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Breve meditazione sulla baraonda dei partiti

' A Destra e a Manca'. Una riflessione sugli ultimi decenni della vita politica orvietana. Contributi da Flavio Zambelli, Fausto Cerulli, Massimo Gnagnarini

foto di copertina

Caro Franco,

il recente corsivo di Mario e Chiara Tiberi, intitolato "Intelletto umano: il suicidio indotto", mi ha dato un'occasione in più di provare il gusto della  lettura lenta e della meditazione sul testo scritto. È un'abitudine che è difficile mantenere nel contesto che i due Tiberi hanno efficacemente descritto e stigmatizzato. Daniel Pennac, nel suo libro del 1992, "Come un romanzo", ha scritto: "Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo del vivere".

Meditando dunque sul testo dei Tiberi, non poteva non venirmi in mente la politica nazionale e locale che ci coinvolge. Mario è addirittura protagonista di una convulsione del PD che riverbera la crisi nazionale di quel partito, con l'aggravante della crisi isterica locale, dovuta alla novità delle elezioni comunali del 2009. I clan di origine contadina, quelle famiglie allargate che, dalla metà del secolo scorso, fecero cosa propria del partito comunista e (grazie alla collaborazione della borghesia di sinistra) dell'amministrazione  comunale di Orvieto, cominciarono il loro declino nel 2004. Fino ad allora i vari leader dei clan s'erano guardati dall'occupare la poltrona di sindaco. Si erano sempre serviti di personaggi estranei ai clan, peraltro quasi mai nati in Orvieto. Si trattava di una scelta astuta perché manteneva in equilibrio i clan, impedendo che uno di essi emergesse troppo sugli altri. Inoltre teneva tranquilli i borghesi e gli intellettuali di sinistra, i quali, dato il loro imprinting, diffidavano della furbizia contadinesca. La strategia comportava dei rischi, perché i sindaci, in alcuni casi, cercavano di fare i sindaci. Ma la forza e la sintonia dei clan era tale che, quasi istintivamente e con tempestività, mettevano mano alla garrota e strangolavano il sindaco indisciplinato.

Ma l'ingresso dei cattolici nel partitone post-comunista pose le basi per una svolta epocale. I clan dovettero rassegnarsi a eleggere sindaco un piccolo borghese di cultura politica cattolica. Sennonché, quando si trattò di riconfermarlo o meno, persero la bussola nel giochetto di moda: le elezioni primarie. La bussola gliela fecero perdere una parte dei cattolici, che, per l'innato gusto di rivaleggiare tra di loro, preferirono una donna di clan. E "la sventurata rispose", come avrebbe detto il Manzoni.

Toni Concina non sarebbe passato senza la vendetta di una parte dei cattolici del PD, ma nemmeno senza il voto di una parte dei membri dei clan rossi.

Ma, tanto per metterti completamente a parte delle mie meditazioni (chiamale, se vuoi, elucubrazioni) ti propino le considerazioni con le quali conclusi, alcuni anni fa, un mio saggio politicamente molto scorretto: Elogio di Papa Mastai. Esse mi aiutano a leggere quel che sta succedendo nel partiti. E mi consentono di sollecitare la tua reazione di storico, ma anche di politico e di ex sindaco, sperando di averti fatto fischiare le orecchie.

 "Oggigiorno nemmeno Pio IX rivendicherebbe il potere temporale; ma non per ragioni di principio, invece perché la  secolarizzazione di massa, prodotta dai veleni della modernità, e la democrazia di massa, in cui non si può prescindere da un vasto consenso per le trasformazioni epocali, rende improponibile un discorso, anche se rivisto e corretto, in tal senso. Per questo il potere temporale del Papa, o meglio il problema dell'autonomia e della libertà della Santa Sede, è un argomento completamente accantonato. Tanto che la stessa Chiesa italiana parla come se il problema non esistesse; ma si tutela e continua ad agire concretamente - poiché altro al momento non le è concesso - per controllare, condizionare e orientare la politica italiana. Non solo, ma i politici d'ispirazione cattolica, quasi d'istinto, una volta venuto meno il pericolo comunista e fattosi strada il bipolarismo, si sono ripartiti a destra, a sinistra e nel mezzo per sabotare il consolidamento di ciascuno degli opposti schieramenti. Infatti sarebbero guai per la Chiesa se l'uno o l'altro dei poli riuscisse a essere tanto forte da non aver bisogno dei cattolici.

Non è una situazione ideale per una democrazia moderna,  ma è ciò che l'Italia s'è andata a cercare poco più di un secolo fa, quando non ha dato retta a Pio IX."

Tuo Pier

Caro Pier,

lasciami dire che era piuttosto difficile dare retta a Pio IX. Se tu sei indulgente con lui, lascia a me di essere indulgente con i grandi del Risorgimento (da Mazzini, Garibaldi e D'Azeglio, a Cavour, Vittorio Emanuele II e, prima di lui, lo stesso Carlo Alberto) il cui obiettivo alla fine era il raggiungimento di quell'unità della nazione (per alcuni di loro solo un allargamento del Piemonte) che in altre parti d'Europa era stata raggiunta secoli prima. E quell'obiettivo era necessario raggiungerlo anche a costo di pestare i piedi al papa re, come poi in effetti avvenne. Certo, ne derivò la "questione romana" e la mancata partecipazione dei cattolici alla vita politica nel nuovo stato unitario, che fu un problema molto serio, un indubitabile elemento di debolezza del processo unitario e un rallentamento nel percorso di modernizzazione, finché non si giunse alla firma dei Patti Lateranensi tra la Chiesa e il regime mussoliniano l'11 febbraio 1929, nella realtà un accordo tra poteri molto terreni, piuttosto diverso e lontano dall'essenza di quell'idea di "libera Chiesa in libero Stato" di cui aveva parlato a suo tempo il conte di Cavour.

La storia ha dimostrato che la Chiesa non aveva per nulla bisogno di uno stato per vedersi garantita la propria autonomia di esistenza e la propria libertà d'azione. Per contro sia la Chiesa che i cattolici in politica sono stati sempre molto attenti a difendere precise prerogative di potere e i beni materiali spesso di più e meglio dei beni spirituali. Niente di male. Si può solo dire che sono stati in buona compagnia di altri magari più autentici materialisti. Ma in questa particolare storia di spirito che si fa volentieri materia e di materia che non si volatilizza mai in spirito, l'elemento davvero debole è stato sempre, in generale e anche a livello locale, lo spirito autenticamente borghese, quello che nell'epoca moderna ha improntato di sé l'Europa e l'ha fatta uscire dal sistema piramidale dei privilegi medievali e del particolarismo. La modernizzazione è avvenuta mai davvero in modo coerente e stabile? E la democrazia si è davvero sostanziata in pratiche autenticamente democratiche? Sarebbe interessante per esempio vedere da vicino quanto di autenticamente medievale e anche di neomedievale c'è nella natura e nel modo di funzionare di certe istituzioni, dove la difesa di logiche castali in disprezzo delle più elementari regole di libertà del cittadino viene praticata normalmente e ritenuta appunto normale, addirittura spesso con il consenso di non pochi moralisti di professione.

Ad Orvieto la condizione di una modernizzazione strozzata, quasi tagliata all'improvviso con l'accetta, si può constatare addirittura de visu, tanto forte è stata ed è la sua fisicità. Può sembrare che esagero, ma credimi, lo affermo non perché pensi che non ci sia stata o non ci sia una borghesia fatta di persone intelligenti e capaci, ma perché le idee di modernizzazione, quando si sono affacciate con chiarezza in un clima stracco e stagnante, sono state combattute soprattutto da quel poco di borghesia urbana che c'era.  Ed è qui che con tutta evidenza si è formata la base di consenso dei tagliatori di teste, ben prima che nel corpo stesso del partito dominante. Invidia, stupidità, superficialità, interesse? Non so, fate un po' voi. Magari di tutto un po'.

Tu spieghi le vicende orvietane con la furbizia dei clan familiari rossi che, in alleanza con una parte della borghesia, hanno fatto il bello e il cattivo tempo nominando a piacimento sindaci a loro graditi ma esterni ai clan per "garrotarli" a piacimento non appena si dimostravano un pochino indisciplinati. Su questo dirò tra poco, ma intanto mi preme chiedere ovviamente non solo a te se non sia vero che c'è stata almeno una fase nella storia recente di Orvieto in cui alcune persone collocate a sinistra senza paraocchi hanno posto problemi di cambiamento strutturale e di mentalità ed hanno coerentemente operato in tal senso e però, proprio per questo, sono state ferocemente combattute non solo dalla borghesia rossa di origine contadina ma anche dalla borghesia bianca, da quella nera e un po' anche da quella verde e gialla.

E' solo un caso? E' frutto di antipatia? Io credo che ci sia da scavare oltre i clan e oltre la stessa lotta di classe. Credo che ci sia qualcosa che ha a che fare con le stratificazioni culturali profonde, con interessi materiali molto precisi e molto più trasversali di quanto non si pensi. Credo inoltre che ci sia qualcosa che ha a che fare con dinamiche e poteri esterni alla città e con caste di vario tipo e importanza. Credo infine che ci sia anche qualcosa che ha a che fare con la dabbenaggine un po' ipocrita e spesso "scordarella" dei non pochi che parlano di cambiamento dando l'impressione di non intenderne bene loro stessi il significato.

E in modo più preciso, riferendomi (mi riguarda) ai "sindaci usa e getta", dico che non v'è dubbio che questa è stata la concezione che avevano non pochi dei comunisti che ho conosciuto, ma non temo di essere smentito se affermo che vi erano anche socialisti e democristiani che la pensavano così e che hanno agito congiuntamente di conseguenza almeno in un'occasione, o collaborando attivamente o semplicemente stando altrettanto attivamente a guardare. Penso anche che sarebbe onesto ricordare che questo è capitato a chi non solo aveva idee di rinnovamento reale, ma le praticava sul serio. Se non si parte da questo dato, che cioè, quando si è intrapresa una strada di profonda modernizzazione strutturale della città (che l'ha portata ad essere, checché se ne dica, una città davvero diversa, con reale possibilità di proiezione internazionale, capace di competere sul serio con analoghe città ricche di storia e di cultura, capace di organizzare eventi di spessore e di stimolare l'impianto di attività moderne, solo che lo si volesse e se ne fosse capaci), il ventre conservatore ha reagito ed ha fatto tutte le alleanze del caso per evitare il disturbo di una riorganizzazione in profondità delle attività sia produttive che dei servizi nel segno di una competizione libera e leale per far emergere e premiare i migliori e i più capaci, allora a mio avviso non si capisce nulla né della storia che precede gli anni ottanta né di quella successiva fino ad oggi. Nel rapporto pubblico-privato è difficile individuare chi ha svolto il ruolo di carnefice e quello di vittima. Nella promozione del merito e delle capacità invece non c'è dubbio che c'è stata la quasi unanimità nel negarne il bisogno di fatto nel momento stesso in cui ce se ne faceva formalmente paladini.

Il dibattito sulla storia della città più o meno recente forse si è appena avviato. La verità però, secondo me, è che conoscere in profondità questa storia sembra interessare realmente a pochi. Non si capisce però come si possa costruire qualcosa di serio se ci si limita alle apparenze e non si rimuovono le ragioni dei tappi sul futuro. Tra queste ci sono anche quelle che riguardano le persone, perché ha ragione Gnagnarini a dire che l'elemento persona è qualcosa di non secondario per spiegare quanto è accaduto e accade.

Chiara e Mario Tiberi hanno magistralmente riassunto il pessimo clima culturale in cui oggi viviamo. La nostra città è necessariamente immersa in tale clima e per giunta è messa male del suo, non solo finanziariamente. Come il nostro Paese, è messa male soprattutto perché non ha una classe dirigente adeguata ai bisogni. Partiamo allora da qui, perché si tratta di un punto cruciale, di una reale, dura, lotta storica di rinnovamento, che è iniziata qualche decennio fa (e non certo nel 2004) e continua oggi, seppure con modalità diverse e attraverso canali inconsueti. Il processo non è lineare, ma quale processo storico è stato mai lineare? Il marasma dei partiti, direi di tutti e non a caso soprattutto dei maggiori, non deve né preoccupare più di tanto né essere sottovalutato. La frammentazione infatti è il logico e inevitabile portato della frammentazione sociale e culturale. Si tratta di ricomporre, e sarà una fatica di lungo periodo, "una vita da mediano", per cui serviranno sì ottimi centrocampisti, ma anche qualche buon attaccante, qualche difensore coriaceo, un bravo allenatore e soprattutto un fortissimo spirito di squadra. Però con questo annuncio: "Astenersi mitomani, falsi rinnovatori e approfittatori di regime". Un contributo lo possiamo dare anche noi, caro Pier, e credo che in effetti lo stiamo già dando.

Tuo Franco


da Flavio Zambelli

Caro direttore, caro Pier,caro Franco, molto più modestamente io non andrò a scomodare ne' Pio IX, né tantomeno i vari  Mazzini, Cavour, Garibaldi e quanti altri nel Risorgimento hanno contribuito a raggiungere e consolidare l'unita' d'Italia. Ritengo certamente interessante da un punto di vista artistico-letterario, la nuova coppia dei Tiberi. Ad affiancare il nostro amico Mario,( ormai  sempre più sulla cresta dell'onda nel quadro politico-culturale orvietano), ci ha pensato la figlia Chiara, neo-laureata in etica delle relazioni umane. Già; etica delle relazioni umane. Farei frequentare un corso di questa disciplina  a chiunque voglia avvicinarsi ai partiti politici. Potrebbe  essere utile a molti; soprattutto ai giovani; anche ai meno giovani; ma in questo caso chi è abituato da anni a una certa mentalità, potrebbe essere  più refrattario a certe novità culturali. Penso che sia utile ai giovani, perché chi è ancora in età verde (15-25 anni) tende a vedere tutto quanto secondo un' impostazione di tipo manicheo: o è bianco o è nero. A volte invece esistono anche le sfumature: esiste anche il grigio. Ragionano in maniera così netta e perentoria soprattutto quei giovani che si avvicinano a gruppi o  movimenti con una forte caratterizzazione ideologica . Il richiamo ideologico a quei riferimenti culturali che hanno segnato anche tragicamente la storia del'900, è ancora assai forte . Allora, con questo modo di ragionare manicheo, si perde di vista l'importanza di conoscere a fondo il valore e la qualità di una persona, di un individuo; bisogna vedere la persona umana come una possibilità di crescita e di arricchimento. Invece da parte di certi soggetti ideologizzati, prima viene l'ideologia, poi dopo viene la persona umana. E allora ,in nome di quell'ideologia, si sacrificano tutte le relazioni umane , privilegiando solo quel tipo di relazioni che si identificano con l'ideologia-base di riferimento. Io credo che invece vada ribaltato il concetto.; bisogna privilegiare l'individuo riconoscendone le qualità e stringendo importanti relazioni umane; poi dopo viene l'ideologia  come supporto culturale . Esempi di questo modo di ragionare pregiudiziale e ideologizzato li vediamo tutti i giorni anche sul web e nei più importanti Social-network . Chi segue queste logiche preconcette se ne assumerà le responsabilità e  ne pagherà le inevitabili conseguenze anche nelle vita di tutti i giorni. Ma per fortuna ci sono giovani che ragionano per costruire meglio un futuro insieme. Il mio pensiero di questi giorni va a quei ragazzi  che si sono dati appuntamento alla stazione di Firenze. La manifestazione "Prossima fermata-Italia" promossa dal sindaco fiorentino Matteo Renzi, ha richiamato migliaia di giovani da tutta Italia. Renzi è impegnato, insieme al consigliere regionale lombardo Giuseppe Civati , in un opera di profondo rinnovamento generazionale della politica italiana in generale. Non solo quindi del loro partito di appartenenza. Sulla situazione orvietana di quel partito ne abbiamo già parlato abbastanza. Ora un attimo di stop; se no è come sparare sulla Croce rossa.  Renzi e Civati sono giovani che hanno trovato "gli attributi" di dire alla gerontocrazia partitocratica di farsi da parte, usando un termine anche provocatorio , "rottamare". Sono questi i giovani veri . Il giovane deve crescere secondo un'etica che formi l'individuo all'interno di una rinnovata comunità civica. Come diceva Geremia Bentham " Colui che farà le nuove leggi, dovrà farle per il bene della collettività; perché il bene della collettività...è scienza." Un saluto a tutti con affetto


da Fausto Cerulli
mi chiedo se io sono a destra o a manca. Della manca mi manca la destrezza, della destra  mi opprime il sinistrismo. Sembra di essere in vacanza, in una stanza d'albergo senza quadri con gli avi dipinti, e senza foto di fanghiglia. Mi assomiglia talora il brancolare, potrei essere monarchico, sono stato socialista, psiuppino, rifondarolo, radicale. Non c'è male, quanto a coerenza. Ma ho fatto tutto con coscienza, senza avere la scienza dell'affare, ovvero, politica e dell'affare il male.  Ho provato  l'affare, ovvero il fare della politica. Sono stato beffato e malcrino. Fino a quando ha capito che non ho capito niente, e gli altri avevano capito che ero in buona fede, senza avere fede, intervengo nel dibattito tra Francco e Pierluigi come ad un banchetto nuziale. Tutti attendono la sposa, non arriva, il matrimonio però non si rinvia. Sia matrimonio unilaterle. La luna di miele sarò disturbata dalla masturbazione o sarò masturbata dal disturbo.


da Massimo Gnagnarini

All'origine, come dice Pier, c'erano i clan contadini, ma c'erano anche gli agrari.
La classe operaia, del resto, non ha mai abitato a Orvieto perché gli operai e le operaie erano e sono dispersi, pionieri del moderno pendolarismo, nei limitrofi o più lontani siti industriali, in conseguenza di una non mai attecchita classe imprenditoriale domestica.
Il capitale, quello sì disponibile in quantità , è rimasto ad ammuffire nei forzieri della Cassa di Risparmio per oltre un secolo presidiato nei suoi c.d.a. costituiti da vecchi signori e signorotti preoccupati solo di aggiungere qualche monetina alle loro rendite finanziarie.
La borghesia , di destra o di sinistra, a Orvieto, ha sempre contato poco. O meglio si è potuta occupare delle faccende politiche, ha certamente garantito il tessuto burocratico ed esecutivo , ma la città non gli è mai appartenuta. Anzi, in certi casi, la borghesia orvietana è stata "prudenzialmente" tenuta ben lontana dalle postazioni di potere più sensibili come, per esempio, è stato per la direzione della banca locale, sempre affidata a figure  esotiche come, del resto , anche oggi è per il sindaco e l'assessore al Bilancio, l'uno dalmata e l'altro meneghino.
Contadini e agrari contrapposti per antonomasia, cominciano a divenire le due facce di una unica "loggia" potentissima a partite dagli anni settanta, quando si conclude definitivamente la riforma agraria iniziata nel dopoguerra . I patti agrari determinano che gli  "scarpe grosse e cervello fino" diventano proprietari e gli antichi padroni finanzieri.
Un mix micidiale che ha messo sotto vuoto il futuro della città. I primi hanno speculato sulla terra trasformandola nei brutti quartieri dormitorio di Orvieto e i secondi si sono ancor più arricchiti speculando sul debito pubblico che pagava fino al 18% gli interessi al loro capitale . Molto meglio di quanto la "robba" avrebbe potuto dare.
E' ancora così? Forse no, perché il mondo è cambiato e ci sono eccezioni di eccellenza nel settore agricolo orvietano, ma la mentalità è ancora quella e i più giovani imprenditori si scontrano ancora contro quel duopolio terra e rendita senza poter beneficiare di politiche locali svolte a loro favore.
La borghesia orvietana, caro Franco, se ne frega e se ne è sempre fregata delle idee e dell'innovazione, perché il suo status gli è garantito non dal mercato o dai successi dell'imprenditoria privata locale incapace di produrre carriere e ricchezza, ma solo dal pubblico, sia quello statale che quello locale.
Non sorprende, dunque, che questa nostra città sia il posto più conformista e conservatore che io abbia mai visto e constatato.
Abbracci affettuosi.



La rubrica di Orvietosì  "A Destra e a Manca" è alla cinquantaseiesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.
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Pubblicato il: 08/11/2010

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