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A 'Destra e a manca' venticinquesima puntata. Da cinque mesi insieme

di Franco Raimondo Barbabella e Pier Luigi Leoni. In questa puntata L'insostenibile leggerezza dei confini politici e amministrativi, Il ponte di Costanzo Lemmi, La classe dirigente in concreto. Intervento di Mario Tiberi

foto di copertina

L'insostenibile leggerezza dei confini politici e amministrativi

Caro Franco,

un paio d'anni fa, a San Pietroburgo, mi defilai dalla mia comitiva di turisti per visitare il Museo Russo, che non era compreso nell'itinerario programmato. Mi portava lì la mia passione per le sacre icone. Ma non avevo rubli in tasca né il tempo per acquistarli. Commisi l'errore di confidare che la biglietteria avrebbe  accettato gli euro. Ma la corpulenta bigliettaia mi ricacciò bruscamente indietro. Eppure mi avevano avvertito che le impiegate delle strutture pubbliche  erano le ultime staliniste di San Pietroburgo. Per fortuna, mi accorsi che c'era un bancomat nell'androne del museo, ci infilai la tessera della piccola banca italiana di cui ero cliente, armeggiai con i tasti cercando di cavarmela con quel pochissimo che sapevo di russo e tirai fuori i rubli che mi servivano. Mentre contemplavo le antiche icone, mi vennero in mente l'Italia, la regione dell'Umbria e la nostra Orvieto. I confini politici e amministrativi mi si scolorarono. Se io, modesto funzionario, potevo visitare quella splendida e lontana città, come un qualsiasi idraulico o birraio del popolo grasso italiano, e attingere ai miei risparmi a varie migliaia di chilometri da Orvieto, la regione dell'Umbria finiva per apparirmi come una modestissima realtà amministrativa destinata sempre più a perdere peso in un mondo dove si circola e si comunica con una facilità che i legislatori che tracciarono i confini non immaginavano. Se per di più rifletto che, abitando a Orvieto, posso andare a fare i miei acquisti settimanali, abbastanza comodamente, nel Lazio, posso tenere i miei risparmi in Toscana e posso andare in ospedale o in vacanza dove mi pare. Se ancora rifletto che, per  molte cose importanti della vita, tutti possiamo strafregarcene dell'Umbria, allora il fatto che Fausto Galanello sia andato a rappresentare il territorio orvietano nel consiglio regionale dell'Umbria mi riempie di gioia per il suo reddito, ma penso che il fausto evento cambierà poco la vita degli Orvietani. Se è cambiato il mondo concretamente perché non dobbiamo cambiare concretamente mentalità?

Mi preme la tua opinione di dirigente scolastico. Tu guardi giustamente con attenzione e apprensione alla politica scolastica regionale, ma non sarebbe bene guardare anche alla concorrenza che gli istituti scolastici orvietani potrebbero fare agli omologhi servizi del Lazio settentrionale e della Toscana meridionale?

Leo Longanesi diceva: perché dovremmo preoccuparci per i posteri? Che hanno fatto per noi?

Potremmo parafrasare: perché dobbiamo occuparci degli Umbri? Che hanno fatto per noi?

Tuo Pier

Caro Pier,

capisco bene il tuo punto di vista. E' successo anche a me diverse volte: basta un viaggio in aereo e ti accorgi che la tua casa e la tua città sono solo un punto della terra e dell'universo. D'altronde non è stato forse il sommo poeta a dirci che, osservata dalla costellazione dei Gemelli, la stessa terra ci appare solo come "l'aiola che ci fa tanto feroci"? Non c'è dubbio che ci faccia bene allargare il nostro orizzonte e guadagnare il senso del relativo, per cui, certo che potremmo anche strafregarcene dell'Umbria, di Orvieto e di Fausto Galanello, peraltro oggi (lo dico tuttavia con qualche residuo dubbio) senza essere arsi sul rogo come chi, nel 1600, osò affermare che, essendo l'universo infinito, ogni punto è insieme centro e periferia. In realtà non solo non ce ne strafreghiamo, ma ce ne preoccupiamo di brutto, perché, pur essendo noi perfettamente consapevoli di abitare un pulviscolo dell'universo, abbiamo a cuore sia il pulviscolo sia chi con noi lo condivide (in senso etimologico). Siamo sinceri, non siamo nemmeno indifferenti alle sorti di Galanello, e non solo per amicizia e considerazione personale, ma perché, pur avendo contezza che la sua elezione di per sé non può cambiare né in meglio né in peggio la vita degli Orvietani, potrebbe però farlo almeno in parte se si riuscisse a determinare quello che potrei chiamare "flusso positivo del contesto", che non è una pozione o una formula magica, ma qualcosa che richiama un lavoro difficile che devono fare in molti e che io però non so se siano disposti a fare, almeno quelli che contano davvero e lo stesso Fausto Galanello. In questi casi è determinante la prova dei fatti.

Quanto alla politica scolastica dell'Umbria, credo che essa - lo ho detto ormai tante volte che rischio di annoiare anche te che pure sei con me così paziente - dovrebbe caratterizzarsi dentro la nuova politica territoriale che auspico venga finalmente impostata e attuata dal nuovo esecutivo: la politica delle sinergie interregionali, che interessa certamente noi, ma dovrebbe interessare anche tutti gli umbri solo che siano consapevoli delle conseguenze del federalismo, sulla cui attuazione, dopo l'esito delle recenti elezioni, non vi possono essere più dubbi di sorta. E certo che gli istituti orvietani possono fare concorrenza ai loro omologhi delle zone confinanti del Lazio e della Toscana! In parte già lo fanno oggi, ma è poco, molto poco. In realtà ci vuole una politica generale dei territori: lì può prendere forma una politica scolastica davvero moderna, legata sia alle esigenze formative con visione europea sia ai bisogni di lavoro e di promozione culturale e sociale delle nostre zone. Mi chiedo tuttavia non solo se e quanto guardino in questa direzione gli eletti in regione, compreso Galanello, ma anche, con la tua eccezione e di pochi altri, gli eletti in comune.

Tuo Franco

 Il ponte di Costanzo Lemmi

Caro Franco,

hai ricordato il prestigioso ponte pedonale sul Paglia ideato dall'architetto Costanzo Lemmi, il comune amico che abbiamo perduto da pochi giorni e che ha lasciato un vuoto che non possiamo e non vogliamo colmare. Puoi dirci qualcosa di più preciso su quel progetto?

Tralascio ogni considerazione sulla squallida passerella che la forza vindice della natura ha sfasciato. Non riuscirei a essere più duro dell'architetto Lemmi, che manifestò con eloquenza l'ira del giusto.

Tuo Pier

Caro Pier,

ti ringrazio di essere tornato sull'argomento. Confesso che mi ha particolarmente addolorato la scomparsa di Costanzo e considero singolare il fatto che, mentre lui ci stava lasciando, io stavo pensando proprio alla sua opera di architetto di cultura europea a più di mille chilometri di distanza, in quella Germania che lui conosceva bene e apprezzava.

Come ci siamo ripromessi di fare, in accordo con il nostro direttore, spero riusciremo a pubblicare alcune tavole del suo progetto di massima di una "passerella pedonale di attraversamento del fiume Paglia", da cui si potrà capire meglio che con le parole lo spessore del suo modo di intendere l'architettura civile nel contesto urbano. Qui posso dire molto schematicamente che: 1. la passerella sul Paglia prendeva senso dall'essere, anche simbolicamente, il punto di passaggio e di congiunzione tra la città antica e quella moderna; 2. di conseguenza, doveva riflettere questa sua doppia natura sia nella forma che nei materiali, e doveva essere perciò necessariamente non solo funzionale ma anche bella; 3. tutto il contesto andava coerentemente ripensato in direzione di una qualificazione i cui tratti caratteristici si ritrovano nelle città europee soprattutto di medie e piccole dimensioni e che ne costituiscono gli elementi di forza in una concezione moderna della vita associata (il fiume come ambiente vivo, organizzato per la cultura, lo sport, la passeggiata, il ristoro); 4. da qui anche il messaggio di una politica della qualità urbana che anche per lui era urgente assumere come priorità. Si comprende perciò il suo grido di dolore di fronte alla distanza abissale della realtà dalle sue idee.

Lo ribadisco, caro Pier, non è solo questione di disponibilità finanziarie, è soprattutto questione di mentalità. E Costanzo lo sapeva benissimo. Ma ci ritorneremo sopra.

Tuo Franco

La classe dirigente in concreto

Caro Franco,

ci hai insegnato che il problema di Orvieto è un problema di carenza di classe dirigente. Hai convinto persino me, che sono più portato a concentrami sulle diagnosi socio-culturali che a sperare nella buona volontà degli uomini illuminati. Ma adesso ti chiedo di passare alla seconda parte della lezione, quella pratica. In altri termini, che si fa?

Sono tutt'orecchi.

Tuo Pier

Caro Pier,

mi affidi un compito, se non impossibile, certamente improbo. Non mi sento in grado di dare soluzioni, perché questa è una delle questioni nelle quali la pars destruens prevale necessariamente su quella construens per ragioni intrinseche alla questione stessa. Mi spiego: la critica della situazione esistente è il passaggio obbligato per rinnovare e passare ad una situazione migliore, ma, per come la vedo io, tale passaggio non può essere un puro azzeramento (sogno astratto di piccoli borghesi o di fannulloni incapaci o di furbastri mentitori), quanto piuttosto un lavoro duro e nient'affatto scontato negli esiti all'interno della stessa classe dirigente effettivamente esistente, sia per non buttare via il buono che ci può essere, sia per fare gli innesti anche pesanti che sono necessari, sia soprattutto per generare quei cambiamenti di mentalità che richiedono lucidità e pazienza e che non si ottengono perciò solo con le sostituzioni anagrafiche, come dimostrano senza tema di smentita le stesse vicende orvietane, a destra come a manca. Come vedi, cerco di dire in tal modo anche che si fa, perché in realtà già si sta facendo. Forse poco, forse anche male. Tuttavia, per me è un gran bene che vi sia stato l'entusiasmo del cambiamento e che oggi ad esso stia seguendo la delusione di chi aveva visto un cambiamento facile, perché i cambiamenti veri non sono mai facili, e noi abbiamo bisogno di cambiamenti veri, profondi, certo di passo (secondo l'espressione di moda oggi), ma anche e soprattutto di visione, di metodo, di cuore e di cervello. Roba che non può vedere impegnati solo i vertici di partiti ripiegati su se stessi con gente che pensa solo alle proprie carriere, né solo imprenditori o professionisti presuntuosi che si sottraggono alla fatica delle responsabilità coerenti, né solo intellettuali sedicenti tali che si guardano l'ombelico e lo scambiano per il mondo e si lamentano quando il mondo li ignora, né solo dirigenti di forze organizzate della società che hanno ridotto al lumicino le ragioni stesse della rappresentanza, ecc. ecc. Roba che riguarda invece tutti, ma proprio tutti. Roba difficile, senza ricette. Lavoro duro, etica di stampo antico, strade dritte e polverose, coraggio se c'è qualche curva, cervello e cuore, valore delle persone e dimensione sociale. Io credo che il compito principale delle classi dirigenti in questa fase storica sia la modernizzazione della società, degli ambienti e delle città. E' intorno a questo tema che bisogna discutere e organizzare le forze. Anche, e auspico velocemente, ben al di là degli schemi in vigore e delle organizzazioni esistenti.

Comunque sarà bene procedere con determinazione e passo dopo passo: sarà un cammino lungo, ma non conosco fasi in cui agli uomini siano stati regalati cammini brevi e facili. Lo sai bene anche tu.

Tuo Franco


da Mario Tiberi

Carissimi,

     che ci crediamo dei giganti quando, invece, il nostro stesso Pianeta è meno di un granello di sabbia disperso nell'immensità dell'Universo, è argomento sul quale mi capita sempre più spesso di riflettere. Mi entusiasma e mi spaventa, mi è diletto e funesto in pari misura.
Ciò non toglie che si può chiedere di fermare il corso della storia per potervi scendere e, vigliaccamente, sottrarsi dall'esercizio della prima responsabilità in senso assoluto, quella di essere Uomini. Vi state adoperando (permettetemi di sentirmi anch'io parte in causa) per sciogliere nodi antichi, strigare matasse ingarbugliate, mettere ordine al marasma e dare luce al crepuscolo delle idee e delle azioni. Ce ne sarebbe per gettare nel panico anche il più tetragono dei tetragoni!.
Ma si va avanti, si deve andare avanti costi quel che costi, anche a rischio di rimetterci salute e reputazione. I più, gli infingardi e i guastafeste, li troveremo sempre pronti alla critica spicciola e immotivata e a porsi di traverso perché sono nati "bastian contrari" e "bastian contrari" se ne andranno; per i pochi che, diversamente, posseggono ancora il senso alto dell'etica politica, varrà la pena di consumare fino in fondo la candela.
Il concreto di una attrezzata e idonea classe dirigente scalpita e urge: il guanto della sfida è ormai stato lanciato e di tempo ne è trascorso; chi lo avesse voluto raccogliere e farsi avanti lo avrebbe già potuto realizzare e, dunque, non resta che ulteriormente uscire allo scoperto con una proposta complessiva di linee-guida e di menti e gambe per farle speditamente procedere.
Ritengo che i prossimi giorni dovranno essere utilmente impiegati a tali incombenze.
Con l'affetto di sempre.


A destra e a manca  è la rubrica di Orvietosì  oggi alla venticinquesima puntata. E' animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 05/04/2010

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