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Non possiamo attestarci sulla linea della Piave. Non è la strategia migliore per rimediare al pericolo di una Caporetto orvietana

A DESTRA E A MANCA. Bilancio: "Non possiamo però non ricordargli (al presidenre Fondazione CRO) che quelle rendite non sono le sue, ma della popolazione di un territorio nel quale Orvieto è la parte principale". Piave: "Se si deve fare svelti è perché si è perso tempo stupidamente". Intervento di Mario Tiberi


Caro Franco,

anche se non posso sdrammatizzare (come cerca di fare qualcuno a sinistra) la situazione finanziaria del comune di Orvieto, non mi piacciono le drammatizzazioni. In primo luogo, il comune non è l'unica entità organizzata dalla quale dipende la vita della popolazione. Poco o nulla conta nella sicurezza pubblica, poco o nulla nella sanità, nell'erogazione dell'acqua potabile e nella raccolta e depurazione delle acque usate. Sempre meno conta e conterà nel rilascio di licenze e di autorizzazioni, dato l'evolversi in senso liberale della legislazione. Ha pure un ruolo marginale nella scuola, dovendo provvedere solo agli edifici per le scuole inferiori. Anche la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti sono stati concentrati in un ente sovracomunale. Voglio dire che il comune, come ente, e quindi come azienda erogatrice di servizi, è stato abbondantemente svuotato.

Ciò nonostante il comune rimane la più grande azienda nell'ambito del suo territorio  e la sua crisi economica e finanziaria si riflette sul benessere della comunità.

Perciò il comune deve essere assolutamente risanato. Ma non basta, perché dalle scelte strategiche del comune dipende l'avvenire della collettività della quale facciamo parte. Risanamento e progettazione, tecnica economico-finanziaria e pensiero. Rigore amministrativo e immaginazione.

Lo ricordo non a te, ma ai nostri venticinque lettori, che forse sono frastornati da tanti messaggi che galleggiano su un mare di chiacchiere.

Un mare di chiacchiere mi sembra che stia pure sommergendo il Casermone, sul quale l'intera comunità cittadina concentra da molti anni la sua speranza di un risveglio di Orvieto. La questione della utilizzazione dell'ex caserma Piave fu affrontata bene e con metodo dalla società pubblica che tu presiedesti. Quel lavoro, non certo per tua colpa, era cominciato con almeno dieci anni di ritardo, poiché non si voleva guardare in faccia alla realtà delle Forze Armate che si stavano progressivamente e irreversibilmente ritirando da Orvieto. Ma il lavoro del quale porti il principale merito è stato chiuso in un armadio, come si è fatto con la bella e preziosa scultura riscoperta meritoriamente qualche giorno fa in uno squallido angolo di uno squallido ufficio.

Adesso sembra che il sindaco voglia rimediare, anche se l'emergenza finanziaria lo costringe a inserire il Casermone come fonte di reddito nel bilancio pluriennale.

A mio parere, il risanamento finanziario di Orvieto dovrebbe prescindere da un presunto reddito del Casermone. Orvieto è una cittadina di ventun mila abitanti, con un vasto territorio e un patrimonio edilizio privato molto consistente. Le principali fonti di entrata degli enti locali, non solo in Italia, ma ovunque nel mondo sviluppato, fino al Giappone, consistono, e sempre più consisteranno, nelle imposte sul patrimonio. Il fatto che i cittadini orvietani, coi loro patrimoni, non riescano a tenere in equilibrio il bilancio comunale, è una anomalia. C'è qualcosa che non va. Ho spiegato in varie occasioni che cos'è che non va: inefficienza degli accertamenti tributari, impiego non corretto del personale comunale, eccesso di spese per erogazioni che non dovrebbero gravare sul bilancio comunale.

Il presidente della fondazione Cassa di Risparmio fa sapere che le rendite della fondazione non sono disponibili per tappare i buchi del bilancio comunale. Non possiamo però non ricordargli che quelle rendite non sono le sue, ma della popolazione di un territorio nel quale Orvieto è la parte principale. Non possiamo non domandargli perché la scuola di musica, il centro studi, il teatro, la biblioteca comunale ed altro non godono del decisivo apporto finanziario della fondazione. Dove sono finite le rendite della fondazione? Dove vanno attualmente? Con tutto il rispetto per l'autonomia della fondazione, vorrei ricordare che autonomia non significa immunità dalla critica e dal dovere, se non altro morale, di rendere conto alla collettività. Perché questo discorso non piace a nessuno? Tu come lo spieghi?

Quindi lascerei il Casermone al gioco serio dell'immaginazione, e concentrerei altrove i ragionamenti sul risanamento finanziario.

Come la vedi?

Tuo  Pier 

Caro Pier,

anche questa volta tocchi con ineccepibile linearità e chiarezza questioni molto delicate, che mi pare siano le seguenti: perché è necessario risanare il bilancio del comune; quale funzione affidare all'ex caserma Piave nel processo di stabilizzazione finanziaria e di sviluppo della città; quale può essere il rapporto più funzionale tra il Comune e gli altri Enti, a partire dalla Fondazione CRO, per una migliore opera di governo. Per ragioni di chiarezza, risponderò alle tue sollecitazioni anch'io con questa sequenza, ben sapendo che, com'è reso evidente dal tuo ragionamento, sono temi strettamente legati tra loro.

Partiamo dunque dalla necessità del risanamento. Che esista e sia impellente è fuori discussione, per le ragioni che hai ricordato tu e che io sottoscrivo. In effetti si tratta di contrastare il pericolo di una possibile Caporetto orvietana, peraltro aspetto locale di una possibile Caporetto italiana e non solo, il che ovviamente non ci consola. Anzi, semmai ci riempie di apprensione, perché vuol dire che i nostri sforzi potrebbero non avere successo se il quadro generale fosse scoraggiante o non dovesse reggere l'urto di una crisi molto più grave di quanto per lungo tempo ci è stato fatto credere. Torniamo al punto. Il problema è il come e i tempi. Per il come c'è da dire che la via maestra non può che essere quella più ovvia: diminuire le spese e aumentare contestualmente le entrate. Lo abbiamo detto più volte: cura dura, ma necessaria. Per i tempi c'è solo da dire che il percorso da fare sarà abbastanza lungo: il 2010 da un certo punto di vista deve essere considerato la continuazione di ciò che si è cominciato timidamente a fare nella precedente amministrazione, ma da un altro punto di vista deve essere anche visto come l'inizio di una fase davvero più incisiva e strutturale che durerà anni, indipendentemente peraltro dal colore dell'Amministrazione. Comunque sia, va ricordato a chi deve fare le scelte ultime per il bilancio 2010 che, per la parte della spesa - questo riguarda soprattutto il centrodestra - bisognerà avere l'accortezza di non smantellare le buone cose che le precedenti amministrazioni hanno fatto (non c'è solo la scuola di musica e UJW!), e per la parte dell'entrata - questo invece riguarda soprattutto il centrosinistra - si dovranno usare gli stessi criteri che si invocano a livello nazionale, ossia quelle operazioni di tipo strutturale che finora non si è avuto il coraggio di fare, come ad esempio la distinzione tra ciò che è socialmente utile e ciò che è un'elargizione né necessaria né dovuta, oppure quella lotta seria all'evasione e all'elusione senza la quale nessuna politica di rigore può essere vista come giusta. In ogni caso si dovranno mettere a regime le possibili fonti di entrata senza pregiudicare il futuro, a partire appunto dall'ex Piave.

E con ciò veniamo giustappunto alle seconda questione che hai posto: la funzione da affidare al riuso dell'ex Piave. I capitoli principali del lungo libro del Casermone, come tu preferisci chiamare la ex Piave, sono sufficientemente noti. I particolari, spesso molto importanti, invece no, ma non è questa la sede giusta per parlarne. Tuttavia la conoscenza che si ha della vicenda dovrebbe essere sufficiente ad acquisire senza ulteriori discussioni almeno un punto: che più si parla dell'urgenza di mettere a reddito quell'importante struttura e più si allungano i tempi delle scelte che possono consentire di raggiungere l'obiettivo. E' successo almeno dal 2004/2005 ad oggi: si gridava all'urgenza vitale dell'operazione di riuso e contemporaneamente si lavorava alacremente per non permettere ad RPO di realizzarla. Dobbiamo dunque finalmente ammettere, perché sono i fatti di molti anni a dirlo, che tra riuso dell'ex Piave e risanamento del bilancio non c'è affatto una relazione necessaria. Lo dimostrano d'altra parte le scelte concrete, sia quelle che si faranno (previsione di entrate consistenti derivanti dai parcheggi), sia quelle che pare non si faranno (previsione di entrate derivanti da lotta all'evasione e all'elusione). Il bilancio può funzionare senza impegnare il Casermone. Ne deriva, caro Pier, - e sai quanto di questo abbiamo ragionato anche insieme ad altri amici come noi preoccupati di non impegnare i beni della città in modo improprio - che non bisogna cadere nella trappola di chi sostiene che si deve fare svelti perché altrimenti non si gestisce il bilancio. Se si deve fare svelti semmai è perché si è perso tempo stupidamente, con danni gravi, certo anche per il bilancio, ma soprattutto per le prospettive di sviluppo della città e del territorio. Sono dunque completamente d'accordo: la funzione dell'ex Piave non è quella di fare da tappabuco del bilancio, ma da volano per rilanciare l'economia e la qualità dell'offerta di vita, oltre che per affermare su un piano diverso dal passato il ruolo strategico di Orvieto in Umbria nel contesto di una politica di area vasta interregionale.

Certo, concordo con te anche sul fatto che l'equilibrio dei conti passa per una compartecipazione di tutti, compresi in primo luogo i soggetti organizzati della società. In questo senso sarà particolarmente importante insistere sul recupero, o meglio sull'affermazione, di un costume di rigore e di credibilità, sia rispetto al merito delle cose che si decidono, sia rispetto al metodo che si segue per la realizzazione, sia infine rispetto alla documentazione degli esiti. Io inquadrerei in questa questione la posizione assunta dal presidente della Fondazione CRO rispetto alle sollecitazioni che gli sono venute per contribuire ad alleviare le difficoltà. E' vero che i soldi sono degli orvietani, ma è anche vero che c'è una responsabilità nell'amministrarli che deve essere esercitata in piena autonomia. Penso perciò che il presidente e il CdA della Fondazione facciano bene a dire che "non è nella nostra missione coprire i debiti di altri enti", anche perché non potrebbero fare altrimenti. Invece possono di sicuro compartecipare al funzionamento di servizi e di strumenti per lo sviluppo. Sono anche convinto che lo faranno nel momento in cui ci si deciderà a mettersi intorno ad un tavolo per lavorare su idee lungimiranti e su proposte di funzionamento che diano tutte le garanzie di essere buoni tasselli di una possibile proiezione in avanti. Alcune di queste idee le abbiamo proposte noi stessi, altre possono venire dal confronto cui ho accennato ora.

Fra i tre temi, caro Pier, c'è dunque una connessione evidente. E come potrebbe essere altrimenti? Non stiamo ragionando forse della stessa cosa, ossia del governo della nostra città? Sì, si può governare senza l'assillo di tappare i buchi con il riuso del Casermone. Perché non se ne parla, di questo come di altro, in questi termini? Non credo per pigrizia. Non so, ma ragionare in termini di urgenza ho avuto sempre l'impressione che provocasse in più d'uno il brivido della vendita.

Tuo Franco


da Mario Tiberi

Miei carissimi,

sul finire degli anni settanta, Giancarlo Galli scrisse e pubblicò un saggio di analisi politologica che si rese famosa, in quel periodo, per un audace tentativo di interpretazione di quella che, agli occhi di molti osservatori, sembrava l'approssimarsi imminente della fine di un'era politica che poi non fu, almeno nell'immediato.

Lo titolò: "Il Piave Democristiano".

Il partito dei cattolici democratici era alle strette, reduce da ripetute sconfitte elettorali e incalzato da vicino dalla maggiore forza di opposizione.

Bisognava, prima, attestarsi su una salda linea difensiva per poi rilanciare in termini di rinnovamento sia della classe politica dirigente e sia, soprattutto, di una strategia programmatica che fosse credibile e di nuovo attrattiva per le masse popolari della nostra Nazione.

Mi rendo conto che il "Piave democristiano" poco o nulla ha attinenza con la "Piave orvietana", ma ho evocato il nome di un fiume patrio per dare il senso che, tutto ciò che ruota attorno a detto nome, si avvolge di significati epocali.

Sono sempre più convinto che le migliori opportunità, per il riutilizzo organico e produttivo della ex Caserma, si siano stoltamente bruciate tra il 2004 e il 2006 per responsabilità attribuibili, al centrodestra, sul piano di una opposizione preconcetta e, al centrosinistra, per mancanza di coraggio decisionale e per miopia temporeggiatrice.

Quando oggi si afferma, dopo quasi un lustro di colpevoli perdite di tempo, che dal lavoro di Risorse per Orvieto bisogna ripartire, di fatto si rende merito alla bontà di quel lavoro che, forse, era stato troppo ben fatto per una città che ancora è adagiata sulle soglie della mediocrità e della pigrizia.

Nel salutarVi cordialmente, assieme al Direttore Dante Freddi, non mi resta che augurarci un sussulto di orgoglio e di amore civico.

San Pietro Parenzo, aiutaci Tu!.            


La rubrica di Orvietosì  oggi "A Destra e a Manca" è alla trentatreesima  puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 31/05/2010

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