Itelco, quando il digitale che non parte mette in crisi un'azienda
Natale di affanni per l'Itelco. 150 dipendenti in attesa di un futuro che potrebbe giungere da una cordata di imprenditori fiorentini. Quali i motivi della crisi per un'azienda che era fra le prime del mondo del broadcasting
Cronaca
di Giorgio Santelli
La vicenda Itelco parte da lontano. Già nei primi anni '90 la prima crisi. Da addurre a decisioni dei vertici che portarono ad una prima razionalizzazione del personale ed alla prima fuga di cervelli interni verso una delle società di broadcasting che si stava imponendo in tutto il mercato internazionale.
Lo scontro con i sindacati non fu dei più semplici.
Ai tempi d'oro il gruppo Itelco era arrivato a circa 300 dipendenti. Per lo più tecnici specializzati e ingegneri. Oggi, dentro l'Itelco, sono rimasti solo in 150.
Anche Anselmo Montagnolo, storico rappresentante sindacale della Cgil dal primo di dicembre ha cambiato lavoro. Da un anno circa, all'Itelco, la precarietà è di scena. Esistono le commesse ma esistono anche i debiti così, l'azienda, non riesce a dare quelle certezze necessarie. Padri e madri di famiglia, così, cercano un altro lavoro.
IL QUADRO DELLA CRISI
Ma la crisi dell'Itelco ha tante sfaccettature. Sono stati in molti ad accusare il management, tanti altri hanno dato giudizi negativi alla proprietà a cui hanno imputato errori strategici. Ma alcune responsabilità, di sicuro, sono esterne.
Un'azienda che, come l'Itelco, lavora nel broadcasting in Italia, si è trovata in quello che può essere il limbo delle scelte tecnologiche del governo. Il passaggio dall'analogico al digitale ha imposto alle aziende del settore grandi investimenti nella ricerca. Il passaggio al digitale sembrava cosa già fatta, quindi gli investimenti erano stati fatti bene. Ma poi C'era ancora l'Ulivo e l'Itelco, da poco trasferitasi nella sua nuova sede, così tanto declamata dalla politica locale di ogni colore, partecipava ad un incontro sulle nuove tecnologie e internet, organizzato poco prima del Natale 1999. In quella conferenza c'era anche il sottosegretario alle Tlc Vincenzo Vita. L'avvio del digitale sembrava, come dicevamo, cosa quasi fatta. Ma a questo punto sono passati tre anni e la data di partenza del digitale terrestre è stata fissata per il 2006, ma con un grandissimo punto interrogativo.
Per un'azienda che si era portata ai vertici della ricerca scientifica in questo settore, investendo importanti risorse, questa data non suona positiva. Questo ritardo è, senza dubbio, una delle principali ragioni delle difficoltà dell'Itelco. Anche perché quest'altalena di date ha portato alla costrizione del mercato. I grandi clienti istituzionali come la Rai ed i privati in questo quadro di incertezza non sapevano più se investire nella tecnologia analogica (che in poco tempo poteva essere superata) o in quella digitale (senza sapere quando sarebbe decollato il digitale terrestre).
Difficoltà di mercato, dunque, unite ad una serie di responsabilità del management e della proprietà che, in alcuni momenti, è sembrata troppo a "conduzione" familiare e poco sensibile ad allargamenti societari, hanno prodotto la crisi di oggi.
IL TERRITORIO
Nulla si poteva chiedere in più a questo territorio. Sull'Itelco - come successivamente su Kelyan del gruppo Bernabè - era stato impostato dall'amministrazione pubblica di Orvieto il futuro industriale di questa città.
Una industria pulita, innovativa che da Stefano Cimicchi, proprio nell'inaugurazione del nuovo stabilimento dell'Itelco, era stata definita la piccola Silicon Valley del centro Italia. E gli enti, Sviluppumbria, Gepafin, Regione e Comune, si sono fatti in quattro per agevolare lo sviluppo dell'azienda, accolta sempre come panacea dei mali storici riferiti alle liste di disoccupazione dell'area orvietana. Per un po' ha funzionato ma, non sempre, l'unica grande azienda del territorio è garanzia di sviluppo. Se è così a Torino, a Termini Imerese o ad Arese per la Fiat, figuriamoci ad Orvieto per l'Itelco.
LA POSSIBILITÀ DI RILANCIO
Non è certamente semplice. Gepafin, Sviluppumbria e assessorato allo sviluppo economico dell'Umbria, organizzazioni sindacali e Comune di Orvieto è da circa un anno che sono alla ricerca di partner tecnologici o cordate di soci per ridare forza all'Itelco. Di nomi ne sono stati fatti molti. Ora arriva una cordata di imprenditori fiorentini, in precedenza era il gruppo Bernabè. Al di là della necessaria esigenza non solo di cifre legate agli investimenti ma di un piano industriale che riesca a portare l'Itelco fuori da questa crisi che dura da troppo tempo. E questo tenendo presente che la situazione attuale, sebbene avvalorata da una serie di commesse importante, non è rosea per le risorse umane a disposizione. L'azienda ha subìto, nel suo piccolo, una fuga di cervelli. I dipendenti sono ridotti all'osso. A noi ci piace collegare all'Itelco il mito dell'Araba Fenice. Non siamo alle ceneri, è vero, ma speriamo che l'azienda torni ad essere quella dei 300 addetti e dia piena serenità alle famiglie dei suoi dipendenti
Il parere di Crescioni della Fiom Cgil che segue la vicenda Itelco
Pubblicato il: 24/12/2002