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Orvieto nel tunnel. La rabbia e la speranza

Questa settimana Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella affrontano il tema incalzante della selezione della classe dirigente orvietana. Il contributo di Fausto Cerulli e Massimo Gnagnarini

foto di copertina

Caro Franco,

prima di tutto sgombriamo il campo da un equivoco che mi perseguita da quando uscì, nel 1997, il mio libretto "Orvieto  kaputt - La Vendetta del villano". Forse l'equivoco è stato da me sprovvedutamente alimentato con qualche battuta del tipo di quella che mi rimproveri. In verità quel mio libretto non era contro i contadini né a favore dei proprietari. Era semplicemente un tentativo di spiegare come la classe contadina aveva conquistato il potere e come se lo teneva ben stretto. Non era certo un elogio della borghesia, agraria e non, che si adattava invece di reagire. Per farmi perdonare, ti propino uno stralcio di un libro sulla cucina contadina che sto scrivendo con Enzo Prudenzi.

"La fine della mezzadria ha rimescolato le carte e quel mondo è stato sepolto. Ma esso è ancora vivo nella memoria di molti, e ancora è vitale in molti sentimenti e in molte consuetudini. Descrivere quel mondo è emozionante perché ancora è possibile dialogare coi superstiti, avvertire le loro nostalgie e i loro rancori, cogliere una sapienza che rifulge sulla insipienza odierna degli spettacoli televisivi, delle discoteche, della labilità familiare, dei bambini non accettati e dei vecchi emarginati. Non era un mondo tutto rose e fiori, ma i bambini erano accettati, i vecchi erano rispettati, ascoltati, ubbiditi e assistiti. Si ubbidiva a un capo scelto dalla natura e non dal prevalere di una fazione o da un compromesso. Ciascuno aveva un compito, a seconda dell'età, del sesso, delle forze, dello stato di salute e delle inclinazioni. Vigeva una specie di economia curtense con le più varie specializzazioni: l'ortolano, il pecoraio, il porcaio, il bifolco, il calzolaio, il castrino, la cuoca, la sarta eccetera. Ma la distinzione dei ruoli non era rigida e non prescindeva dalla collaborazione dei familiari. Le donne erano valorizzate nelle loro peculiarità fisiche e psichiche; la collaborazione quotidiana e costante di tutti i membri della famiglia colonica metteva in luce la preziosità delle donne sia nelle attività che nelle decisioni.

"I valori della cultura contadina sembrano sommersi dall'avanzare dell'omologazione sociale e culturale, ma qualcosa di essi sopravvive e ispira i caratteri dei popoli dell'Orvietano, e non solo dell'Orvietano: equilibrio, ironia, flemma, moderazione, rispetto per le donne e per gli anziani, attaccamento alle feste tradizionali, ai raduni familiari e (ultima, ma non meno importante) la passione per la cucina semplice, saporita e sostanziosa."

Ciò detto, ti assicuro che la "martellante campagna sul disastro finanziario" e l'incitamento "al linciaggio di chi ha perso" non è altro che la punta dell'iceberg della rabbia del centrodestra. Rabbia perché le finanze comunali sono state gestite con assoluto disprezzo delle regole e degli interessi dei cittadini, con protervia, con leggerezza e anche con stupidità. Bastava molto meno per mantenere le clientele e conservare il potere. Rabbia perché molti responsabili del disastro siedono ancora nel consiglio comunale, fanno parte della maggioranza di centrosinistra, fanno pure gli schizzinosi quando la giunta fa proposte inevitabili data l'urgenza di tappare il buco di bilancio, fanno capire che vogliono avere le mani in pasta se no fanno saltare tutto. Stanno aspettando i tagli inevitabili delle spese per saltare addosso a Concina ed ergersi a paladini delle cooperative sociali, degli addetti al teatro e ad altre macchine mangiasoldi. Mentre si leccano le ferite stanno in agguato.

Così appare al centrodestra questo centrosinistra che siede maggioritario in consiglio comunale. Perciò ti chiedo un po' di comprensione per chi "sta con Toni".

La rabbia del centrodestra è giustificata?

Lo vedremo quando Concina presenterà le sue proposte di riequilibrio strutturale delle finanze comunali, che riguarderanno sia le entrate che le spese, ma senza falsificare il bilancio.

Quanto a me, sto cercando di capire chi, nel consiglio comunale, possa essere un interlocutore con gli attributi adatti per dimostrare alla mia parte che la sua rabbia è ingiustificata, o almeno eccessiva. Ti confesso che mi manchi.

Tuo Pier

 

Caro Pier,

            non c'era bisogno che tu precisassi il tuo pensiero sulla questione del villano: so bene da sempre quanto alta sia la tua considerazione per le persone e le cose autenticamente semplici e all'opposto la tua disistima per chi della semplicità si approfitta per interesse proprio magari mascherato da orpelli ideologici; inoltre le mie sottolineature erano solo funzionali ad introdurre il tema che mi sta più a cuore, quello delle classi dirigenti, della loro formazione e della loro selezione, tema non risolto - basta porre mente alla legge elettorale e a come i partiti scelgono i loro rappresentanti - né a livello nazionale né a livello locale.

Sono contento però che tu lo abbia fatto. In realtà con me sfondi una porta aperta quando tessi le lodi di ciò che di buono c'era, e non era poco, nella cultura contadina, o di ciò che ancor oggi ci parla di essa alimentando così la speranza che non cadremo tutti vittime dei miti di un mondo finto e per ciò stesso disumanamente indifferente e disumanamente violento. Peraltro io vengo da quella cultura, la conosco bene e non intendo rinnegarla. Ne conosco però per questo anche i limiti e i vizi. Appunto, non erano rose e fiori, c'era tutta la variegata gamma dei comportamenti umani, compresi quelli dettati da invidia, grettezza e ignoranza, eccesso di individualismo, di furbizia e di ambizione. Limiti e vizi che non potevano non essere presenti anche nelle classi dirigenti che avevano quell'origine e quella formazione e che però non hanno impedito di fare anche cose buone e importanti. Va aggiunto per converso che la borghesia urbana e gli agrari inurbati non avevano certo una mentalità molto più aperta e idee più lungimiranti. Dunque si poteva rischiare, nella fase di movimento che traeva origine dalle trasformazioni degli anni '60 e '70, un aggravamento dell'emarginazione storica che aveva relegato Orvieto al ruolo di un territorio servile. Invece ad un certo punto la lunga semina operata da persone di diverso orientamento, in concomitanza con modificazioni dell'assetto sociale ed economico, produsse un cambiamento forte, una svolta: fiducia nel futuro, voglia di progettare in autonomia, capacità di sfidare e di guardare avanti. Il punto è: perché si volle interrompere quel percorso di modernizzazione? Molti dei guai di oggi derivano da lì. Allora, se si vuole ricostruire qualcosa di serio, anche e soprattutto a sinistra, bisognerà partire da una risposta credibile a questa domanda. Se infatti c'è qualcosa che non va, a me spetta di dirlo per le classi dirigenti del centrosinistra, è prima di tutto una grave inadeguatezza culturale, il prevalere di schemi mentali ripetitivi che non rendono autonoma la capacità di analisi e fanno approdare molti, troppi, ai lidi più sicuri dei piccoli interessi. Troppo individualismo, troppa miopia, troppi equilibrismi, troppo "prendiamo subito quel che passa il convento".

Ma torniamo a noi, caro Pier. Anche il dibattito sul "disastro finanziario" a mio avviso risente pesantemente di questa situazione. Ma ti sembra logico che solo dopo la vittoria del centrodestra si sia potuto conoscere il reale ammontare del deficit di bilancio? Mica penserai che prima non si è cercato in tutti i modi di ottenere un risultato di chiarezza! Il fatto è che chi ha osato dire chiaro e tondo, seppure senza smargiassate, che bisognava fare chiarezza sui conti e procedere ad un rapido risanamento e ad un riequilibrio agendo sia sulle uscite che sulle entrate, quando andava bene era un rompicoglioni e quando andava male era uno da scansare ed emarginare. Tu dici che la campagna sul "disastro finanziario" e l'incitamento al linciaggio di chi ha perso "non è altro che la punta dell'iceberg della rabbia del centrodestra" per il modo leggero e protervo e anche un po' stupido con cui è stato gestito il bilancio. A parte il fatto che la rabbia per questi comportamenti non è roba esclusiva del centrodestra e che c'è stato e c'è un bel magma che rende difficile fare distinzioni così nette, c'è da dire che per lungo tempo s'è giocato al ribasso praticamente su tutto. E' come se ci fosse stato un tacito assenso trasversale per scendere ai piani bassi, dove chi era più rozzo e sbrigativo e però anche più furbo poteva giocare meglio la sua partita. Erano di più costoro, e con un abile gioco delle parti hanno cercato in tutti i modi di fermare i tentativi di guardare avanti, di fare progetti realistici ma ambiziosi. Guarda come è stato trattato il tema dello smaltimento dei rifiuti! Guarda come è stata trattata la questione del riuso della Piave! Guarda come è stata gestita la partita dei parcheggi e della mobilità! E guarda anche come si è riusciti in pochi anni ad invertire la tendenza di Orvieto protagonista in Umbria! Guarda, guarda, guarda! Tutte questioni che attengono alle entrate strutturali e perciò allo sviluppo. Come si può allora discutere produttivamente di 'sbilancio e ribilancio' se non discutiamo contestualmente di classi dirigenti? Le responsabilità della situazione di generale difficoltà che stiamo vivendo non sono certo da distribuire in modo indifferenziato, ma c'è a mio parere un buon grado di trasversalità, anche perché lo schema destra-sinistra non spiega tutto, anzi, più spesso di quanto non si creda permette a più di uno di nascondersi e di operare a suo esclusivo vantaggio. Come vedi oggi sono io che, utilizzando la tua intuizione, cerco il filo rosso che potrebbe legare le diverse fasi della storia recente della nostra città al fine di trovare una strada capace di portarci fuori dal tunnel in cui improvvidamente ci siamo cacciati. Dunque occorre lavorare, io credo fermamente, da subito almeno su due fronti: quello delle soluzioni concrete ma lungimiranti dei problemi e quello delle classi dirigenti adeguate ad affrontarli.

Ora però la finisco qui, sennò rischio di essere più noioso del solito. Dunque concludo: la rabbia è giustificata, ma non è esclusivo appannaggio del centrodestra; molte responsabilità sono trasversali; ora dalla rabbia bisogna passare alla ricostruzione, altrimenti ci sarà un aggravamento di tutte le condizioni che attualmente limitano lo sviluppo, si avrà una nuova marginalità strutturale, si aggraverà il clima da lite nel pollaio, che stuzzica tanta gente, ma che impercettibilmente uccide ogni voglia di cose serie. Con la rabbia non si va da nessuna parte. Gli sfoghi fanno bene, ma poi deve subentrare il faticoso lavoro della mente. Manca anche a me quel nostro capirci al volo in una sede istituzionale. Ma, caro Pier, come vedi sono qua, perché insieme a Dante sei riuscito a farmi uscire dalla "dolcissima malinconia di prolungati silenzi" in cui mi ero adagiato. Non so se con questo avrai fatto cosa utile. Di sicuro però non faremo male a nessuno.

Tuo Franco


A destra e a manca. E' la nuova rubrica di Orvietosì  che è oggi alla seconda puntata. E' animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose", fatti orvietani o no visti da punti di vista diversi, certamente autorevoli.
I due sono amici fraterni da decenni e quindi le idee potranno risultare discordi ma il tono è quello amicale e piacevole che usano persone che vivono la "vita" con reciproco affetto.
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.
Qui le "puntate" precedenti


da Fausto Cerulli

Carissimi Pierluigi e Franco, mi sento un rompiballe, ad intervenire nel vostro piacevole dialogo. Ma credo che con tutte le migliori intenzioni voi stiate parlando tra voi, come facevamo io e Pierluigi sul Vicino; con la differenza che quello del Vicino era soltanto un gioco, mentre voi, scrivendo su un quotidiano autorevole e molto letto come Orvietosi, vi assumente una maggiore responsabilità. Siete una sorta di opinionmakers, o come cavolo si dice in americano, e dunque quello che voi dite contribuisce a formare il pensiero degli orvietani internauti in attesa di essere internati. E allora mi permetto di intervenire amichevolmente, essendo amico, giuro, di tutti e due.

Per prima cosa vorrei pregarvi di finirla con la storia della vendetta del villano, e con la rivendicazione dell'appartenenza ad una cultura contadina. In Italia, siamo tutti eredi della cultura contadina, e lo dico con vanto e sicurezza: essendo nato a Cantalice, dove neppure la mezzadria, ma addirittura la servitù della gleba. Ma una gleba raffinata, capace di capire e di farsi capire, il che vuol dire capace di insegnare. Dunque diamo per scontato che Pierluigi, quando parlava di vendetta del villano, non si sentiva Colbert, e diamo per scontato che la cultura contadina è in grado di dare risultati eccellenti: si veda Franco Barbabella. E di me taccio, umilmente.

Per seconda cosa, vorrei che non foste così accaniti nel cercare i colpevoli del disastro economico: io, ad esempio, ne attribuisco la colpa a Osama Bin Laden, ed alla sua lobby petroliera abbattitorrigemelle. Ma tralasciando le battute, e pur volendo inquadrare la crisi finanziaria del Comune di Orvieto nello schema forse falso di una economia globalizzata,  resta da dire, a mio sommesso parere di persona digiuna di economia, che cercare il colpevole non guarisce il male. Evidentemente Toni Concina si è trovato sulle spalle un buco del bilancio. Ma è stato lui il primo a non fare piagnistei sul passato: ha preso atto di una realtà, e sta cercando di porvi rimedio. Semmai,

amici miei, dovreste discutere su questo: se i rimedi siano giusti, o, essendo sbagliati, perché sono sbagliati. E credo che con il vostro acume di economisti potreste combattere ad armi pari e con pari chiarezza su questi temi. Voglio dire che Mocio fa parte del passato ( e se fa parte del presente della Provincia, sono disgrazie della Provincia). Attribuire al centrosinistra molti guai è certamente giusto, quanto meno è un dato oggettivo. Ma non cambia la crisi, e non la sana: Concina lo ha capito per primo, non lasciandosi trascinare in processi al passato, tanto ci pensano quelli del centrosinistra, a dimostrazione del fatto che finalmente hanno ritrovato l'unità nel sacro nome di Bersani, che sarebbe D'Alema quando viaggia in incognito. Questo, dal mio umile pulpito vorrei raccomandare alla vostra pazienza: parlate delle cose da fare (ne avete tutti e due la competenza) e delle cose da non fare. E un ultimo consiglio, più sottile: non parlate soltanto di politica e di economia, giocate anche con la fantasia: altrimenti rischiate di pendervi troppo sul serio, come capitava a Cerulli quando parlava di politica. Per fortuna sua e per sfortuna dei lettori, ora Cerulli  scrive le poesie. Fa sempre cose che non danno pane, sto Cerulli. Passo e chiudo, ma vi sorveglio, frusta alla mano.


di Massimo Gnagnarini

Carissimi Pier Luigi e Franco Raimondo, da quando , e  ormai sono dieci anni, vivo e lavoro con  soddisfazione a Terni continuando a curare  amorevolmente le mie radici orvietane, ho sviluppato un punto di vista che definirei  "entropicentrico" verso gli avvenimenti della Rupe.

In effetti Essa mi appare un luogo troppo esclusivo per misurare con i  parametri consueti gli indici della qualità della vita che vi si svolge e,  nel contempo,  un luogo dove i fruitori dei servizi, la gente, sembra appartenere più  al paesaggio piuttosto che alla storia che vi scorre dentro.

Se per classe dirigente intendiamo una rete di persone coordinata e legittimata in grado di comprendere le risorse ( economiche e culturali) disponibili e di interagire con perizia  per il loro sviluppo a favore del bene comune,  converrete con me che, al momento, Orvieto, ne è priva. Limitatamente alla politica, ma l'analisi potrebbe allargarsi ad altri ambiti, non esiste una classe dirigente né di sinistra né di destra, in altre parole non esiste il governo della città. Così è evidentemente se si conviene che governare comporti l'indicazione se non del traguardo almeno della prospettiva.

Certo, oggi, c'è Concina sindaco che è meglio di Mocio ma non parlo di questo !

Il paradosso è che la città pullula di intelligenze, talenti e professionalità che stanno alla città come chicchi di mais dentro una macchina per  popcorn. ( scoppiati - caotici - indistinti ).

Il compianto concittadino Sergio Ercini amava definire questo caos civico "la rivolta dei ciompi", triste riferimento che mi sembra, nella sostanza, presente anche nei vostri interventi.

Fermare questa deriva, non significa oggi limitarsi a fare due conti sul deficit del bilancio comunale per poi cavarsela indicando improbabili soluzioni che non rispondono né a criteri di scienza economica né a quelli di mestierante della politica. 

Occorre ben altro, qualcosa che parli al cuore e alla pancia degli orvietani, alla loro memoria storica e all'orgoglio, qualcosa che agisca come un campo di forza per la politica e che si insinui nelle coscienze e nell'istinto degli orvietani:

Una volta era l'ideologia, l'appartenenza . Oggi può e deve essere la capacità e il coraggio della visione. Ecco, Orvieto ha bisogno proprio di un gruppo di visionari che cimentino una nuova classe dirigente intorno a un progetto e a un'idea futura della città.

La domanda è : Può questa novità accadere nei prossimi mesi attraverso una genesi che, presumibilmente, non può che originarsi dal di fuori del quadro istituzionale e politico cittadino così come le recenti elezioni amministrative ce l'hanno consegnato?

Io spero di sì.

Se così non fosse consoliamoci restando seduti nei nostri salotti o davanti al computer sgranocchiando un velenoso bicchiere di quelle quantità industriali di popcorn nostrano.

Un abbraccio.


Da Franco Raimondo Barbabella a Massimo Gnagnarini

Caro Massimo, ti ho letto con piacere. Mi pare che in linea di massima ci possiamo trovare d'accordo sia sulla diagnosi che sulla prognosi. Ti voglio far notare che nel passato di Orvieto a scaldare gli animi non c'era solo l'ideologia, ma appunto anche quella visione che tu oggi giustamente invochi e che per insulsaggine multipla è stata progressivamente e inesorabilmente accantonata. Io sono com'è evidente per riscoprirla, naturalmente attualizzandola. Allora avanti, coraggio! E fuori dalle gabbie!


Pubblicato il: 02/11/2009

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