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Un posto al sole per l'Orvietano

A "destra e a manca" cerca un ruolo per il nostro territorio. Le idee di Franco Raimondo Barbabella e Pier Luigi Leoni. C'è anche la proposta di portare "dal vivo" la nostra rubrica. Contributi di Fausto Cerulli, Massimo Gnagnarini, Paolo Borrello

foto di copertina

Caro Franco,

non risparmierò a te e ai nostri (venticinque ?) lettori qualche saggio di apologia del cattolicesimo. Del resto se c'è gente che riesce a credere nel suffragio universale, perché io non dovrei credere a Gesù Cristo? Per non rovinarmi la vita, preciso che credo anch'io nel suffragio universale, ma solo perché credo in Gesù Cristo e quindi so che il Padreterno ci mette una pezza.


Ma questa volta voglio parlare soprattutto del ruolo territoriale di Orvieto "nella regione e nel contesto interregionale", come dici tu. Anzi, aggiungerei, col tuo sicuro consenso, anche nel "contesto nazionale e internazionale".

Sono passato dal tuscismo al neotuscismo, di cui sto stilando il manifesto. Te ne anticipo alcuni appunti.

Orvieto è al centro di un sistema urbano che comprende popolazioni all'interno e all'esterno del  suo territorio amministrativo. A tali popolazioni Orvieto fornisce servizi, soprattutto scolastici, commerciali e professionali. Dall'estensione di tale influenza dipende il rango della città. E le città, o riescono a estendere il proprio territorio di influenza, e quindi ad aumentare il proprio rango, o decadono. Non esiste nei fenomeni studiati dalla geografia economica una situazione di stabilità e di perfetto equilibrio. Poiché ogni città tende a espandere la propria influenza (i Ternani vogliono molto più bene a Terni che a Orvieto e i Perugini vogliono più bene a Perugia che a Terni e a Orvieto) si deve competere con dinamismo. Orvieto ha perso senza combattere la battaglia per la conservazione della propria ASL e per la definizione dell'ambito territoriale ottimale dei servizi idrici. Non c'erano ragioni legislative, politiche e di razionalità per cui Orvieto non dovesse essere sede di una seconda ASL della provincia ternana. Così come non c'erano ragioni di alcun genere per cui Orvieto, ricchissima di acqua sorgiva, sufficiente per il proprio territorio e per quelli dei comuni vicini, non dovesse essere al centro di un ambito territoriale ottimale.

In verità, in entrambi i casi, Terni si accordò con Perugia per fare i propri interessi a  discapito di Orvieto.

Abbiamo tutti sotto gli occhi le conseguenze nefaste, per Orvieto, di quelle due pesanti sconfitte.

Sarà molto duro risalire la china, ma non devono essere escluse battaglie per riformare in senso favorevole a Orvieto la legislazione regionale, ricorrendo anche all'arma di una azione per la secessione dall'Umbria.

L'ampliamento della zona di influenza passa attraverso lo sviluppo industriale, artigianale  e commerciale per il quale è indispensabile il casello nord dell'autostrada e la sistemazione viaria delle contigue e irrealizzate zone produttive. Il casello si ottiene con la pressione politica e non con le chiacchiere. Per anni è prevalso lo scetticismo. Mentre a Orvieto si scuoteva la testa e si allargavano le braccia,  la non lontana Ponzano Romano otteneva un casello ridicolo, che però ha portato in pochi mesi alla rifondazione di quel paesello.

L'ampliamento della zona d'influenza passa anche attraverso la sottrazione di popolazione scolastica alle concorrenti città toscane e laziali.

Se Orvieto è al centro del proprio incrementabile sistema urbano, è in posizione satellitare nel sistema metropolitano di Roma. Nei rapporti con Roma, Orvieto deve giocarsi il proprio prestigio di città monumentale e facile da raggiungere. Deve conseguire intese con il Comune di Roma perché, alle iniziative che già spontaneamente chiedono ospitalità, sia aggiungano altre iniziative, di carattere direttamente o indirettamente pubblico, dimensionate alle strutture congressuali e ricettive che Orvieto può offrire e che deve rapidamente incrementare. Con particolare attenzione ad alti livelli di servizi alberghieri, adeguati al prestigio del Palazzo del Capitano del Popolo e del centro storico nel suo complesso.

Nella ricerca di un ampliamento della zona d'influenza, le suddivisioni amministrative hanno una importanza limitata perché la mania della legificazione e della regolamentazione, che affligge le democrazie europee, non può arrivare a imporre ai cittadini dove devono andare a scuola o a fare la spesa o a trascorrere il tempo libero.

Tuttavia le suddivisioni amministrative esistono. Esiste la Regione, esiste ancora (purtroppo) la Provincia ed entrambe hanno il loro peso. Negli ambiti di competenza di questi enti, Orvieto deve far sentire la sua forza utilizzando l'arma dei voti elettorali, senza disdegnare accordi trasversali nell'interesse della città, e l'arma dell'intelligenza, sfruttando le rivalità tra le altre città dell'Umbria.

Orvieto deve fare i conti con Viterbo, cui sta cedendo una parte del proprio reddito, essendo quella città commercialmente più attrezzata. Perciò è indispensabile uno sviluppo commerciale sia della grande distribuzione che della piccola distribuzione di qualità.

Ma il tema fondamentale dei rapporti con Viterbo è la realizzazione dell'aeroporto. 

E' necessario sostenere Viterbo per ottenere questa grande opera, che porterà indubbi benefici anche alla nostra città, soprattutto se essa riuscirà a inserirsi nella formazione  del polo di sviluppo alternativo alla potenza politica ed economica di Roma che Viterbo e Civitavecchia stanno costruendo. L'aeroporto low cost di Viterbo è insidiato da Frosinone e la lotta è dura. Orvieto non deve rimanerne fuori, perciò è necessario allacciare stretti e costanti rapporti col Comune di Viterbo.

Al garbato laicista Trequatrini faccio presente che l'esibizione di modeste idee per il futuro di Orvieto è solo un modo divertito (anche se per lui non divertente) per dimostrare che la destra cattolica non sarà ancora in grado di dargli l'Orvieto che lui desidera, ma non ha il cervello completamente vuoto come si è sempre detto a sinistra.

Comunque, per farlo contento, questa volta mi limito, accogliendo un'istanza di Fausto Cerulli, a integrare l'idea della navetta. Concordo con Fausto che quel che va fatto per Sferracavallo può essere fatto anche per Porano, non parlando però di promozione di un quartiere suburbano a quartiere urbano, ma di sviluppo di affinità "elettive" . Ma non andrà a finire  che saranno gli Orvietani a salire a prendere il fresco sotto la "quercia grande" di Porano?

Per gli aspetti tecnici, i miei consulenti propendono per navette con motori elettrici che si ricaricano lungo le discese. Ultima trovata della destra ecologica.

Caro Franco, se mi aiuti a capire cosa intendi esattamente per "classe dirigente", a parte il tuo rimando al pensiero gnagnariniano, abbiamo una settimana a disposizione per sviscerare anche questo argomento.

Tuo Pier

Caro Pier,

anche questa volta comincio dal piede  per la ragione detta la volta precedente. Allora due parole, spero a chiusura, su Norberto Bobbio. All'amico Fausto (Cerulli) ricordo che è stato lo stesso Bobbio a riconoscere i suoi errori e a cercare di emendarli con scelte nette contro il regime fascista a cui in gioventù aveva aderito per convenienza, scelte pagate anche con l'arresto e il carcere. Non a caso Bobbio viene considerato un filosofo del dubbio: quando la riflessione sulla realtà lo richiedeva egli era capace di cambiare opinione. Lo dimostrano il brano sul comunismo che tu hai opportunamente citato e quello con cui egli amava definire se stesso: "Dalla osservazione della irriducibilità delle credenze ultime ho tratto la più grande lezione della mia vita. Ho imparato a rispettare le idee altrui, ad arrestarmi davanti al segreto di ogni coscienza, a capire prima di discutere, a discutere prima di condannare. E poiché sono in vena di confessioni, ne faccio ancora una, forse supeflua: detesto i fanatici con tutta l'anima". Penso che anche Fausto sarà d'accordo sulla condanna di ogni fanatismo e allora gli chiedo di non invocare la fucilazione post mortem di chi non solo ha riconosciuto e pagato i propri errori ma ha dedicato una vita alla ricerca, in particolare sul terreno impervio della "politica dei diritti". E spero che vorrà prendere anche per buono il fatto che Bobbio, come altri della sua generazione (ad es. Alessandro Galante Garrone, Vittorio Foa, Franco Antonicelli, Aldo Capitini, Guido Calogero), non ha fatto nulla per essere considerato un "guru della cultura italiana" e se lo è diventato, pur essendo una personalità umile e un indagatore mai appagato della dimensione sociale dell'uomo, è dipeso non da lui ma dalle debolezze degli altri. All'amico Fabrizio (Trequattrini), proprio con riferimento a Bobbio, mi permetto di far notare che la trasformazione della laicità in laicismo è il tradimento della laicità, che non può vivere senza l'accettazione e il rispetto dell'altro da sé, ciò che appunto scompare con il laicismo, un'ideologia come le altre o, se si vuole, un fondamentalismo contrapposto ad altri fondamentalismi, consolatorio sul piano individuale e pericoloso sul piano sociale. Fine della predica.

Ora debbo e voglio dedicarmi al tema della collocazione di Orvieto nella dimensione umbra e interregionale, e su questa base, appunto anche in quella nazionale e internazionale, tema su cui ti avevo sollecitato e che tu, caro Pier, hai sviluppato in un modo che in parte mi era noto e però in parte non piccola no. Mi hai piacevolmente sorpreso, perché in fondo il tuo "tuscismo" di oggi, dunque giustappunto un "neotuscismo", essendo caduta la provocazione della prospettiva separatista, vedo che si sposa senza troppe difficoltà con la mia riflessione, sviluppatasi nel corso di almeno trent'anni, intorno al ruolo delle zone cerniera, come di fatto è la nostra tra Umbria, Lazio e Toscana. Questione centrale per noi, che però non può prescindere da un discorso sull'Umbria. Mi dispiace, ma qui, soprattutto per ragioni di tempi stretti, mi devo citare - e così fornisco anche altro materiale d'analisi a qualche cultore dell'ego ipertrofico - : il 26 maggio 2008 scrivevo un articolo per 'Il giornale dell'Umbria' in cui affrontavo la questione tutt'altro che risolta dell'identità attuale della nostra regione e del ruolo che in essa possono giocare i territori. Eccone alcuni passaggi: "In questi anni di cambiamenti globali le classi dirigenti dell'Umbria sono apparse prevalentemente preoccupate di conservare, oltre che importanti conquiste, le posizioni raggiunte. Un limite serio, con ritardi nel processo di modernizzazione. Un attendismo spiazzato ora da potenti istanze di cambiamento. Tornano perciò le questioni di fondo: come ridefinire un'idea forte e credibile dell'Umbria, come portare a sistema le differenze e le vocazioni territoriali, quali relazioni con le altre regioni. Insomma, quale progetto di governo in un contesto cambiato e destinato ad ulteriori cambiamenti con il federalismo. Giovanni Codovini ha affrontato il problema dell'identità dell'Umbria e delle politiche conseguenti con riferimento all'idea della macroarea del Centro. La sua tesi è suggestiva: l'Umbria può stare da protagonista in questa nuova fase se ha il coraggio di ripensarsi come "marca aperta" e di riportare a sistema il "cantonismo" dei municipi. Non si può non essere d'accordo: il nanismo va rovesciato, l'Umbria non sarà terreno di conquista se saprà fare politiche di macroarea. Con tutto quello che segue in termini di riforme endoregionali. Qualche esempio per una politica di macroarea: il terzo aeroporto del Lazio a Viterbo non è un pericolo per Sant'Egidio, ma un'opportunità di sviluppo; attuare il titolo V° della Costituzione per l'organizzazione della rete scolastica e l'offerta formativa regionale non significa riproporre la vecchia logica dei distretti, ma considerare le proiezioni extraregionali delle singole scuole e dei territori. Si potrebbe continuare, ma ciò che conta è che tutte le questioni essenziali assumono un senso o un altro a seconda che le si affronti con l'ottica della regione chiusa o con quella della regione aperta. Si avrà il coraggio di una svolta di cultura politica nel senso auspicato? Chi lo farà davvero? ".

Caro Pier, il ruolo delle aree cerniera come la nostra si svilupperà nella direzione che tu ed io auspichiamo solo se nella fase di costruzione del federalismo si capirà che esse sono una grande opportunità di sviluppo per tutti, se le articolazioni amministrative non saranno adoperate, come accade ancora oggi, per bloccare piuttosto che per sostenere il dinamismo dei territori, se a rappresentare queste istanze sarà chiamato un personale politico consapevole e adeguato al bisogno. Se, se, se E non insisto sui se per fermarci, ma al contrario per chiarire che si tratta di un processo possibile e aperto, ma duro, duro sul serio. E che sia tale è dimostrato non solo dalle vicende che tu hai citato della ASL e dell'ATO, ma da quelle non meno corpose e cariche di conseguenze degli anni'80, quando la progettualità orvietana fu vissuta come una sfida insopportabile per le logiche allora vigenti negli ambienti del potere costituito. Dunque d'accordo con te sui rapporti con Roma e con Viterbo, sullo sviluppo economico e sui servizi, scolastici, commerciali e professionali, insomma sul ruolo di Orvieto in una politica di macroarea. Certo con qualche perplessità su temi specifici, ad esempio sul secondo casello se questo dovesse essere posto in alternativa al completamento della complanare o se dovesse farci dimenticare la vetustà dei nostri collegamenti stradali non solo con Viterbo e la Toscana, ma soprattutto con Perugia. Tuttavia le perplessità o le differenze su questioni particolari vengono dopo. Ora si tratta di riprendere con forza il tema principale: la costruzione di una rinnovata prospettiva di sviluppo per la nostra città che utilizzi le potenzialità della sua posizione e del suo patrimonio storico, culturale, ambientale, esperienziale, come elemento di propulsione per un intero sistema territoriale interregionale, che può offrire al mondo qualcosa che altri non hanno, e che dunque può fare della sua unicità l'elemento di forza che riscatta una marginalità non solo imposta ma, consapevolmente o no, anche cercata. Penso che questo percorso difficile si potrà fare se le classi dirigenti dei territori interessati sapranno essere all'altezza del compito, ciò che per me non è affatto scontato. Sì, ti dirò che cosa intendo per classe dirigente al di là del Gnagnarini pensiero (in verità per nulla disprezzabile), e tuttavia mi sembra doveroso insistere da subito sul legame tra le ambiziose prospettive progettuali da costruire, la lotta politica da condurre e il tipo di classe dirigente non solo politica che ne può e ne deve essere protagonista. E' roba non certo da web soltanto. Ne vogliamo fare oggetto di un forum a cui invitare anche altri interlocutori? Potremmo dialogare anche noi dal vivo, botta e risposta. Spero che tu sia d'accordo e che l'idea venga raccolta dal nostro amico Dante, che dovrebbe esserne l'animatore.

Tuo Franco



da Fausto Cerulli

Caro Franco, mi stupisce la tua invettiva contro il mio aver ricordato il fascista Bobbio. l'Italia è piena di fascisti pentiti, ma non posso pensare che Bobbio abbia sbagliato per una svista. Ha approfittato di una occasione che acrebbe dovuto lasciar correre, non era un ragazzino. L''Italia è piena adesso anche di comunisi pentiti o di comunisti che dicono di non essere mai stati comunisti. Il concettoo di pentito è un concetto caro alla peggaiore cultura cattolica o pseudo tale. Il pentimento mira ad una assoluzione, così il pentito, oltre aver fatto il male, non ne viene neppure punito, se non con due pater, due ave e due gloria. Io, tanto per citarmi, ho molto peccato, ma non voglio essere assolto da una Chiesa quale che sia. Cerco l'assoluzione in me stesso, se non riesco ad autoassolvermi vado in depressione. Ma non accetto la scappatoia del pentimento, di cui ho un ricordo giuridico orrendo: Morucci e la Faranda facevano parte della colonna romana delle BR, furono d'accordo nel rapimento Moro, poi quando furono arrestati si pentirono, mandarono in galera almeno ducecento compagni meno colpevoli di loro, e se la cavarono con tre anni di carcere. Curcio, che non ha ammazzato nessuno, si è beccato cinque ergastoli per concorso morale nei reati commessi dalle BR quando lui era già in carcere da anni. Ma non si è mai dichiarato pentito: magari, se lo avesse fatto, gli avrebbero dato una cattedra di sociologia all'Università di Trento. Quando parlo di fucilazione, ne parlo ovviamente per metafora. comunque i pentiti, di ogni specie, mi stanno sulle scatole, anche se si chiamano Bobbio. Sarà che io sono impenitente, e impertinente.
un abbraccio.

da Massimo Gnagnarini

Aderisco con entusiasmo all'idea del forum, di incontrarci con altri e discutere anche viso a viso di tutti i temi che state lanciando.


da Paolo Borrello

Non ero intervenuto fino ad ora nelle discussioni che Leoni e Barbabella stanno portando avanti soprattutto perché li considero un po' troppo vecchi per me. Nel senso che il sottoscritto è molto più giovane di loro, sia anagraficamente che come "giovinezza" di idee. Del resto recentemente ho ascoltato Ignazio Marino sostenere che sono giovani soprattutto coloro che hanno il coraggio (e la volontà, aggiungo io...) di proporre e, quanto meno di tentare di attuare, idee nuove.
Poiché il vostro dibattito mi è sembrato un poco "moscio" ho deciso di intervenire brevemente nel ruolo che consapevolmente mi sono attribuito di "provocatore" (forse anche troppo...) nell'ambito del web orvietano.
Mi limito per questa volta ad esprimere qualche mia valutazione sull'intervento di Barbabella, perché il suo modo di ragionare è più vicino al mio, nonostante la sua età, e mi  trovo con lui più a mio agio. Forse nelle puntate successive di questa vostra "telenovela del web" prenderò in esame anche quanto scriverà Leoni.
In riferimento a quanto scritto da Franco Barbabella, vorrei rilevare solo un elemento che caratterizza il suo intervento: Franco poteva limitarsi a scrivere solo le ultime righe, tralasciando quasi completamente la parte iniziale.
Cosa intendo sostenere?
Il fatto che l'Orvietano debba intessere rapporti non solo con le varie parti dell'Umbria ma con altri territori vicini appartenenti anche ad altre regioni ed anche con Roma, e poi che Orvieto deve svolgere un ruolo più importante nell'ambito dell'Umbria e che tale ruolo deve essere riconosciuto a Perugia come a Terni, e inoltre ancora che nella cosiddetta "Italia mediana", oggi è questa la denominazione che va più di moda, l'Umbria deve svolgere un ruolo centrale, tutto ciò rappresenta "cosa" detta, ridetta, ripetuta, mille e mille volte.
Il problema principale è l'elaborazione e soprattutto l'attuazione di progetti concreti che tendano a sviluppare quelle relazioni, a fare in modo che il ruolo dell'Orvietano in Umbria sia maggiore, a far sì che il ruolo dell'Umbria nell'Italia mediana sia anch'esso maggiore.
E qui ritorna la questione centrale, direi centralissima, delle classi dirigenti.
Provo a definire tali classi: secondo me le classi dirigenti di un determinato territorio sono composte da un gruppo più o meno ampio di persone che dispongono, almeno in teoria, del maggiore potere possibile in quel territorio, in un determinato periodo storico, e lo esercitano consapevolmente per migliorare il benessere, le condizioni di vita, di coloro che abitano nel territorio in questione.
Non necessariamente fanno parte delle classi dirigenti gli amministratori locali, i politici, perché può avvenire che facciano parte delle classi dirigenti, in un certo periodo, in un certo territorio, anche solamente i detentori del potere economico, oppure solamente i vertici della Chiesa cattolica. Generalmente i presidi e i segretari comunali non fanno parte delle classi dirigenti per loro responsabilità, ma in teoria ne potrebbero e ne dovrebbero far parte.
Il problema fondamentale dell'Umbria ed anche dell'Orvietano (ma dell'intero Paese) è che le classi dirigenti non tanto sono inadeguate rispetto agli obiettivi che si dovrebbero proporre ma sono pressocché inesistenti e tale situazione, a mio avviso, peggiora sempre di più.
Un piccolo esempio che riguarda Orvieto. E' noto che da sempre o quasi le capacità imprenditoriali nella nostra città sono del tutto insufficienti (e gli imprenditori potrebbero legittimamente, anzi dovrebbero, far parte delle classi dirigenti). Ma credete che con gli imprenditori che abbiamo (tranne qualche eccezione che però rimane tale) sia possibile ad esempio gestire nel migliore modo il palazzo dei congressi e il palazzo dei Sette, per quanto concerne le mostre, se si intende davvero privatizzare la gestione di queste strutture, sia possibile poi disporre di un sistema ricettivo all'altezza delle necessità? Esempi di questo genere potrebbero essere molti altri. In sostanza ad Orvieto non esistono energie imprenditoriali locali (sempre tranne qualche eccezione) in grado di gestire strutture complesse o affrontare problemi complessi. Per non parlare del "ceto politico" (stendiamo un velo pietoso...).
La soluzione: affidare almeno per un certo periodo la gestione di strutture complesse a soggetti esterni al territorio (evitando "fregature" come talvolta avvenuto in passato tramite l'utilizzo questa volta di procedure trasparenti ed efficaci) di rilievo nazionale,  e perché no, internazionale, presso i quali possano anche crescere i giovani orvietani.
Questa sembrerebbe una provocazione, ma solo in parte, solo in piccola parte lo è.
Che ne pensate?


 

A destra e a manca. E' la nuova rubrica di Orvietosì  che è oggi alla seconda puntata. E' animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose", fatti orvietani o no visti da punti di vista diversi, certamente autorevoli.
I due sono amici fraterni da decenni e quindi le idee potranno risultare discordi ma il tono è quello amicale e piacevole che usano persone che vivono la "vita" con reciproco affetto.
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.

Qui il link per tornare indietro alle puntate precedenti


Pubblicato il: 23/11/2009

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