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A DESTRA E A MANCA. Riflessioni dalla Germania

di Pier Luigi Leoni e Franco Barbabella L'aeroporto chiude alle 21.00 per non disturbare i vip- Perché qui gli istituti professionali funzionano e da noi no?

 

foto di copertina

 

Riflessioni dalla Germania

 

L'aeroporto chiude alle 21.00 per non disturbare i vip

 

Caro Pier,

sì, proprio così! Sono in Germania, ad Essen, con una delegazione del liceo Majorana, per un importante progetto Comenius che coinvolge 18 scuole di 7 Paesi europei. Avevamo prenotato un volo easy Jet con partenza alle 18.30 da Fiumicino. La partenza in realtà è avvenuta alle 20.20, dunque con quasi 2 ore e mezza di ritardo, e l'arrivo, previsto per le 20.10 a Dusseldorf, è avvenuto invece alle 22.20 a Colonia. Da qui ci hanno portati in pullman a Dusseldorf, dove ci attendevano da più di tre ore i nostri colleghi, che ci hanno portati ad Essen, dove siamo arrivati che era ormai quasi l'una. Abbiamo ovviamente maledetto easy Jet, una delle compagnie low cost più importanti e, a detta di tutti, affidabili. Che cosa era successo? Lo abbiamo saputo ad Essen: dato il ritardo, non si era potuti atterrare a Dusseldorf  perché questo aeroporto chiude alle 21.00 per non disturbare i vip che, numerosi, abitano le loro ville nelle zone amene delle vicinanze. Ho appurato che non si tratta della diceria di borghesucci invidiosi o di comunisti incalliti. Comunque abbiamo tutti rivalutato in un attimo le compagnie di bandiera e i voli di linea, anche perché più d'uno ci ha detto che quello di easy Jet non è il solo caso di compagnia low cost con il vizietto del ritardo programmato e del cambio di scalo. Lo vedi quanto ci vuole poco a rovesciare un giudizio che sembrava consolidato?

Tuo Franco

 

Caro Franco,

la propaganda fascista riesumò l'invettiva del grande predicatore francese Jaques-Benigne Bossuet contro la spregiudicatezza della politica internazionale dell'Inghilterra. Si tornò così a parlare di "perfida Albione".  Allora l'Inghilterra  si era messa di traverso all'Italia per impedirne la politica coloniale. Non le garbavano le colonie altrui. Adesso che ha perso le proprie colonie si è ridotta a fare gli imbroglietti ai turisti coi voli low cost. Sic transit gloria mundi. Mi dispiace che tu ne sia rimasto vittima.

Tuo Pier

 

Perché qui gli istituti professionali funzionano e da noi no?

 

Caro Pier,

lavoriamo presso un grande istituto professionale, una scuola pubblica ospitata in un megacomplesso comunale adibito anche alla formazione degli adulti, con annessi collegio e struttura alberghiera. Colpisce non solo la composizione multietnica della popolazione che frequenta il centro, qui davvero molto pronunciata, il fiorire di piercing, orecchini e tatuaggi un po' dappertutto, ma soprattutto l'ambiente ordinato, pulito e attrezzato, funzionale e a norma, l'organizzazione razionale degli spazi e delle attività, il self service che funziona dalle sette di mattina alle nove di sera con pasti di qualità. Qualcuno, visto che siamo in Germania, dirà che è naturale, come se fosse il regalo di una divinità particolarmente amica. Ed è invece ovvio che si tratta di altro. Come ho detto, il centro è comunale, in parte istituto professionale e in parte scuola di formazione professionale per adulti disoccupati o in cerca di lavoro, magari ex studenti che per le più diverse ragioni non hanno finito gli studi o non ce l'hanno fatta a conseguire il diploma. Il sistema istruzione professionale dei giovani, formazione degli adulti e domanda di lavoro, qui è davvero un sistema integrato. Mi chiedo perché in Italia e in particolare in Umbria (queste questioni attengono espressamente alle competenze, oltre che dello stato, delle regioni) non si riesca a fare la stessa cosa, che sembra così logica, così elementare. Mi faccio però anche altre domande. Ad esempio, perché l'istruzione e la formazione professionale in Germania, oltre che in Francia e in genere in tutti i Paesi più sviluppati dell'Europa, è ritenuta così centrale, strategica, mentre da noi è trattata come l'ultima delle preoccupazioni? E ancora: perché qui, oltre che in Francia e nei Paesi più sviluppati dell'Europa, e stavolta anche in Tunisia, gli edifici scolastici sono moderni, funzionali, ben manutenuti, mentre da noi se ne trovi uno in buono stato, a norma, ordinato e dotato di tecnologie adeguate, è un miracolo? Peraltro nessuno si scandalizza che questo venga considerato un miracolo. Tutto questo, secondo te, ha a che fare qualcosa con i soldi o forse, azzardo, ha a che fare qualcosa con la mai tramontata cultura retorica, che svaluta il lavoro manuale ed esecutivo e che attraversa le nostre classi dirigenti a destra e a manca?

Tuo Franco

 

Caro Franco,

ti capisco, ma la "cultura retorica" italiana ha prodotto un pezzo politicamente scorrettissimo di Giovanni Papini che ha sempre avuto su di me un effetto terapeutico. Ne sconsiglio la lettura alle anime belle, ai nervosi e ai deboli di stomaco.

 "Cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanotti che dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello? Gli altri potete chiamarli - con morali e codici in mano - delinquenti ma quest'altri sono, anche per voi, puri e innocenti come usciron dall'utero delle vostre spose e figliuole. Con quali traditori pretesti vi permettete di scemare il loro piacere e la loro libertà nell'età più bella della vita e di compromettere per sempre la freschezza e la sanità della loro intelligenza?
"Non venite fuori colla grossa artiglieria della retorica progressista: le ragioni della civiltà, l'educazione dello spirito, l'avanzamento del sapere Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall'insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che spesso non erano stati a scuola o non v'insegnavano.
"Sappiamo ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali.
"Soltanto per caso e per semplice coincidenza - raccoglie tanta di quella gente! - la scuola può essere il laboratorio di nuove verità.
"Essa non è, per sua natura, una creazione, un'opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest'ultimo ufficio,  perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori.
"Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istruiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi.
"Quali?
"Per i genitori, nei primi anni, sono il mezzo più decente per levarsi di casa i figliuoli che danno noia. Più tardi entra in ballo il pensiero dominante della "posizione" e della "carriera".
"Per i maestri c'è soprattutto la ragione di guadagnarsi pane, carne e vestiti con una professione ritenuta "nobile" e che offre, in più, tre mesi di vacanza l'anno e qualche piccola beneficiata di vanità. Aggiungete poi a questo la sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare impunemente, in capo alla vita, qualche migliaio di bambini o di giovani.
"Lo Stato mantiene le scuole perché i padri di famiglia le vogliono e perché lui stesso, avendo bisogno tutti gli anni di qualche battaglione di impiegati, preferisce tirarseli su a modo suo e sceglierli sulla fede di certificati da lui concessi senza noie supplementari di vagliature più faticose.
"Aggiungete che sulle scuole ci mangiano ispettori, presidi, bidelli, preparatori, assistenti, editori, librai, cartolai e avrete la trama completa degli interessi tessuti attorno alle comunali e regie e pareggiate case di pena.
"Nessuno - fuorché a discorsi - pensa al miglioramento della nazione, allo sviluppo del pensiero e tanto meno a quello cui si dovrebbe pensar di più: al bene dei figliuoli.
"Le scuole ci sono, fanno comodo, menano a qualche guadagno: ficchiamoci maschi e femmine e non ci pensiamo più.
"L'uomo, nelle tre mezze dozzine d'anni decisive nella sua vita (dai sei ai dodici, dai dodici ai diciotto, dai diciotto ai ventiquattro), ha bisogno, per vivere, di libertà.
"Libertà per rafforzare il corpo e conservarsi la salute, libertà all'aria aperta: nelle scuole si rovina gli occhi, i polmoni, i nervi (quanti miopi, anemici e nevrastenici possono maledire giustamente le scuole e chi l'ha inventate!)
"Libertà per svolgere la sua personalità nella vita aperta dalle diecimila possibilità, invece che in quella artificiale e ristretta delle classi e dei collegi.
"Libertà per imparare veramente qualcosa perché non s'impara nulla di importante dalle lezioni ma soltanto dai grandi libri e dal contatto personale colla realtà. Nella quale ognuno s'inserisce a modo suo e sceglie quel che gli è più adatto invece di sottostare a quella manipolazione disseccatrice e uniforme ch'è l'insegnamento.
"Nelle scuole, invece, abbiamo la reclusione quotidiana in stanze polverose piene di fiati - l'immobilità fisica più antinaturale - l'immobilità dello spirito obbligato a ripetere invece che a cercare - lo sforzo disastroso per imparare con metodi imbecilli moltissime cose inutili -  e l'annegamento sistematico di ogni personalità, originalità e iniziativa nel mar nero degli uniformi programmi. Fino a sei anni l'uomo è prigioniero di genitori, bambinaie e istitutrici; dai sei ai ventiquattro è sottoposto a genitori e professori; dai ventiquattro è schiavo dell'ufficio, del caposezione, del pubblico e della moglie; tra i quaranta e i cinquanta vien meccanizzato e ossificato dalle abitudini (terribili più d'ogni padrone) e servo, schiavo, prigioniero, forzato e burattino rimane fino alla morte.
"Lasciateci almeno la fanciullezza e la gioventù per godere un po' d'igienica anarchia!
L'unica scusa (non mai bastante) di tale lunghissimo incarceramento scolastico sarebbe la sua riconosciuta utilità per i futuri uomini. Ma su questo punto c'è abbastanza concordia fra gli spiriti più illuminati. La scuola fa molto più male che bene ai cervelli in formazione.
Insegna moltissime cose inutili, che poi bisogna disimparare per impararne molte altre da sé.
"Insegna moltissime cose false o discutibili e ci vuol poi una bella fatica a liberarsene - e non tutti ci arrivano.
"Abitua gli uomini a ritenere che tutta la sapienza del mondo consista nei libri stampati.
"Non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico.
"Insegna (pretende d'insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare: la pittura nelle accademie; il gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle facoltà di filosofia; la pedagogia nei corsi normali; la musica nei conservatori.
"Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo e nella stessa quantità non tenendo conto delle infinite diversità d'ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di bisogni ecc.
"Non si può insegnare a più d'uno. Non s'impara qualcosa dagli altri che nelle conversazioni a due, dove colui che insegna si adatta alla natura dell'altro, rispiega, esemplifica, domanda, discute e non detta il suo verbo dall'alto.
"Quasi tutti gli uomini che hanno fatto qualcosa di nuovo nel mondo o non sono mai andati a scuola o ne sono scappati presto o sono stati "cattivi" scolari. (I mediocri che arrivano nella vita a fare onorata e regolare carriera e magari a raggiungere una certa fama sono stati spesso i "primi" della classe).
"La scuola non insegna precisamente quello di cui si ha più bisogno: appena passati gli esami e ottenuti i diplomi bisogna rivomitare tutto quel che s'è ingozzato in quei forzati banchetti e ricominciare da capo.
"Vorrei che i nostri dottori della legge, per i quali la scuola è il tempio delle nuove generazioni e i manuali approvati sono i sacri testamenti della religion pedantesca, leggessero almeno una volta il saggio di Hazlitt sull'Ignoranza delle persone istruite, che comincia così: "La razza di gente che ha meno idee è formata da quelli che non son altro che autori o lettori. È meglio non saper né leggere né scrivere che saper leggere e scrivere, e non essere capaci d'altro".
"E più giù: "Chiunque è passato per tutti i gradi regolari d'una educazione classica e non è diventato stupido, può vantarsi d'averla scappata bella".
"Credo che pochissimi potrebbero - se sapessero giudicarsi da sé - vantarsi di una tal resistenza. E basta guardarsi un momento attorno e vedere quale sia la media intelligenza de' nostri impiegati, dirigenti, professionisti e governanti per convincersi che Hazlitt ha centomila ragioni. Se c'è ancora un po' d'intelligenza nel mondo bisogna cercarla fra gli autodidatti o fra gli analfabeti.
"La scuola è così essenzialmente antigeniale che non ristupidisce solamente gli scolari ma anche i maestri. Ripeti e ripeti anni dopo anni le medesime cose, diventano assai più imbecilli e immalleabili di quel che fossero al principio - e non è dir poco.
Poveri aguzzini acidi, annoiati, anchilosati, vuotati, seccati, angariati, scoraggiati che muovon le loro membra ufficiali e governative soltanto quando si tratta di aver qualche lira di più tutti i mesi!
"Si parla dell'educazione morale delle scuole. Gli unici risultati della convivenza tra maestri e scolari è questa: servilità apparente e ipocrisia dei secondi verso i primi e corruzione reciproca tra compagni e compagni.
"L'unico testo di sincerità nelle scuole è la parete delle latrine.
"Bisogna chiuder le scuole - tutte le scuole. Dalla prima all'ultima. Asili e giardini d'infanzia; collegi e convitti; scuole primarie e secondarie; ginnasi e licei; scuole tecniche e istituti tecnici; università e accademie; scuole di commercio e scuole di guerra; istituti superiori e scuole d'applicazione; politecnici e magisteri. Dappertutto dove un uomo pretende d'insegnare ad altri uomini bisogna chiuder bottega. Non bisogna dar retta ai genitori in imbarazzo né ai professori disoccupati né ai librai in fallimento. Tutto s'accomoderà e si quieterà col tempo. Si troverà il modo di sapere (e di saper meglio e in meno tempo) senza bisogno di sacrificare i più begli anni della vita sulle panche delle semiprigioni governative.
"Ci saranno più uomini intelligenti e più uomini geniali; la vita e la scienza andranno innanzi anche meglio; ognuno se la caverà da sé e la civiltà non rallenterà neppure un secondo. Ci sarà più libertà, più salute e più gioia.
"L'anima umana innanzi tutto. È la cosa più preziosa che ognuno di noi possegga. La vogliamo salvare almeno quando sta mettendo le ali. Daremo pensioni vitalizie a tutti i maestri, istitutori, prefetti, presidi, professori, liberi docenti e bidelli purché lascino andare i giovani fuor dalle loro fabbriche privilegiate di cretini di stato. Ne abbiamo abbastanza dopo tanti secoli.
"Chi è contro la libertà e la gioventù lavora per l'imbecillità e per la morte."

Tuo Pier

Perché non vogliamo riconoscere che c'è del bello nella modernità?


Caro Pier,
conosci il mondo quanto e meglio di me, e perciò è ovvio che non voglio insegnarti niente, ma ti chiedo soltanto di ragionare insieme a me, oltre che sulle altre questioni alle quali ho accennato sopra, anche su questa: non ti pare che si è esagerato a pensare che l'antico, ciò che chiamiamo storico, sia l'unica espressione autentica della nostra civiltà? Io qui ad Essen vedo costruzioni moderne straordinariamente curate da tutti i punti di vista, segni marcati di un'architettura di qualità (ad es. di maestri come Alvar Aalto) e un effetto urbano con il timbro pronunciato della vivibilità, insieme funzionale ed estetica. E vedo il rispetto dell'antico, certo poco per ragioni di guerra, anche se di pregio, a cui il moderno è accostato con sapienza e però senza timore. La stessa cosa si può notare a Colonia (nella stessa cattedrale), come a Mulheim o a Berlino. Perciò non trovo per niente strano che qui, quando si deve risolvere un problema di attraversamento pedonale di una strada di grande comunicazione, si costruisce non una passerella sopraelevata qualsiasi, ma un ponte sorretto da tensostrutture in acciaio che sono una meraviglia estetica e funzionale, una soluzione che è stata adottata ad esempio a Lione, oltre che in altre parti della stessa Germania. Mi chiedo perché invece da noi, quando si fa qualcosa di moderno, normalmente si adottano soluzioni di basso profilo, appena funzionali ed esteticamente inguardabili, come la passerella sul Paglia a Ciconia. E pensare che quella doveva rappresentare simbolicamente l'elemento di congiunzione tra la città antica e quella moderna! E non è nemmeno da dire che non era stata pensata e progettata una soluzione adeguata e architettonicamente importante: lo aveva fatto l'architetto Costanzo Lemmi. No, non è questione di costi. E' piuttosto questione di mentalità, di visione delle cose. Anche per questo penso che si debba insistere sull'idea dell'adunanza megagalattica dei migliori architetti e urbanisti. Tu che ne pensi, dico una bestialità?
Tuo Franco


Caro Franco,
mentre scrivevi questo pezzo in Germania, il nostro amico Costanzo Lemmi passava a miglior vita. L'ha spento una strana malattia che l'aveva torturato per molti anni.
Lasciami esprimere un dolore che è anche il tuo. Ne abbiamo ammirato la vasta e profonda cultura, la curiosità intellettuale, la classe nel progettare, la sagacia nel ragionare. La lunga esperienza di lavoro all'estero, vissuta con la sua forte intelligenza, l'aveva elevato al di sopra del provincialismo di molti professionisti nostrani. Se gli avessero lasciato lo spazio che meritava, le parti moderne di Orvieto sarebbero molto più belle. Non aveva formato un famiglia, e ciò gli ispirava una particolare tenerezza verso i  figli degli amici, compresi i miei, che ricambiavano il suo affetto. Scendeva sovente a Bolsena per desinare con me sulle rive del lago che amava e sul quale sognava di costruirsi una casa. La tante ore passate insieme  a conversare rimangono vive tra i miei ricordi più belli.
Mi va pure di ricordare la comune esperienza nella fondazione dell'associazione Nuova Tuscia. Insieme ci occupammo della redazione dello statuto, dove c'è l'impronta del suo stile. Non tutti sanno che la sua prosa era eccellente. L'eleganza e la chiarezza riverberavano gli studi classici e la modernità del pensiero.
Preghiamo come Sant'Agostino: Signore non ti chiediamo perché ce l'hai tolto, ma ti ringraziamo per avercelo donato.

A destra e a manca  è la rubrica di Orvietosì  oggi alla ventiquattresima puntata. E' animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.

Per leggere le precedenti puntate di 'A destra e a manca' clicca qui


Pubblicato il: 29/03/2010

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