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Dai lamenti alle proposte. Un passaggio difficile, ma obbligato e urgente

" Le parole sono potenti abortivi. Il grano fa rumore germinando? Avete mai sentito cantare un uccello che cova?". Quindi è l'ora dell'azione

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Caro Pier,

mercoledì scorso ho assistito al dibattito del Consiglio comunale aperto sul futuro e il ruolo della stazione ferroviaria di Orvieto. Ho ascoltato con attenzione l'introduzione del presidente, gli interventi del pubblico e dei consiglieri, i contributi del rappresentante di Trenitalia Fabrizio Imperatrice e dell'assessore regionale ai trasporti Silvano Rometti, e infine le conclusioni del sindaco Toni Concina. Ho ascoltato, debbo dire con particolare attenzione, il tuo intervento, che mi è sembrato tra i più centrati ed efficaci. Ho ascoltato, e quando a seduta conclusa mi sono alzato ho provato una sensazione di vuoto, come accade quando si partecipa ad eventi che eventi non sono, cerimonie, la cui natura è di nascere e morire nello stesso momento.

Non voglio essere equivocato: tutto opportuno, tutto necessario, tutto doveroso. Bene il Consiglio, giuste le preoccupazioni, fondate le richieste, apprezzabili le intenzioni e gli impegni, ineccepibili i toni. Ma, alla fin fine, a parte lodevolissime eccezioni, ha occupato saldamente la scena l'immagine di una città sconfitta, peggio, adagiata sulla sconfitta. Una sconfitta tanto più chiara quanto più mascherata da qualche parola forte di tardiva ed inutile minaccia di azioni forti.

Il lamento era alto e generale, ma era un lamento. Qualche accenno a problemi di fondo, ma appunto solo qualche accenno; non un'analisi né di breve né di lungo periodo; non proposte operative concrete e credibili; non una visione d'insieme in cui collocare la questione specifica della stazione e della mobilità delle persone e delle merci. Per di più nessun riferimento organico al contesto provinciale, regionale e interregionale, in cui collocare le questioni di Orvieto.

Un'occasione persa? No, secondo me era inevitabile che così andasse. E la ragione è che la sconfitta e l'adagiarsi sulla sconfitta appartengono ad aspetti di non breve periodo della storia della città. C'è stato tempo addietro - ormai l'ho sottolineato più volte -un tentativo serio di affermare un ruolo protagonista di Orvieto in Umbria con una proiezione progettuale di alto profilo e insieme realistica, ma esso fu contrastato dalla stessa classe dirigente orvietana abituata alla sola spartizione di povere prebende. C'è stato in tempi più recenti un altro tentativo di contare, sviluppato prevalentemente sul terreno della proiezione personale su cui nel frattempo si era spostata la politica, anch'esso regolarmente contrastato e sconfitto. Poi il semplice, ma lucido e determinato, scivolamento verso la rinuncia ad ogni progetto ambizioso, anzi ad ogni visione progettuale, nell'illusione che non disturbare il manovratore sia il modo migliore per assicurarsi almeno la sopravvivenza. Il dato tristissimo è constatare che non si è capito nemmeno che la sopravvivenza in una realtà che cambia vuol dire inevitabilmente emarginazione e scomparsa da ogni scena, non solo da quella principale.

Si tratta ora di rialzarsi, come abbiamo detto altre volte in questa nostra rubrica. Per farlo, bisogna passare rapidamente dai lamenti alle proposte. Si tratta di mettere a fuoco una visione della città e del territorio e di indicare una prospettiva credibile nelle fase storica che viviamo. Si tratta di ricollocare Orvieto in Umbria avvalendosi della sua storia e delle sue potenzialità di città internazionale non ancora adeguatamente utilizzate. Si tratta di ritagliare per il nostro territorio il ruolo interregionale che gli spetta quale strategica porta d'accesso all'Umbria e ponte con Lazio e Toscana. L'occasione ce l'ha indicata l'assessore Rometti quando ha detto che a settembre la presidente Marini farà incontri con le amministrazioni comunali delle maggiori città della Regione per stabilire obiettivi condivisi. Per quell'occasione bisogna farsi trovare pronti. Tu come la vedi?

Tuo Franco

Caro Franco,

ti rispondo con una nota di pessimismo e una di ottimismo.

Agli albori della nostra collaborazione in questa rubrica, mi profusi nell'esposizione di una serie d'idee e di proposte concrete per il rilancio della nostra città. Non erano  idee geniali e non erano tutte nuove e originali. Ma avevo intenzione di continuare perché il gioco mi divertiva, convinto com'ero che, batti e ribatti, qualcosa sarebbe entrato nel cranio di amministratori e amministrati. La mia lunga esperienza di segretario comunale (quarantuno anni  vicinissimo, senza alcun potere, a gente di potere) mi aveva insegnato che è utile proporre continuamente idee ai politici, non con il vano scopo di ottenere gratitudine, ma con la fondata speranza che essi sposino le buone idee non appena dimentichino che non sono parto del loro cervello.

Ricevevo puntualmente i tuoi amicali elogi, ma non mi seguivi su quella strada. Eppure sapevo che avevi idee da vendere e qualcuna, addirittura, l'avevo messa in piazza senza chiederti il permesso.

Silenziosamente mi facevi capire che non era quella la strada giusta. Una cosa è fare il funzionario pubblico, cioè il consigliere (possibilmente non fraudolento) del pubblico amministratore, altra cosa è fare il consigliere comunale.

Allora mi sovvennero alcune considerazioni di uno dei miei filosofi preferiti, Gustave Thibon (1903-2001) chiamato "il filosofo contadino". Le propongo a te e ai nostri pochi ma preziosi lettori.

"L'ora è gravida di contraddizioni e di tenebra; ignoriamo tutto dell'avvenire. Una sola cosa ci si impone con immediata evidenza ed è che occorre risalire la china e tornare a vivere. Il nostro unico dovere è di ricreare, di riunire le nostre forze, di preparare, attraverso l'inverno che ci stringe, la nostra rinascita. E' tempo di germinazione, d'incubazione. Ora, chi dice germinazione, dice anche attesa, e chi dice attesa dice anche silenzio. Le cose viventi si elaborano solo nel segreto. Esse non maturano per essere dette, scrisse un santo. Le anticipazioni verbali sull'avvenire compromettono l'avvenire nell'uovo: le parole sono potenti abortivi. Il grano fa rumore germinando? Avete mai sentito cantare un uccello che cova?"

La nota di ottimismo è che, su questa lunghezza d'onda, ci troviamo da tempo col nostro amico e direttore Dante Freddi e coi nostri amici Mario Tiberi e Massimo Gnagnarini. E altri si stanno discretamente avvicinando.

Com'è naturale, l'incubazione non durerà oltre il necessario.

Tuo Pier


La rubrica di Orvietosì  oggi "A Destra e a Manca" è alla trentanovesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
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La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 12/07/2010

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