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Necessità di una pausa creativa

A Destra e a Manca chiede "di organizzare una pausa creativa della politica locale, concentrarci solo sull'essenziale, andare al cuore dei problemi, formulare proposte realistiche ma non falsamente semplificatrici, chiamare i "liberi e forti" all'esercizio delle responsabilità che spettano ai cittadini nei momenti difficili. E' giunto il momento" Contributo di Mario Tiberi

Caro Franco,

è stato ben detto che ciascuno è schiavo della sua piccola storia. Tutto scorre e tutti noi cambiamo. Ma serbiamo tutti nel nostro intimo, e ne siamo condizionati, la memoria di ciò che siamo stati. Se siamo convinti di ciò, e osserviamo quel microcosmo che è il nostro consiglio comunale, ci rendiamo conto che esso, al di fuori dei quattro gatti che hanno la faccia (o il coraggio?) di dichiararsi comunista o democristiano o socialista, è composto da altri diciassette gatti che sono ex comunisti, o ex democristiani, o ex neofascisti, o ex repubblicani, o ex liberali. Dilagano gli ex, ma anche gli altri sono ex di qualcosa. è forse da questo che è spuntata l'anatra zoppa ed è forse per questo che essa continua a svolazzare tra gli sforzi del cosiddetto centrodestra di tenersi insieme e quelli del cosiddetto centrosinistra di ricomporsi.

La situazione può sembrare confusa, invece il clima è adatto per ragionare. Tutti stano ragionando, non solo noi due, che lo facciamo in modo rituale colloquiando per mezzo di questo affascinante e terribile strumento che è la rete.

Mi è scappata, durante l'ultima seduta del consiglio, una frase che suona pressappoco così: la nostra comunità sta arrancando su una dura salita; per superarla è necessario respirare a pieni polmoni; sono indispensabili sia il polmone destro che quello sinistro.

Non so se l'estrema destra e l'estrema sinistra si siano irritate. Se non l'hanno fatto è perché non mi sono fatto capire. Volevo proprio dire che, nella situazione attuale, sia la destra che la sinistra non sono in grado, da sole, di cavare un ragno dal buco. Anche se la sinistra si ricompattasse, ci riportasse alle urne e vincesse le elezioni (fatti possibili e forse probabili, ma non scontati e indolori) non caverebbe un ragno dal buco.

Per capire che cos'è il buco, inviterei gli amici della sinistra a fare una passeggiata in due cittadine vicine e legate a Orvieto da secolari rapporti: Bolsena e Acquapendente. La prima è amministrata, da più dieci anni, da una maggioranza di centrodestra, che l'ha trasformata in una moderna località turistica, pulita, attrezzata, economicamente vivace, in grado di attirare mano d'opera, e anche con servizi sociali efficienti. La seconda, è amministrata tradizionalmente dalla sinistra, anch'essa è ben tenuta, economicamente ben messa e con impianti pubblici e servizi efficienti. Se l'orgoglio orvietano, retaggio del vecchio dominio su quei luoghi, non li acceca, non possono non vergognarsi.

è per questo che tutti, ex o non ex di qualcosa, abbiamo bisogno di una pausa per riflettere,  per confermarci nei valori, per meditare idee vecchie  e nuove, per risvegliarci e risvegliare, per uscire dalle nostre case e far uscire chiunque abbia qualcosa da dire e da dare, per riscoprire i maestri del passato e far emergere nuovi maestri.

Tuo Pier

 

Caro Pier,

è proprio vero, siamo tutti ex di qualcosa, al punto che si potrebbe forse dire che chi non lo è, o non è ancora nato o per qualche ragione è diventato smemorato e inconsapevole. Ed ovviamente, se succede in tutte le manifestazioni della vita, non ne può essere esclusa la politica. Tutta colpa di quegli ex di qualcosa che furono anche Eraclito di Efeso e il suo discepolo Cratilo, che teorizzarono (VI° - V° secolo a.C.) il divenire di tutte le cose (panta rei = panta rei = tutto scorre), per cui da quel momento nessuno ha potuto più ignorare che in questo mondo tutto cambia. Orvieto può reclamare a buon diritto di essere, oltre che alta, strana, ma non strana al punto da rovesciare i caratteri strutturali della natura e della storia. Il suo Consiglio comunale dunque, in quanto a presenza di ex, è espressione di una realtà che muta sempre, peraltro ormai da diverso tempo con fortissima accelerazione.

Si dirà che essere ex in politica non è la stessa cosa che essere ex in termini biologici (ad esempio, come disse Formigoni qualche tempo fa, ex embrioni) o in termini sentimentali (la mia ex o il mio ex). Certo si tratta di cosa più complessa, ma, insisto, nient'affatto straordinaria. Tranne in un caso: quello in cui, pur essendo per forza di cose ex, di fatto ci si ostini ad essere quello che formalmente non si è più. In questo caso essere ex diventa una gabbia, mentre normalmente questa condizione, oltre che frutto di cambiamenti della storia, può essere frutto di scelta consapevole, cioè di esercizio di intelligenza e di responsabilità. Auspico quindi che gran parte, se non tutti, degli ex che siedono in Consiglio, e ovviamente non solo loro, conquistino, nel caso non sia ancora presente, questo livello di consapevolezza, e con ciò che ci si renda disponibili a rompere le gabbie, quelle culturali prima di quelle politiche. Ne abbiamo un bisogno assoluto: né nel nostro Paese né ad Orvieto possiamo andare avanti così, schieramenti precostituiti, schemi consunti, miti e improvvisazioni, la cui unica funzione, residuale e però terribilmente efficace, è ormai quella di far sopravvivere le sacche di parassitismo politico e di impedirci di far emergere il meglio che pure abbiamo.

Vedo anch'io altre realtà che riescono a migliorarsi, pur nelle difficoltà di tutti, mentre noi rischiamo di arretrare, di tornare ad essere realtà marginale. Ci sono già molti, troppi, segnali in tal senso. E' arrivato perciò il tempo di reagire, nei modi che ci suggeriscono il cuore e la ragione, fuori dalle gabbie che ci hanno dato altri o che ci siamo costruiti da soli con l'illusione di metterci al riparo dai rischi della libertà nell'assunzione delle responsabilità civiche.

Caro Pier, come ben sai, nel gennaio del 1919 la Commissione provvisoria del Partito Popolare Italiano, fondato e guidato da Don Luigi Sturzo, lanciò l'"appello ai liberi e forti", che iniziava così: "A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme ". Fatte le dovute differenze e proporzioni, e sostituita 'patria' con 'città', credo che sia giunto il momento di fare qualcosa di analogo qui da noi. Riflettere non più solo tra noi, organizzare una pausa creativa della politica locale, concentrarci solo sull'essenziale, andare al cuore dei problemi, formulare proposte realistiche ma non falsamente semplificatrici, chiamare i "liberi e forti" all'esercizio delle responsabilità che spettano ai cittadini nei momenti difficili. E' giunto il momento.


da Mario Tiberi

 

POPULISMO   E   POPOLARISMO .


Ad ognuno di noi capita di assistere, per libera scelta o per masochistico gioco, ad assemblee, riunioni, tribune televisive e non, nel corso delle quali i politici invitati in qualità di ospiti o di relatori espongono, spesso tirandosi chiassosamente gli orecchi l'un l'altro, le loro linee di indirizzo ideale e di piattaforma programmatica.
Ce ne fosse mai uno che non si proclami fautore dell'ascolto della società e dei suoi bisogni, contrario ad una gestione del potere oligarchica e clientelare, promotore di uno stile politico ispirato all'onestà e alla sobrietà e su questi temi, dall'estrema destra all'estrema sinistra, si trovano tutti d'accordo almeno sul piano delle pie intenzioni verbali per poi, nelle realizzazioni concrete, ritrovarsi in disaccordo su tutto.
Pensano, spesso e volentieri fingendo, di essere dei "popolari", mentre invece sono solo dei populisti!.
Bisognerà, allora, tentare di andare alla ricerca delle ragioni e dei principi del "popolarismo" per comprendere meglio il perché, nella politica urlata dei giorni nostri, sono prevalenti gli accenti di leziosa e demagogica accademia sulle volontà più squisitamente improntate alla serietà delle analisi sulle contingenze del presente e alla coerenza, rispetto ad esse, di conseguenti risposte risolutive suggerite dalle analisi stesse.
Il Documento principe, a tal proposito, è rappresentato dallo "Appello ai Liberi e Forti" lanciato da Luigi Sturzo nel Gennaio del 1919 da una francescana cameretta della pensione "Santa Chiara" in Roma. Detto Documento costituisce la pietra miliare nella storia del cattolicesimo democratico italiano e contiene i caratteri fondamentali di quello che sarà poi definito "popolarismo", una sorta di trasposizione in politica dei principi solidaristici ed etici contenuti nella Dottrina sociale e catechistica della Chiesa Cattolica.
Riforme sociali, partecipazione degli operai alla vita delle fabbriche, cooperative di lavoro e di consumo, istituti di credito a sostegno degli artigiani e commercianti, società di mutuo soccorso, ordini professionali, scuole per l'istruzione giovanile e popolare, prime forme di associazionismo sindacale organizzato, decentramento amministrativo, riconoscimento giuridico della piccola proprietà rurale contro il latifondismo: ecco i capisaldi del nuovo modo di pensare ed agire che contraddistinsero quegli anni intensi e fecondi.
Antonio Gramsci salutò l'imminente costituirsi dei cattolici in partito politico come il "fatto storico più importante dopo il Risorgimento"; Federico Chabod considerò la nascita del Partito Popolare Italiano come "l'avvenimento più notevole della storia italiana del ventesimo secolo": questo per dire quanto sia stata rivoluzionaria la pubblicazione dell'Appello ai liberi e forti.
Oggi più che mai, quando pare essersi smarrita la strada maestra di una politica a beneficio di tutti, ritornano severe ed ammonitrici le parole degli insegnamenti di maestri dalla statura morale ineguagliata.
Ed è triste e deprimente assistere alla misera girandola delle convenienze e delle poltrone, alla caduta in tentazione di certe gerarchie ecclesiastiche che si prestano ancora ad esercitare un potere temporale in funzione di garantirsi la copertura di personaggi che di "popolarismo" non sanno picche, alla stolta e dissennata intenzione di voler affidare la guida di partiti che si autodefiniscono "popolari" a figure di riferimento provenienti da esperienze maturate all'interno della neo-borghesia liberista e conservatrice.
Un partito davvero popolare dovrebbe, invece, possedere un'unica bussola di orientamento: il perseguimento della giustizia sociale, civile e legalitaria , fulcro e perno attorno alla quale dimensionare i valori del diritto al lavoro, alla casa, alla salute e all'istruzione.
La nuova frontiera del "popolarismo" può essere racchiusa nella siffatta sintesi, espressa nella lingua che è la sintesi lessicale per eccellenza: "Si vis pacem, para iustitiam et, ex verbis, ad facta iustitiae". La pace e l'equilibrio sociale sono garantiti dalla giustizia, quella dei fatti e non delle sole parole.
Per concludere: essere o diventare "populisti" è semplice e poco impegnativo, basta infatti mettere sotto lucchetto animo e cuore ed evitare di rispondere alla propria coscienza; essere o diventare "popolari" è ben più arduo perché è richiesto di anteporre il giudizio di coscienza agli interessi e tornaconti individualistici.



 La rubrica di Orvietosì  oggi "A Destra e a Manca" è alla trentottesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.

Per leggere le precedenti puntate di 'A destra e a manca' clicca qui







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Pubblicato il: 05/07/2010

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