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Echi e tracce di antichi simposi

Sabato 9 ottobre 2004, alle 17, Museo Archeologico"Claudio Faina". Gli Etruschi a tavola presentati dall' truscologo, il professor Della Fina, e dallo storico della cutura gastronomica dottor Luchetti

foto di copertina

Quanto di etrusco resta sulle nostre tavole? A questa domanda tenteranno di rispondere - sabato 9 ottobre alle 17 presso il Museo"Claudio Faina" di Orvieto -  l'etruscologo professor Giuseppe Della Fina  e lo storico della cultura gastronomica dottor Tommaso Lucchetti.
Per i popoli dell'Etruria la tavola, a cui partecipavano anche le nobildonne (e non soltanto le cortigiane come invece accadeva in Grecia e a Roma), era un luogo speciale e usato di frequente, tanto da venir imbandita, cosa che sorprese non poco i romani, ben due volte al giorno. E siccome l'Etruria era terra rinomata per la generosità della terra e bontà del cibo,  i nostri antenati ci presero gusto e finirono con il rammollirsi. Dice Diodoro Siculo:"Indulgendo in banchetti e in piaceri effeminati - gli Etruschi - hanno perduto quella reputazione che gli antenati si erano conquistata con sacrificio".
Gli affreschi della tomba Golini I (conservati al Museo Archeologico Nazionale) rappresentano una delle testimonianze più interessanti dei convivi etruschi in terra orvietana. Vi sono raffigurati, appesi a due travi e già macellati, un bue, un cerbiatto, una lepre. Sulle tavole rettangolari"a tre piedi" sono riconoscibili mucchietti di focacce, uova, grappoli d'uva nera e melagrane. Appare anche un suonatore di flauto doppio (infatti gli etruschi erano soliti cucinare a ritmo di musica).
 Ma qual è il lascito di questo misterioso (e gaudente) popolo alla modernità gastronomica orvietana? Alcuni hanno tentato un elenco: l'usanza di condire con olio extravergine verdure in precedenza lessate, l'arrosto (sul fuoco, alla graticola o allo spiedo) delle carni ovine e bovine, la passione per le frattaglie (pensiamo al sugo di rigaglie di pollo) e sanguinacci.  Qualcuno, congetturando sugli arnesi da cucina rivenuti a Volterra, parla addirittura di tagliatelle.
Ultimo, ma non da ultimo, il nettare di Bacco  (il dio della vite chiamato da queste parti Fufluns). L'Orvieto etrusca fu chiamata da un antico scrittore greco - creduto, sino a poco tempo fa, Aristotele -"Oinarea", la città dove scorre il vino. Una fama che, quanto pare, non ha smesso mai di alimentare una tradizione enologica di assoluto valore.
La breve conferenza servirà  ad individuare meglio quanto di archeologico è rimasto nella cucina tradizionale. A fornire ulteriori informazioni e suggestioni, la visione delle splendide suppellettili conservate nel Museo.


 

Pubblicato il: 07/10/2004

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