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A destra e a manca. Le lobby e il futuro del Centro studi, la 'questione' Ricci e le dimissioni di Loriana Stella

Franco Raimondo Barbabella e Pier Luigi Leoni scivono su Perché nessuno fa lobbying per il Centro Studi? e Tra americanismo e tafazzismo

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Perché nessuno fa lobbying per il Centro Studi?

Caro Pier,

nelle settimane scorse, man mano che si approssimavano le scelte di responsabilità per risanare il bilancio e stare dentro i parametri obbligati dalla legge, una serie di iniziative e di prese di posizione a favore del mantenimento dei finanziamenti comunali in diversi settori poteva far pensare a un osservatore estraneo che anche ad Orvieto è arrivato il lobbyismo, fenomeno tipico delle società de-ideologizzate e che perciò può essere annoverato tra quelli che indicano la presenza di forti processi di modernizzazione.

Come sai, esso è ritenuto del tutto normale nel mondo anglosassone, in particolare negli USA: lì, che si formino gruppi di pressione (lobby) per far valere un particolare interesse nei confronti di chi nelle istituzioni deve prendere una determinata decisione, non meraviglia nessuno. In Italia invece, e a maggior ragione dalle nostre parti, fenomeni di questo tipo, che si sviluppano alla luce del sole, non sono ritenuti ammissibili, anzi, normalmente vengono visti come intromissioni indebite se non tendenzialmente corruttive. Gli interessi particolari però, come si sa, vengono fatti valere eccome, e anzi, dietro il velo di grandi battaglie ideali, spesso si possono intravedere questioni molto più contingenti e terra terra.

Perciò, di fronte alle iniziative di cui ho detto non mi sono meravigliato più di tanto. Invece ho provato e provo un po' di meraviglia per il fatto che nessuno ha manifestato interesse per il destino del Centro Studi.

Noi siamo tra i suoi fondatori essendo stati nominati entrambi nel CdA appunto nella fase iniziale della "Fondazione per il Centro Studi Città di Orvieto", e sono sicuro che ricorderai anche tu con piacere l'entusiasmo con cui si lavorava a creare le condizioni perché anche Orvieto potesse essere annoverata tra le possibili sedi di un auspicato decentramento universitario sul modello della Germania o, se ciò non fosse stato possibile, avesse comunque uno strumento serio e qualificato per fare attività formative di alto livello, anche in collaborazione con università italiane e straniere, altri centri studi, soggetti pubblici e aziende private.

Perché, caro Pier, quella fase sembra del tutto dimenticata, quell'entusiasmo svanito, le prospettive piuttosto oscure e l'interesse generale del tutto o quasi inesistente? Perché secondo te c'è questa situazione? In questo caso, a tuo parere, si può tentare di fare lobbiyng nel senso in cui tale termine viene usato in America?

Tuo Franco

 

Caro Franco,

oggi si parla continuamente e negativamente di "partecipate", senza spesso distinguere tra le associazioni di cui il Comune è parte e principale finanziatore, le società di capitali di cui il comune è azionista e la fondazione di partecipazione per il Centro Studi Città di Orvieto.

Una fondazione di partecipazione è un ente con scopi di interesse pubblico, che si alimenta non con la rendita di un patrimonio appositamente donato o lasciato in eredità, ma con un capitale annualmente fornito dai fondatori. Nel caso del CSCO, comune di Orvieto, provincia di Terni, fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, salvo altri di cui non sono a conoscenza.

Il CSCO fu istituito per volontà unanime del consiglio comunale. Lo scopo più ambizioso era quello di promuovere l'Università di Orvieto. Ma lo spettro delle possibili iniziative era ampio e riguardava tutto ciò che potesse aggiungere valore alla nostra città come luogo di studi.

Ci trovammo insieme nel consiglio di amministrazione di quell'ente, nominati dal sindaco Stefano Cimicchi. Ricordo che, prima di accettare la nomina, chiesi e ottenni l'assenso delle minoranze consiliari. Ero all'epoca consigliere di Alleanza Nazionale.

Ricordo il clima di fervore, ma anche di realismo, nel quale operammo in quei primi anni. Ricordo che mi aiutasti (o io ti aiutai) a bloccare qualche birichinata che l'amministrazione comunale voleva imporre più per prassi che per convinzione. Infatti i rapporti con il comune rimasero sereni.

Non fui mai ottimista, anche se non misi mai il bastone fra le ruote, sulla prospettiva di una Università di Orvieto. Avevo avuto l'occasione di seguire la vicenda dell'Università della Tuscia e mi ero convinto che le strettoie, le lungaggini e le spese che aveva dovuto affrontare la classe politica viterbese (ben più potente di quella orvietana) per la fondazione di quell'Università fossero per noi proibitive. Anche perché la legislazione in materia si faceva sempre più restrittiva.

Ma trovai pronta accoglienza (tanto che non sono più del tutto sicuro di aver lanciato per primo la proposta) all'idea di instaurare rapporti assidui con le scuole superiori e le università del ricco mondo anglosassone per offrire soggiorni di studio in un luogo prestigioso della vecchia Europa. I risultati furono buoni e duraturi.

Tu mi dai l'occasione di ritornare alla mia proposta di istituire, sotto l'egida del CSCO, una scuola per la polizia locale aperta a una vasta area dell'Italia centro-meridionale. La necessità di formazione e di aggiornamento in materia è molto sentita, perché sono poche le città che possono provvedere direttamente e perché Orvieto vi si presta sia per gli studi teorici che per le esercitazioni pratiche. Ricorderai che, insieme al direttore del CSCO Stefano Talamoni, ci recammo al comando della scuola di polizia municipale della città di Roma e trovammo una entusiastica accoglienza. Gli alti dirigenti si misero a disposizione per consentirci di iniziare rapidamente i corsi, fornendoci esperienza e professionalità. Peraltro la formazione del personale comunale, stando alla legge, è obbligatoria e ben finanziata, dovendo ciascun comune iscrivere in bilancio una apposita e consistente quota.

La tua proposta di concentrare l'attenzione sul CSCO per non disperdere l'esperienza acquisita e mettere a punto nuove iniziative è quindi musica per le mie orecchie.

Non lasciamo cadere l'argomento. Riparliamone presto.

Tuo Pier

Tra americanismo e tafazzismo

 Caro Franco,

"tu vuo' fa' l'americano" cantava Renato Carosone qualche anno fa. E per fare gli americani ci siamo innamorati del bipolarismo. O di qua o di là. Così come ci eravamo innamorati del parlamentarismo alla francese e ce lo siamo tenuti anche dopo che in Francia se n'erano disfatti. L'unico che aveva progettato una soluzione all'italiana era l'ideologo della Lega Nord: il professor Gianfranco Miglio. Tre cantoni (Nord, Centro e Sud) confederati tra loro e con le grandi isole. La proposta era troppo avanzata anche per la Lega, che infatti ruppe col professore. Così ci stiamo invischiando nel cosiddetto federalismo fiscale, che per la Lega è la linea del Piave, con la differenza che il Piave non si sa bene cosa sia e dove sia.

Ma torniamo al bipolarismo. Il PdL ha vinto e ha rivinto perché si è alleato con la Lega e perché ha un capo carismatico. Ma la popolarità di Berlusconi, oltre a essere odiatissima dalla sinistra (e questo è un buon segno) è diventata insopportabile anche a una parte della destra (e questo è un cattivo segno). Insomma gl'Italiani sono sempre gli stessi: pronti a fare il gioco dell'avversario per fregare l'amico.  Il PD ha perso e ha riperso le elezioni, perché si è alleato con un demagogo e perché non ha un capo carismatico. Le differenze programmatiche tra i due poli o non ci sono, o non sono chiare, o sono inutili.

Il quadro politico nazionale si riverbera nelle realtà locali perché influisce sullo stato d'animo sia di chi fa politica attivamente,  sia di chi la fa commentando, protestando o semplicemente votando. Non posso, per disciplina e per lealtà, fare osservazioni sul PdL finché lo rappresento in consiglio comunale. Ma qualche commentino sul PD lasciamelo fare. Abito nei pressi della sede del PD di Via Pianzola. Spesso evito di passare davanti a quella sede e prendo una strada alternativa per evitare il disagio di incontrare gente che entra e esce costantemente ingrugnata. Non so che si dicono là dentro, ma le iniziative e i comunicati che escono fuori o sono ambigui, o sono contraddittori o sono incomprensibili.

Per esempio, tu hai capito perché hanno trattato come un appestato e non hanno voluto nel loro gruppo quel consigliere (che avevano presentato nella loro lista e aveva ottenuto un bel po' di voti) subentrato dopo aver vinto un ricorso? È stato condannato per un reato minore, di carattere contravvenzionale, a una pena mitissima. E allora? Se la passa peggio chi viene fatto soffiare nel palloncino all'uscita da una normalissima cena in trattoria. A meno che non sia astemio.  Con questo moralismo del cavolo il loro gruppo è sceso da dieci a nove consiglieri.

Per esempio, mi sai spiegare in base a quale logica di partito la consigliera comunale che era arrivata seconda all'elezione del sindaco, dopo dieci mesi si è dimessa facendo largo (per errore o per calcolo, per leggerezza o per dispetto?) a una candidata della Rifondazione comunista? Con questa bella trovata il gruppo del PD è sceso da nove a otto consiglieri.

Tuo Pier

 

Caro Pier,

il nostro dialogare ci ha consentito di verificare, non sul campo delle astruserie, ma su quello dei problemi reali, concordanze profonde, che superano senza difficoltà concettuali e morali gli steccati delle appartenenze ideologiche e semmai le trasformano in energie costruttive convergenti.

Una premessa questa, per dirti che innanzitutto concordo con te sulla condanna del vezzo tutto provinciale degli italiani di mutuare modelli da esperienze e culture spesso lontane mille miglia dalla realtà del nostro Paese e di non avere invece l'umiltà - questa al contrario sarebbe una grande virtù - di studiare ciò che hanno già sperimentato gli altri per risolvere meglio i problemi che ci assillano. Il risultato è che non esce fuori quasi mai una soluzione che si possa dire semplicemente sensata: il nostro bipolarismo, ben funzionante in altri paesi, è stato giustamente battezzato "bipolarismo all'italiana" per sottolineare la sua ambiguità, non essendoci di fatto due poli, ma un coacervo di partiti lacerati al loro interno e in lotta tra loro più che con gli avversari del campo avverso; le leggi elettorali, che dovrebbero essere lo strumento fondamentale a disposizione dei cittadini per poter essere tali scegliendo liberamente i loro rappresentanti nelle istituzioni con mandato di tutelare e promuovere il bene comune, sono state trasformate in strumenti furbeschi per contenere la loro partecipazione alla cosa pubblica e assicurare a gruppi ristretti continuità di potere e ogni decisione reale.

In queste condizioni monta lo sconforto dei più e rifulgono, non solo le figure dei fondatori della nostra democrazia, ma anche gli intellettuali che hanno cercato di immaginare un nuovo assetto dell'Italia che la possa rendere più funzionale all'Europa che cresce e al mondo che cambia nel segno della globalizzazione e sposta i suoi centri focali. In questo senso anch'io ho apprezzato a suo tempo le elaborazioni intelligenti di Gianfranco Miglio, soprattutto quello di Una costituzione per i prossimi trent'anni (1990), ma bisognerebbe chiedersi perché poi lo stesso Miglio litigò con Bossi e ruppe con la Lega fondando il Partito federalista, e perché il federalismo ha preso la piega non solo di un rafforzamento delle frammentazioni esistenti, ma addirittura di un pericoloso neocentralismo all'interno di ogni pezzo del sistema.

Ciò che tuttavia mi turba di più continua ad essere quell'aspetto del costume nazionale che potremmo sintetizzare nello spirito autolesionistico che in ogni angolo del Paese produce litigiosità, scontro perenne di gruppi e di singoli, illusione di contare qualcosa con uno strillo o facendo male a questo o a quello almeno una volta. E poi la protervia e la furbizia che diventano sistematicamente stupidità. Consentimi di dire che sia a destra che a manca abbiamo esempi fulgidi di tutto ciò.

Per la parte mia però mi fermo qui, sennò tra poco mi dicono che è meglio che emigro sulla luna. Per la parte tua mi sembra che possa essere sufficiente dire che, nonostante Berlusconi continui ad essere una macchina  da guerra vincente, sia per merito suo che, forse soprattutto, per demerito degli avversari, non credo che l'alleanza PdL - Lega possa alimentare la nostra speranza di futuro in quanto capace di governare le dure sfide della modernizzazione. C'è bisogno ormai, io penso, di novità vere e durature, superando finalmente sia la vecchia politica dello scontro ideologico e personalistico, sia quella, ormai anch'essa logora, dello scoppiettio massmediatico giornaliero. C'è bisogno di una politica non politicante, sobria e coraggiosa, pazientemente costruttiva, lungimirante e perciò progettuale.

Detto ciò, rispondo ora alle tue domande sull'esito della vicenda Ricci e delle dimissioni di Loriana Stella, che, stando alle dichiarazioni ufficiali di sabato mattina, sembrano a quella in qualche misura collegate. Ritengo in generale che mai bisognerebbe confondere l'etica pubblica con la morale privata, e che però tra l'una e l'altra un dialogo è sempre necessario e possibile e ogni caso va analizzato per quello che effettivamente è e non utilizzato a fini impropri. Per questo ho l'impressione che siamo di fronte a qualcosa che somiglia poco a verità e molto invece a imbarazzo ed ipocrisia. Infatti non mi pare credibile né che non si sapesse nulla all'atto della formazione delle liste per quanto riguarda la vicenda Ricci, né che non si sia discusso nulla nel PD prima delle dimissioni di Loriana Stella, talché queste sarebbero avvenute per esclusiva iniziativa personale. Ad ogni modo non si può non rimanere di stucco quando si constata che con due mosse, rapide e ravvicinate a tal punto da sembrare tra loro coordinate, il PD ha perso due consiglieri, passando da 10 a 8. E' ben vero che i numeri del centrosinistra non cambiano, ma cambia tutta la logica, e proprio nel momento cruciale della vicenda del bilancio, in cui la composizione degli schieramenti è assolutamente importante. Gli sviluppi si vedranno presto. Per ora mi limito ad osservare che il PD non è più determinante per nessuna delle soluzioni possibili. Questo potrebbe essere sì una complicazione in generale, ma potrebbe anche essere una liberazione da diverse pastoie, paradossalmente perfino per lo stesso PD. Appunto, vedremo, caro Pier. La situazione comunque si fa interessante. Per ora tanti auguri a Cecilia Stopponi, che sicuramente sarà un ottimo consigliere (lei forse direbbe consigliera) comunale.

Tuo Franco


 A destra e a manca  è la rubrica di Orvietosì  oggi alla ventottesima puntata. E' animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
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La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 26/04/2010

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