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Approvazione del bilancio e poi 'Orvieto nel futuro'

A DESTRA E A MANCA. Si parla di come "ogni ente pubblico è attaccato da insaziabili mignatte" che lo conducono alla rovina e del "bene comune"... Contributo da Mario Tiberi

foto di copertina

Caro Franco,
per una legge ben nota, i bisogni degli esseri umani tendono a superare la disponibilità di beni per soddisfarli. È per questo che ci si dà tanto da fare nell'illusione di raggiungere l'appagamento.  Infatti, tra i comandamenti più inosservati vi sono il nono (non desiderare la donna d'altri) e il decimo (non desiderare la roba d'altri). Lascio da parte il nono comandamento, che ha poco a che fare coi temi della nostra rubrica, e ti ricordo che il decimo suona biblicamente così: non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo" (Libro dell'Esodo 20,17).
L'andazzo vale per gl'individui, ma anche per i gruppi e per gli enti. Tu sai quanto i beni e il denaro del comune sono desiderati da individui, da famiglie e da gruppi di ogni genere più o meno organizzati. Il comune, nella organizzazione dello stato contemporaneo, accumula, prevalentemente con la forza dell'imposizione fiscale, una quantità di ricchezza enorme. Una ricchezza che dovrebbe essere esclusivamente destinata alla soddisfazione del pubblico interesse e quindi è pubblica. Non è né mia, né tua, né di chiunque altro. Non è degli amministratori comunali, né dei dipendenti, né dei partiti. Non è dei ricchi, né dei poveri, né degli intellettuali, né degli ignoranti. Ma il fatto che si tratta di ricchezza pubblica non cambia la natura del desiderio di chi vuole prenderne una parte per sé  o per il gruppo familiare o associativo cui appartiene. Come i ricchi privati sono circondati da lacchè, da postulanti, da questuanti e da parassiti, similmente il comune, come ogni ente pubblico, è attaccato da insaziabili mignatte. Se il salasso si mantiene entro certi limiti, rientra nei costi del consenso democratico, ma se l'emorragia diventa fluente e non s'interviene per bloccarla, il comune diventa povero e inerte. Non muore, perché la legge lo vieta, ma diventa una specie di zombie.
È così che il nostro comune è stato ridotto ad un morto vivente. Non scendo nei particolari perché finirei col dover offendere anche persone e gruppi che non si rendono conto di quello che hanno fatto e che ancora fanno. Ma soprattutto perché tutti lo sanno e tutti ne parlano.
Tu sai che non chiedo né desidero processi di piazza e che non me la prendo solo con la parte politica che ha governato per tanti decenni e nemmeno soltanto con la classe politica locale in generale. In un modo o nell'altro siamo tutti responsabili. Può accadere che una città si rilassi ed entri in una fase di decadenza.
Credo sinceramente che la nostra città abbia voglia di rimettersi in piedi rapidamente. E la classe politica è, doverosamente, in prima linea. Se il senso della realtà e della responsabilità fosse meno diffuso, l'attuale consiglio comunale sarebbe già sciolto.
Poiché si cerca di chiudere in santa pace un bilancio preventivo di sacrifici, c'è bisogno di una iniezione di fiducia, di una sintesi dei motivi di speranza dei quali abbiamo diffusamente parlato nella nostra rubrica.
Te la senti di gratificare me e i nostri lettori con una riassuntiva panoramica?
Tuo Pier

Caro Pier,
come ben sai, sia i testi biblici che quelli della ricerca filosofica antica e moderna, oltre che del pensiero politico e sociologico, sono densamente popolati di figure di profeti e pensatori che gridano le loro grida indignate o producono riflessioni dense e dal sapore eterno sulle passioni e i desideri connaturati alla natura e alla vita dell'uomo. Grida e riflessioni che diventano anche stimolo a mettere al primo posto Dio e non i beni materiali (Isaia 5, 8-24; Deuteronomio 8, 3 ss.; Matteo 4, 4; ecc.) o ad usare sapientemente la ragione per controllarne gli eccessi (Socrate, Cicerone, Agostino, Tommaso, Spinoza, ecc.) o si concentrano sul perché e il come della politica e della vita associata per evitare che le passioni e i desideri di possesso producano una lotta fratricida degli individui e la loro autodistruzione (Machiavelli, Hobbes, ecc.) e nel contempo per favorire il benessere, se non di tutti, almeno del maggior numero possibile di persone (Stuart Mill, Dahrendorf, ecc.).

Voglio dire, caro Pier  - e con ciò avvaloro quanto tu sostieni -, che su questo piano, ad Orvieto come altrove, non siamo molto diversi dai nostri lontani progenitori, se oggi, in questo nostro tempo travagliato, tanto per fare un solo esempio, il prof. Stefano Zamagni, economista, consulente di papa Benedetto XVI per l'enciclica "Caritas in veritate", sente la necessità di sottolineare la differenza di fondo tra "bene totale" (a somma sempre positiva, anche se alcuni diventano più ricchi e altri più poveri) e "bene comune" (a somma positiva solo se la ricchezza non si accumula come risultato di arricchimento di alcuni a danno di altri o con indifferenza rispetto alle difficoltà di altri) affermando di conseguenza che l'egoismo e l'avidità sono vizi che portano alla distruzione dell'intero sistema, ciò che in fondo non è tanto diverso da quanto diceva l'apostolo Paolo: "l'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali" (1Tim 6, 10).

Ma, sia ben chiaro, con questo non intendo dire affatto che, essendo l'attaccamento al proprio "particulare" (Guicciardini) la tendenza ben visibile e storicamente consolidata di gran parte della nostra classe dirigente a tutti i livelli, allora bisogna gettare la spugna e arrendersi al male inevitabile. Dico solo che bisogna sapere come stanno le cose, guardare in faccia la realtà e collocarsi, fare le proprie scelte ed assumersi le proprie responsabilità. C'è chi ha scelto, ieri e oggi, la priorità del bene comune, e chi ha scelto e sceglie, ieri e oggi, la priorità, spesso assoluta, del bene proprio. E naturalmente c'è anche chi sceglie di non scegliere, illudendosi così di fuggire dalle proprie responsabilità e riservandosi magari di fare qualche strillo per salvarsi la coscienza.

Le difficoltà del bilancio comunale di Orvieto sono indubitabilmente gravi, e sono essenzialmente dovute, ovviamente a parer mio, ad una insistita miopia e mancanza di coraggio degli individui e dei gruppi dominanti nel fare le scelte dovute al momento giusto, ed alla connivenza, consapevole o no non fa grande differenza, di una vasta rete di interessi piccoli e grandi, che hanno fatto muro rispetto alle posizioni di chi (pochi) per tempo denunciava i problemi e indicava le vie da percorrere, ritenuto per questo soggetto pericoloso e dunque da allontanare e tenere ben lontano dai punti di decisione effettiva.

Usciremo da questa situazione? E come ne usciremo? Caro Pier, non so se io sono la persona più adatta per quell'iniezione di fiducia che invochi e che ritieni possa essere fondata sui motivi di speranza di cui abbiamo più volte parlato nella nostra rubrica. Il dubbio non mi deriva da falsa modestia, ma dall'essere autenticamente consapevole che siamo in una fase particolarissima della nostra storia, nella quale quelli che al momento appaiono motivi di speranza, subito dopo possono diventare motivi di incertezza e di preoccupazione. Ed è così soprattutto perché non vedo ancora, come ho detto ormai molte volte nel corso di questo nostro dialogo, il netto declino della cultura dei furbi, né vedo stagliarsi all'orizzonte la volontà di far prevalere il bene comune sugli egoismi particolaristici e tantomeno la scelta di premiare i meriti e le capacità, scelte di fondo, senza le quali è davvero difficile che si affermi quella politica progettuale che è l'unica base seria per costruire il nostro futuro.

Riconosco però che passi avanti sono stati fatti e che c'è ormai un impegno serio per mettere un punto fermo, più forte e diffuso di quanto all'inizio noi stessi non avessimo sperato. Può darsi dunque che ce la faremo almeno a non pregiudicare il futuro. E sarebbe un delitto non farlo, perché in effetti di ragioni di speranza nel futuro ce ne potrebbero essere eccome, date le potenzialità che hanno la nostra città e il nostro territorio, soprattutto se inteso questo nella sua accezione più vasta e complessa.

Mi limito a fare alcuni cenni. Innanzitutto si può utilizzare il nostro essere zona di confine tra tre regioni come scelta strategica di uno sviluppo fondato sulle sinergie dei territori. Si può fare del centro storico il volano di uno sviluppo di qualità come poche città possono fare, soprattutto se si sarà capaci di utilizzare finalmente, e in modo appropriato e lungimirante, il patrimonio della Piave, congiungendolo peraltro con un'operazione di riqualificazione di respiro internazionale sull'intero patrimonio pubblico e sull'assetto urbano complessivo. Si possono ottenere risultati di rilievo con la valorizzazione delle filiere che caratterizzano già oggi le capacità di lavoro della nostra area. Si potrebbe far fare un balzo alla rete commerciale, all'offerta turistica, a quella culturale e  della formazione, settori in cui la nostra città ha spiccatissime vocazioni, come noi stessi abbiamo cercato di dimostrare anche con precise proposte. Si potrebbe continuare, ma penso sia sufficiente già questo per capire che ci sono ragioni valide per continuare un impegno nella nostra comunità. Cerchiamo dunque di metter un punto fermo con l'approvazione del bilancio e speriamo che lo si faccia cercando di far vedere chiaramente che si vuole congiungere il contingente con il futuro. Poi, caro Pier, apriremo il cantiere che elabora le proposte che guardano al dopo per stabilizzare la situazione e rilanciare le sorti della nostra amata città.



da Mario Tiberi

Miei carissimi,
    
l'impegno e la passione che profondete nel tenere, ad altissimo livello, lo spessore culturale e spirituale del vostro "penna a penna" settimanale mi è, e ve ne ringrazio, di conforto nei momenti di solitudine interiore che cerco di colmare con l'ausilio della preghiera e della meditazione.
Nel leggere i passi della trentesima puntata, sono rimasto profondamente colpito non tanto dalla considerazione, procedente nella direzione opposta al "Bene Comune", che è l'arricchimento di alcuni, pochi, a danno di altri, molti, la causa generatrice di inique diseguaglianze, quanto il suo corollario e, cioè, che detto arricchimento avvenga nell'indifferenza rispetto alle difficoltà dei più.
Viviamo tempi tormentati e difficili proprio perché l'essere umano, obnubilato dalle seduzioni e dalle lusinghe del possesso materialistico, si è smarrito nell'affanno dell'avido accumulo ed ha perso la sua più distintiva qualità: la sensibilità solidarista.
E' l'indifferenza verso il genitore anziano e malato, l'indifferenza verso il fratello caduto nella colpa e nel peccato, quella del padrone arrogante nei confronti del domestico mite e servizievole, quell'altra ancora di chi crede che tutto si possa comprare, anche le coscienze più pure e genuine.
Si potrebbe proseguire ancora per molto; mi fermo qui per non cadere nel patetico agli occhi di coloro che, di questi argomenti, non vogliono nemmeno sentir parlare perché li urtano nella loro suscettibilità insensibile e indifferente.
Si può fare qualcosa per tentare almeno di allentare codesta morsa soffocante? Penso di sì: tirare dritti con l'esempio e la testimonianza.
Con l'affetto di sempre, 


A destra e a manca  è la rubrica di Orvietosì  oggi alla trentesima  puntata. E' animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.

Per leggere le precedenti puntate di 'A destra e a manca' clicca qui






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Pubblicato il: 10/05/2010

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