più efficace è la prima, perché lascia un margine di scelta ai comuni. Ma la politica dei premi e dei castighi è stata fatta in modo molto marginale e quindi non ha avuto successo. Alcune regioni hanno scelto la soluzione legislativa, che non ha avuto successo perché trascurava del tutto l'elemento volontario. In particolare, la regione Umbria ha creato quattro Ambiti Territoriali Integrati (ATI) corrispondenti, grosso modo, alla Provincia di Terni, all'Alta Umbria, all'area Foligno - Spoleto - Valnerina e all'area Perugia - Valle Umbra - Trasimeno - Media Valle del Tevere. Agli ATI è stata conferita la gestione integrata dei servizi fondamentali (acqua, rifiuti, sanità e servizi sociali). Le autonomie comunali sono state vanificate coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Quanto alle comunità montane, dopo averle ridotte di numero, l'Umbria sta cercando di chiuderle e di accorparne le funzioni nell'Agenzia regionale umbra dello sviluppo in agricoltura (Arusia).

Strana storia questa delle comunità montane. Esse nacquero sulla base di principi sanissimi: i territori montani ospitano popolazioni che, con le loro culture diversificate, arricchiscono il patrimonio antropologico della nazione (si pensi alla minore distanza tra classi sociali e alla maggiore solidarietà presenti nelle zone montane) e quindi devono essere salvaguardate dall'omologazione alla cultura di pianura; inoltre la permanenza di popolazioni e di coltivazioni nelle zone montane tutela il territorio dal degrado idrogeologico e dall'attecchimento di attività illegali. Così le comunità montane furono gonfiate di funzioni, di denaro e di comuni che poco o punto avevano di montano. Il parlamento nazionale, negli tagli della spesa pubblica, ricorrenti puntualmente un paio di volte all'anno, tagliò progressivamente i fondi, asfissiando le comunità montane. Leonardo Sciascia diceva dei mafiosi che "prima ti chiacchierano, poi dicono che sei chiacchierato". Il parlamento adoperò lo stesso metodo: prima affamò le comunità montane, poi disse che erano malate e che le regioni potevano abbatterle.

A parte ciò, le scelte della regione Umbria sono emblematiche della mentalità approssimativamente illuminista e provincialmente tecnocratica che circola nelle logge massoniche perugine, dove il personale politico di sinistra è affluito in massa. A destra sospettano che vi sia pure l'intenzione di abbassare la cresta alle poche amministrazioni comunali di centrodestra che, più gli enti sovracomunali sono grandi, meno esse contano. A pensar male

Stando così le cose, al nostro comprensorio non resta che tentare la strada dell'unione di comuni per  dotarsi di una massa critica che possa fronteggiare la provincia e la regione e possa anche interloquire con i territori contigui della Toscana e del Lazio. Si aprirebbero ampie prospettive nel turismo, nell'istruzione, nelle attività per la terza età e in altri settori che lascio a te indicare.

Perché nessuno si muove in tal senso?

Mi aiuti a far capire quello che stiamo perdendo e a capire perché non lo si capisce?

Tuo Pier

Caro Pier,

parto dalla coda e arrivo subito al centro della questione. Francamente è difficile anche per me capire perché non si capisce (più precisamente: perché le classi dirigenti a tutti li livelli, ma soprattutto quelle dei comuni, non capiscono) che muoversi oggi verso un superamento del particolarismo locale, cioè di quello che siamo soliti chiamare localismo, è la scelta fondamentale, un vero e proprio investimento sul futuro, quello vicino e non solo quello più propriamente futuro in quanto lontano. Altre volte ho usato espressioni forti, parlando addirittura di rivoluzione, una rivoluzione culturale, un rovesciamento di prospettive e di priorità, che naturalmente non può avvenire se non attraverso un percorso progettato, voluto, organizzato e verificato. Cioè idea, volontà e metodo. Certo è giusto chiedersi: ci sono? Vediamo più da vicino.

Il panorama nazionale non ci aiuta. Ci sarebbe bisogno di una riforma generale della struttura statuale nel segno di un federalismo efficiente e responsabile che, se ci si ferma agli atti finora compiuti, sinceramente non si vede. Si sa però che a livello europeo si guarda con molto interesse al "Patto dei Sindaci" ("Covenant of Mayors": un'iniziativa lanciata dalla Commissione Europea il 29 gennaio 2008 per coinvolgere attivamente le città europee nel percorso verso la sostenibilità energetica ed ambientale, che si è espansa a macchia d'olio anche in diverse regioni italiane), nel senso che se ne vorrebbe estendere l'ambito di azione ben oltre il campo dell'energia. E la ragione è che coinvolgere i sindaci significa responsabilizzare le comunità locali per raggiungere con più realismo gli obiettivi della nuova strategia di Lisbona (Europa 2020): obiettivi precisi, comportamenti coerenti, controlli; ma anche sicurezza di gestioni corrette, risparmio individuale e collettivo, efficienza. In quali campi, oltre quello dell'energia? Innanzitutto i rifiuti. E poi l'acqua e il gas. Ma allora gli ATI (o altrimenti detti ATO, ATA, ecc.)? Non sono un verbo, possono essere buttati via, se non servono. Comunque oggi sembra essersi diffusa la consapevolezza che non esistono ambiti ottimali di gestione onnicomprensivi: gli ambiti vanno decisi sia rispetto alle materie sia rispetto ai territori. Sembra che questo tipo di problemi sia in discussione anche in qualche commissione del nostro Parlamento, ma non se ne conoscono esattamente i termini, né tanto meno si sanno i tempi di eventuali provvedimenti legislativi o di atti di indirizzo per i governi regionali.

E in Umbria? Nella nostra regione la discussione c'è, si sa che esiste. Si sa ad esempio che c'è la volontà di mettere in discussione l'attuale assetto dell'organizzazione sanitaria: 4 ASL e 2 Aziende Ospedaliere sono indubbiamente troppe. Anche gli ATI (modellati territorialmente sulle 4 ASL), ai quali sono state attribuite materie quali sanità, politiche sociali, rifiuti, ciclo idrico integrato e turismo, sono in discussione, in realtà in ambienti molto ristretti e senza che sia in vista un coinvolgimento vasto e urgente della società regionale. Tuttavia la questione è stata posta, e nei prossimi mesi un orientamento verrà a maturazione. Se si pensa che la messa in discussione degli ATI avviene a distanza di poco tempo dalla loro istituzione, si comprende bene quanto sia forte l'esigenza di porre mano ad un riordino che guardi sul serio al futuro facendo tesoro sia dei nostri errori che delle esperienze positive degli altri. Discorso non molto dissimile vale per le Comunità montane, sul cui compito storico sono d'accordo con te, ma sul cui ruolo utile e propulsivo per l'oggi e per il domani, almeno stando a ciò che è accaduto dalle nostre parti, nutro forti perplessità. Dunque discutere di tutto ciò anche a livello locale sarebbe utile, certamente più utile delle consuete diatribe sul quasi niente.

L'impressione che ho, caro Pier, è che la crisi in atto costringerà anche le classi dirigenti locali più conservatrici a diventare, anche se obtorto collo, riformiste. Naturalmente c'è poi riformismo e riformismo, nel senso che anche le riforme possono diventare storte e perfino stolte. Ma questo si vedrà. Il punto decisivo è che comunque si andrà verso un aumento di responsabilità decisionale in capo alle amministrazioni territoriali regionali e agli enti locali, in particolare i comuni.

Mi auguro anch'io, come te, che a livello regionale si capisca finalmente che il tempo del regionalismo guidato dall'alto ha concluso la sua traiettoria storica e, aggiungo, che il policentrismo umbro gestito centralisticamente è una contraddizione in termini, che più resiste più diventa un ostacolo per qualunque tipo di futuro si voglia immaginare. Ci vuole un policentrismo molto più flessibile, riguardo sia alle materie che alle aggregazioni, non certo nel senso che si deve permettere la moltiplicazione arbitraria degli enti, ma all'opposto nel senso che, fissati i paletti essenziali, poi ci deve essere una capacità di discernimento e una capacità decisionale affidata alle comunità locali. Si incentivino allora sul serio le aggregazioni dei comuni nelle materie di interesse delle rispettive popolazioni e si lasci loro la libertà anche di superare, nelle materie non di pertinenza regionale, i confini amministrativi delle stesse regioni di appartenenza. 

Si tratta di un percorso certamente difficile, ma anche davvero affascinante, purché lo si veda e ci si creda come la prospettiva su cui si possono e dunque si debbono oggi canalizzare gli sforzi di modernizzazione.

Per noi che abitiamo una zona di confine, una cerniera tra tre regioni, la prospettiva dell'aggregazione dei comuni, in dimensione locale sì, ma di area vasta fino a diventare interregionale, riveste il significato, oltre che di una sfida decisiva nel quadro delle necessità del tempo presente, anche quello della ripresa di un ruolo storico territoriale mai dimenticato sul piano culturale, che oggi però può assumere natura e veste progettuale. Purché su questa, come su diverse altre idee, non venga calato il panno nero dell'ignoranza (nel senso del voler ignorare) e della noncuranza. Non c'è solo da risanare il bilancio, c'è anche da guardare avanti, ora, non dopodomani. So bene che sei d'accordo. Che lo sappiano però anche gli altri, di qua e di là, che uscire dal pantano si può, se si allunga un po' lo sguardo e se davvero lo si vuole.

Tuo Franco


da Flavio Zambelli

Caro direttore, caro Pier, caro Franco, l'argomento dell'Unione dei Comuni da voi proposto rappresenta una scommessa importante soprattutto in chiave futura; nel frattempo  ci avviamo ad una settimana importante per le sorti del nostro Paese. Si tratta di sapere se il Governo Berlusconi, continuerà ugualmente utilizzando pezze d'appoggio di parlamentari in odor di trasformismo,( o di ripensamento nel caso di Futuro e Libertà), oppure cadrà e a quel punto si apriranno nuovi scenari. Scenari che ovviamente saranno importanti e condizioneranno anche i nuovi posizionamenti e i nuovi raggruppamenti a livello locale orvietano. Anche nella nostra Città si attendono scelte importanti e decisive. Intanto ancora non si sa se,finalmente si porterà a votazione finale la mozione di Pier sul cambio di destinazione d'uso al PRG sui calanchi. Voci sinistre annunciano che ci sarà un altro ennesimo rinvio. E poi c'è la questione delle questioni: la trattativa con la Interpark di Milano per l'assegnazione della gestione dei Parcheggi non insilati. Di questi benedetti 2.800.000 euro necessari per le disastrate casse comunali ancora non si hanno notizie; se voi siete più informati di me fatemi sapere. Intanto il tempo passa, il 31 dicembre è molto meno lontano di quello sembra; e il Commissario è ancora dietro l'angolo; Si ha l'impressione che la Interpark voglia tirare la trattativa fino all'ultimo secondo dell'ultimo giorno utile. Dopodiché se tutto sfuma  c'è lo sfondamento del patto di stabilità con tutte le conseguenze del caso. Intanto è' stato riaperto anche il bando per l' assegnazione di 310 posti auto ,q uesta volta con concessione di 99 anni ; e quindi con il pagamento ulteriormente dilazionato, dopo che il primo bando era andato fallito. E' andato in fallimento anche il secondo bando per la vendita del mattatoio; Si sta tentando una difficile rinegoziazione degli Swap, che però non risolverebbe  il problema del debito pregresso. Ancora non sono andate in porto le vendite di palazzi comunali importanti come preventivato nel Bilancio. Ricordare queste cose non significa essere detrattori e catastrofisti , come   accusa il Consigliere Turreni; significa semplicemente fotografare una realtà di grande difficoltà per questa amministrazione di centro-destra. Se io dico che l'Inter di Benitez ha già perso una decina di partite tra Campionato e Coppe, mica vuol dire che sono anti-interista o ce l'ho con Benitez. Ho semplicemente elencato con oggettività, una seria difficoltà in cui si trova quest'anno l'Inter dell'allenatore Benitez. Il paragone è valido soprattutto perché Benitez , come i nostri amministratori locali, dà le colpe a chi c'era prima. In pratica Benitez dice che Mourinho gli ha lasciato i giocatori stanchi e spompati, così come gli attuali amministratori della Giunta comunale dicono che è tutta colpa di quelli che c'erano prima. Il presidente dell'Inter Moratti gli ha ricordato che l'allenatore dell'Inter adesso è lui; ed è lui che deve trovare soluzioni: Se non è in grado dovrà trarne le conseguenze. Naturalmente il paragone ,invece, tra Mourinho e le precedenti giunte di centrosinistra non è fattibile. Perché  Mourinho ha portato l'Inter a storici successi; il centrosinistra invece ha portato la Città di Orvieto in una situazione finanziaria disastrosa: e questo è un altro dato di fatto oggettivo e incontestabile. Anche l'opposizione del PD è in grande difficoltà nel costruire una proposta alternativa di governo cittadino. Siamo arrivati al paradosso che IL COVIP, a livello di proposta e di contenuti , ha incalzato molto di più l'Amministrazione di quanto non abbia fatto finora l'opposizione del PD. Da parte del Partito Democratico, aldilà di gesti eclatanti come la denuncia al Prefetto, è mancata la proposta politica alternativa. Intendiamoci, non che stare all'opposizione gli faccia male; anzi; per come ha amministrato prima, dovrebbe pagare pegno  stando all'opposizione almeno dieci anni. Periodo sufficientemente lungo per imparare bene come si fa .IL COVIP, è bene ricordarlo, nei momenti drammatici e cruciali della nostra Città, non ha mai fatto mancare il senso di responsabilità, vedi le posizioni sulle votazioni del Bilancio. Per restare al paragone di cui sopra, per il momento Benitez è riuscito ad evitare l'esonero del presidente Moratti. Ma la pazienza dello stesso Moratti non sarà sempre infinita. Naturalmente qui non si augura l'esonero a nessuno né a chi amministra né tantomeno a Benitez. Ma credo che sia necessario che gli Amministratori  si adoperino per  evitare "l'esonero" da parte del popolo orvietano; che nel segreto dell'urna, quando ci saranno le prossime elezioni comunali, dovrà dire se è rimasto  soddisfatto o meno......E sperando che "l'esonero" non arrivi prima da parte della Corte dei Conti o del Commissario. Perché in questo caso ad essere "esonerata" sarebbe la città di Orvieto. E noi, cari amici, non possiamo né esserne contenti, né permettere che ciò avvenga. Un caro saluto a tutti voi.


 La rubrica di Orvietosì  "A Destra e a Manca" è alla sessantunesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
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La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 13/12/2010

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