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Alessandro ucciso due volte

Alessandro è "stato ucciso per la seconda volta", come ripete la madre, tra fascicoli, lettere e ritagli di giornale. Caso chiuso. Chiuso, una prima volta, sulla base delle indagini degli inquirenti, chiuso anche una seconda volta, e definitivamente, anche in sede di opposizione all'archiviazione. Ma la lotta per la sicurezza sulla strada continua in Rete...

foto di copertina

PORANO - A distanza di tre anni a casa Cristiano, alle porte del piccolo abitato di Porano, il tempo sembra essersi fermato. Poco o nulla è cambiato da quel pomeriggio del 2 marzo 2007, quando un tragico incidente stradale, sulla Siena Bettolle, all'epoca ancora un cantiere aperto per i lavori di raddoppio, ha ucciso Alessandro, 26 anni, strappandolo all'affetto dei genitori e della sorella.

Un morto ogni cinque chilometri, cinque vittime in diciotto mesi: la pericolosità di quel tratto di superstrada, in cui la carreggiata da quattro corsie diventava a doppio senso di circolazione, nei pressi del bivio per Taverne d'Arbia, era all'epoca un dato di fatto, tristemente comprovato anche dalle fredde statistiche di quell'anno sugli incidenti stradali. Ora però, da pochi mesi, Alessandro è "stato ucciso per la seconda volta", come ripete la madre, tra fascicoli, lettere e ritagli di giornale. Caso chiuso. Chiuso, una prima volta, sulla base delle indagini degli inquirenti, chiuso anche una seconda volta, e definitivamente, anche in sede di opposizione all'archiviazione, nonostante una perizia di cento pagine del geometra Massimo Martano, consulente dell'associazione nazionale vittime della strada, dimostrasse che "Alessandro si poteva salvare", afferma Irene Fernandez che non smette di lottare e di chiedere giustizia per suo figlio. "Si poteva salvare - prosegue - se ci fosse stato il rispetto del limite di velocità da parte del camion che proveniva dalla parte opposta, se ci fosse stato lo spartitraffico sulla carreggiata e un lampeggiante".

E poi ancora: "Perché la prima perizia è stata fatta a 13 giorni dall'incidente? Perché il camionista è stato sottoposto all'alcol test soltanto dopo tre ore dallo schianto? perché l'unico testimone non è stato ascoltato dai giudici?". Tutto inutile. I magistrati senesi hanno archiviato il caso. E a Irene, affiancata dall'avvocato dell'associazione nazionale vittime della strada, Gianmarco Cesari, non resta che andare avanti per via civile. "Questo è quello che è successo a noi dopo tre anni - afferma Irene - e cosa succede a migliaia di persone che, come noi, aspettano giustizia per un figlio o un familiare vittima della strada".

Di qui però l'impegno che sta trasformando un dolore privato in una battaglia sociale. "Il mio non vuole essere un inutile sfogo - premette Irene -. Al contrario, non ci si deve mai arrendere, bisogna unire le nostre forze per protestare contro tanta indifferenza e leggi vergognose che non sono degne di una nazione civile". È per questo che la mamma di Alessandro ha pensato allo strumento più efficace per coinvolgere più persone possibile nel "suo" impegno, ovvero la Rete. Irene Fernandez, da qualche tempo, è diventata amministratrice, insieme ad altri genitori che hanno vissuto un'esperienza simile, di un gruppo che su Facebook che conta attualmente 3324 iscritti: "Gruppi uniti: giustizia per le vittime della strada". Obiettivo: unire tutti gruppi che separatamente conducono battaglie contro le ingiustizie della strada, in modo da creare un unico strumento di pressione.

"Purtroppo si continua a morire sulla strada, i dati delle statistiche parlano di 14 vittime al giorno, che fanno circa 6000 morti all'anno, per non parlare di chi rimane in coma vegetativo o disabile a vita - spiega Irene - . Il problema però non è tenuto nella dovuta considerazione, c'è tanta superficialità, incompetenza e menefreghismo, per non parlare dell'assenza dello Stato, delle leggi, delle Istituzioni che non tutelano e ignorano il problema. Allora siamo noi, uniti, a dover fare qualcosa perché questa strage si fermi. Tutti siamo coinvolti in quanto siamo tutti utenti della strada".

Questa la lettera indirizzata al presidente della Repubblica dal gruppo "Gruppi uniti: giustizia per le vittime della strada".

ORVIETO - No ai provvedimenti clemenziali, no alle attenuanti, ai patteggiamenti, sì ad un inasprimento delle pene, alla certezza della pena stessa, in una parola sì ad una "giustizia giusta" per chi si rende responsabile di gravi incidenti stradali. È quanto chiedono in una lettera indirizzata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano gli scritti al gruppo "Gruppi uniti: giustizia per le vittime della strada". Un'iniziativa volta a sensibilizzare chi deve legiferare e chi la giustizia deve applicarla. "Non si può assistere e sopportare che chi si rende responsabile di omicidi trasgredendo le norme - è scritto nella lettera - spesso mettendosi alla guida ubriaco o drogato, debba essere giudicato come se avesse solo procurato dei danni materiali e non di avere distrutto definitivamente la vita di persone e famiglie intere". Nel 2008 in Italia, i giovani morti negli incidenti stradali, al di sotto dei 30anni sono stati 1253, pari a un terzo del totale. Di questi 543 solo nel fine settimana. I dati registrati dall'Istat sono forniti dall'Ania (associazione nazionale delle imprese assicuratrici)..

Pubblicato il: 11/03/2010

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