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Come essere utili a tutti facendo arrabbiare quasi tutti

"A destra e a manca".  Leoni chiede "Come faccio quindi a non essere irritato con tutti coloro che salgono le scale del municipio col cappello in mano per farselo riempire di soldi della comunità? e Barbabella risponde...contributo di Francesco Neri, Aramo Ermini

foto di copertina

Caro Franco,

lasciami approfittare della tua amicizia e della tua benevolenza per uno sfogo e per un consiglio.

La mia recente presa di posizione sul finanziamento della scuola di musica mi ha attirato anche qualche consenso. Ultimamente, mi sono addirittura commosso per aver indotto Gian Paolo Aceto a una performance che ne rivela in modo particolarmente felice il notevole spessore intellettuale, sovente da lui pudicamente avvolto in sarcastiche invettive, secondo l'uso dei torinesi colti. 

Delle critiche, anche feroci, non mi lamento. Me le sono andate a cercare. Ma sento il dovere di spiegare donde viene il mio modo tagliente di affrontare i temi che mi stanno a cuore.

Per quaranta anni ho vissuto al fianco di amministratori comunali di ogni colore, e al cospetto del popolo utente, cliente, votante, chiedente e pagante. Ero al servizio degli uni e dell'altro, potendo rivalermi (per modo di dire) solo sui dipendenti comunali. Ne ho viste e sentite (e spero di non averne fatte) di tutti i colori. Si trattava, è vero, di piccoli comuni. Ma, come diceva Goethe, non c'è bisogno di girare il mondo per capire che il cielo sereno è azzurro dappertutto. E poi, come consigliere di Orvieto per dieci anni, ne ho viste e sentite anche qui di tutti i colori.

Confesso che non sono mai riuscito a distinguere tra la moralità politica della destra, del centro e della sinistra. Dipenderà dalla mia ottusità, ma gli amministratori comunali all'opera, a parte qualche rara (e pericolosa) rigidità ideologica, li ho visti quasi sempre impastoiati dal paternalismo e dal clientelismo. La legalità è un optional da tirar fuori quando fa comodo per schermirsi o per fare scena. La legge vera è quella della conservazione del potere rendendosi popolari. E il popolo considera simpatico chi lo adula (poiché la vanità ha il suo peso) e, al momento opportuno, lo favorisca (poiché il "particulare" pesa ancora di più). Migliori, o piuttosto  meno peggiori, sono gli amministratori mecenati: quelli che favoriscono le arti, edificano monumenti e organizzano feste e spettacoli, ma non col proprio patrimonio, bensì con quello pubblico. Sembrano anime reincarnate di ricconi del passato che adesso non hanno un patrimonio o, se ce l'hanno, se lo tengono per sé. Sfogano la passione per la bellezza coi soldi degli altri. Se gli antichi mecenati finivano sul lastrico, i moderni mecenati mandano sul lastrico la comunità.

Come faccio quindi a non essere irritato con tutti coloro che salgono le scale del municipio col cappello in mano per farselo riempire di soldi della comunità? E come faccio a  non essere irritato con gli amministratori comunali che godono nel riempire quei cappelli di soldi, o almeno di promesse?

A volte mi domando come ho resistito quarant'anni e come resisto ancora oggi. E mi rispondo che la mia consolazione sono quei bravi cittadini che proverebbero vergogna se ricevessero soldi dalla comunità per il soddisfacimento di bisogni che non riguardano i beni indispensabili della vita. Quelli che non si arruffianano per farsi cambiare le destinazione edilizia di un terreno, che non strisciano per piazzare un figlio in comune, ma lo educano a imparare bene un mestiere o una professione e, se desiderano un lavoro pubblico, a partecipare a un concorso serio. Basta cercare, tenendo presente che l'Italia è bella tutta e che il resto del mondo non è male.

Questa stratificazione di morali tra loro incompatibili, questo slittare l'una sull'altra di faglie sotterranee che creano tensioni individuali e sociali, finisce col manifestarsi in eventi sismici nella sfera psicologica, giudiziaria e politica.  Sono momenti in cui la pazienza salta e l'ipocrisia erompe. Ma poi ricomincia l'andazzo.

Tu che hai una esperienza politica più lunga e importante della mia, tu che sei ben abituato a studiare,  riflettere,  operare e  insegnare, aiutami a capire perché tutto ciò accade. Altrimenti, tu sai che sono capace di tirare in ballo il diavolo e il peccato originale. E perché non mi aiuti pure a soddisfare il mio desiderio di essere concretamente utile alla comunità senza rinunciare alle mie indignazioni?

Tuo Pier

Caro Pier,

non so se io posso essere utile a te più di quanto tu, con le tue acute riflessioni, sei utile a me, oltre che a te stesso. Tuttavia, proverò a rispondere alle tue richieste di amichevole conforto, e non me ne volere se nel farlo parlerò anche un po' di me. Mi viene subito in mente Severino Boezio e il suo De consolatione philophiae e allora penso che in fondo ti è andata bene se, come accadde a lui, non sei stato accusato da un qualche Cipriano, magistrato asservito al potere costituito, di praticare le arti magiche o, come accadde a Socrate, da un qualche Meleto, giovane rampante e letterato finto, di corrompere i giovani insegnando dottrine che mirano al disordine sociale e di non credere negli dei della città contestando così di fatto la natura sacra delle sue leggi, o, per venire ai tempi nostri, non sei stato ancora costretto a girare sotto scorta avendo proposto di risanare il bilancio con operazioni drastiche, come invece è accaduto al sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo Antonio Cognata. E non ti sembri azzardato questo parallelo tra vicende di fine V° secolo avanti Cristo, inizio VI° secolo dopo Cristo e giorni nostri, perché ci sono aspetti della dimensione umana che si ripetono come se gli uomini non avessero imparato niente dall'esperienza dei loro simili. Ad esempio Boezio - siamo nel terzo decennio del VI° secolo dopo Cristo - pone il problema di come "pur esistendo il buon reggitore delle cose, i mali esistano comunque e siano impuniti ... e non solo la virtù non venga premiata ma sia persino calpestata dai malvagi e punita al posto degli scellerati". Non ti sembra che potrebbero essere parole scritte da qualcuno ieri sera?

No, caro Pier, non c'è bisogno di scomodare diavolo e peccato originale. In realtà sai come stanno le cose: gli uomini - lo sapeva bene Guicciardini - amano il particulare, e questo di sicuro genera anche tante spinte positive e consente di realizzare opere importanti, ma il particulare deve essere temperato col bene comune e inquadrato in esso, pena l'anarchia e la fine della vita associata. A questo serve la politica e per questo esistono le classi dirigenti, che in regime democratico sono legittimate non solo dall'essere riconosciute come tali tramite elezioni o altre procedure stabilite per legge, ma per il fatto che debbono saper distinguere l'interesse di tutti rispetto a quello di pochi o anche a quello di molti ma non di tutti, e prendono decisioni coerenti con il loro mandato. Il singolo cittadino può anche difendere in modo esasperato il proprio interesse, chi governa invece deve semplicemente fare il contrario e, se non lo fa, semplicemente non deve governare. Se poi comunque non lo fa e i cittadini lo accettano, ciò che ne deriva è anche colpa dei cittadini stessi. Sono dunque d'accordo con te: quando in una comunità le cose non vanno, normalmente le colpe sono da distribuire, non proprio da tutte le parti alla stessa maniera, ma certamente con una diffusione piuttosto ampia.

Nel caso della scuola di musica, il caso mi sembra abbastanza semplice da mettere a fuoco: essa fu istituita, essendo io sindaco, per ispirazione e volontà di Adriano Casasole, ed a lui è stata giustamente intitolata. Se non altro per questo, e ovviamente soprattutto per il servizio che dà, non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello di operare perché venga chiusa, e so bene che anche tu la pensi così. Il punto in realtà è un altro: la scuola di musica nacque come scuola comunale di musica, dunque un soggetto pubblico a tutto tondo; recentemente è stata trasformata in associazione - peraltro, se non sono male informato, senza un confronto con i soggetti ai quali è stata poi chiesta a posteriori l'approvazione - ed ha assunto perciò una natura privatistica, ciò che non vuol dire - va ripetuto chiaramente - che non vi debba più essere l'interesse della collettività alla sua esistenza; ma perché il Comune - questa è la questione cruciale - dovrebbe continuare a stare in quel Consiglio di Amministrazione? Altra cosa poi è la questione del contributo annuale: esso può essere concesso nella misura decisa annualmente dal decisore pubblico in ragione delle sue valutazioni di compatibilità con l'equilibrio di bilancio, al pari di quanto lo stesso decisore deve fare rispetto ad altri soggetti che svolgono attività ugualmente utili alla comunità. Dunque le accuse fatte a te di essere il destro incapace di capire le esigenze sociali e conseguentemente il difensore della cultura elitaria, non ti devono angustiare più di tanto non solo perché non sono vere e fanno emergere solo un substrato di ideologismo fuori tempo e fuori luogo, ma soprattutto perché sai bene che ci vorrà non poco a superare le sedimentazioni culturali e pratiche della lunga fase storica caratterizzata dalla continua espansione delle attività pubbliche pagate a piè di lista. Naturalmente sono contento che, per converso, hai ottenuto qualche consenso esplicito, in primis quello di Gian Paolo Aceto, al quale colgo l'occasione di rivolgere anche la mia sincera considerazione con la speranza che voglia anche con me ristabilire il bel rapporto di qualche tempo fa.

Quanto poi alle tue amare considerazioni sui comportamenti degli amministratori pubblici nei confronti dei cittadini e dei cittadini stessi, che tu generalizzi e che io sintetizzerei così: mancanza di responsabilità e di dignità in una parte consistente di essi, potrei ricordarti anche per questo verso, ma lo sai anche tu, che si tratta di fenomeni antichi che hanno subito un'espansione progressiva man mano che da una parte sono diminuiti i vincoli autoritari, e dall'altra si è passati dalle vecchie a nuove gerarchie più parcellizzate e diffuse. Inutile che ci illudiamo, caro Pier, i fenomeni generali ci toccano eccome! In una precedente puntata della nostra rubrica, riflettendo sulla necessità di costruire una nuova classe dirigente, citavo la lettera aperta che il 30 novembre scorso Pier Luigi Celli, direttore generale della Luiss Guido Carli, scrisse a suo figlio. Te ne ripropongo qui il passo iniziale: "Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio". E poi motivava il suo invito ad andarsene dall'Italia con ragioni simili a quelle che tu adduci per spiegare la tua irritazione.

Un padre che invita il figlio ad andarsene dall'Italia con motivazioni nient'affatto astruse, anche quando non si trattasse di un Pier Luigi Celli, dovrebbe indurre tutti ad una seria riflessione su ciò che sta accadendo e produrre, se non cambiamenti profondi e veloci, almeno qualcosa che somigli all'inizio di un'inversione di rotta. Ma non è accaduto e non accadrà, perché sappiamo che la società funziona in un modo molto più complesso. Però almeno prendiamo atto che quando registriamo fenomeni sociali e culturali diffusi localmente, vuol dire che sono anche fenomeni generali, rispetto ai quali io penso che il nostro orientamento, se vuole avere un senso, può essere solo quello di operare per correggerlo e non quello di rifiutare il rapporto sociale, l'impegno culturale e la battaglia politica.

Caro Pier, mi sono iscritto da tempo al club di quelli che pensano con la propria testa e dicono quello che hanno pensato e fanno quello che ritengono compatibile con la propria coscienza, anche quando la logica vigente degli interessi e delle convenienze consiglierebbe di stare zitti e buoni e di seguire la scia per ottenere vantaggi e prebende, magari solo briciole. Senza sparate per ottenere due minuti di spazio massmediatico o atti d'eroismo che durano non più di un giorno, ma potendolo comunque dimostrare con scelte e fatti, anche quando altri cercano in ogni modo di far prevalere la memoria corta e il silenzio. Mi pare che nella compagnia ci sei anche tu. Credo che basti questo per rendersi utili alla società senza rinunciare alle indignazioni.

Tuo Franco


da Francesco Neri

Ho avuto il piacere di leggere questo brillante colloquio tra due personaggi di spicco nella cultura orvietana, e ho avuto modo di riflettere su come i limiti tra la snx e la dx non sono più netti quando il vero  interesse per la Res Publica  è preminente ad interessi di parte; questo è quello che si augura la gran parte dei cittadini dell'urbe. Per i particulares non credo si lascino temperare nel bene comune, comunque la speranza ,oppio dei popoli, ci dia coraggio per affrontare senza mappa una qualche meta.



da Aramo Ermini

Ringrazio i due autori delle riflessioni stimolanti che ci offrono e al loro vorrei aggiungere il mio contributo.
Faccio un lavoro operaio, anche se specializzato e la mia busta paga mensile si aggira sui 1200, 1400 euro al mese netti, ma potrei portarmene a casa circa 700-800 in più ogni mese se tale cifra non se ne andasse in tasse: tasse per lo stato, tasse per gli enti locali.
Le trattenute mie e degli altri lavoratori dipendenti vanno ad alimentare la spesa pubblica, la spesa dello stato e la spesa degli enti locali. Solo che nella voce spesa pubblica sono comprese le spese per i tanti " particulari: gli sprechi , i privilegi, le spese inutili per apparire, le spese clientelari, ai quali il costume italiano ci ha abituato, delle quali sono responsabili non solo i politici, i funzionari pubblici, ma anche i cittadini che i favori chiedono.
Se potessi pagare meno tasse, cioè se fossero finanziati meno " particulari " potrei disporre di uno stipendio con il quale non sopravvivere solamente ma realizzare qualche progetto, motivando maggiormente il mio lavoro.  Immetterei più denaro nell'economia, potendo spendere di più.
Questo si che sarebbe coltivare l'interesse pubblico!
Anche per questo ritengo pertinente e non penalizzante la cultura il problema sollevato dal consigliere Leoni riguardo alla scuola di Musica comunale.




 

A destra e a manca  è la rubrica di Orvietosì  oggi alla ventunesima puntata. E' animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose", fatti orvietani o no visti da punti di vista diversi, certamente autorevoli.
I due sono amici fraterni da decenni e quindi le idee potranno risultare discordi ma il tono è quello amicale e piacevole che usano persone che vivono la "vita" con reciproco affetto.
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.

Per leggere le precedenti puntate di 'A destra e a manca' clicca qui



    


 

 

 

 

Pubblicato il: 08/03/2010

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