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Fabio Cerretani romanziere

Tuttolibri della STAMPA presenta i romanzi di Fabio Cerretani. LA RAGAZZA DEL DELTA e FINIS TARRAE sono una piacevole scoperta per la critica che riproponiamo con orgoglio di concittadini

Cultura

Non ho ancora letto i romanzi di Fabio Cerretani, amico di una  giovinezza lontana, che già allora scriveva con una finezza che sembrava"regalata", ma che poggiava su cultura, acutezza e intelligenza straordinarie.

Scriveva articoli di costume e di critica letteraria sul"Comune nuovo", il nostro giornale.

Il poeta del cardo", la sua stroncatura di una raccolta di poesie del chirurgo locale, mi è rimasto nel gusto, è un sapore, sa di sangue, il bisturi è deciso, non c'è spazio per l'ipocrisia.

Riprendo questo articolo pubblicato dalla Stampa il 17 aprile, in Tuttolibri, e lo ripropongo con il piacere di dire che Fabio Cerretani è un mio amico.

Dante Freddi

 

Al capezzale del dandy"
Fabio Cerretani: due romanzi rivelano uno scrittore compatto, severo con se stesso, linguisticamente asciutto e misurato, strutturalmente classico, con spruzzate di Bassani, Arpino, Gogol

di Sergio Pent

L'UBIQUITÀ, in questi tempi editorialmente prolifici, non è accessorio per nessun lettore di professione. Tanti libri passano, qualcuno resta - non necessariamente i migliori - alcuni sfuggono perché il tempo apre nuove stagioni. I due romanzi finora pubblicati in sordina da Fabio Cerretani sono usciti nel 2002 e nel 2003: non li avevamo neppure sfiorati col pensiero. E se da un lato può risultare facile giustificarsi con le classiche lacrime di coccodrillo, d'altro canto è indubbio che - se anche non dovesse trattarsi di un caso - i romanzi di Cerretani meritano entrambi, nella loro diversità ispiratoria, le attenzioni di tutta la critica che di mestiere commenta, esalta, stronca e suggerisce. E, almeno nel caso dell'esordio - Le ragazze del Delta - la compiacenza di una manciata di quei lettori che si sono umanamente afflitti sull'exploit inarrestabile della Mazzantini. Cerretani è uno scrittore compatto, severo con se stesso, linguisticamente asciutto e misurato, strutturalmente classico, tanto che i supporti letterari citabili vanno da Bassani a Pirandello, con qualche spruzzata di Arpino, Cassola e - oltrefrontiera - dei russi in stile Gogol. Non si può non apprezzare - non commuoversi,in tutta semplicità - nel percorrere le pagine limpide e un po' demodé del primo romanzo, segnalato - e ci pare davvero poco - dal "Calvino" 2001. La storia dell'ex calciatore in disarmo è di quelle che riconciliano col piacere di scorrere le pagine della vita come in un percorso di rimpianto per le occasioni mancate. Quasi famoso, solitario, ormai cinquantenne, il protagonista riceve l'invito di presentarsi al capezzale dell'ultraottantenne morente Duccio Rébora, allenatore - trent'anni prima - della squadra di Ferrara in cui la ventenne promessa del calcio si fece le ossa. Duccio fu il padre sostitutivo di un altro padre - severo intellettuale di provincia - che l'io narrante non volle mai riconoscere come esempio. Fu, anche, il rustico battesimo alla vita, in una geografia pacata e nebbiosa in cui i benestanti buontemponi della città organizzavano scherzi, baccanali e orge mangerecce nei casolari del delta con tutte le giovani contadinotte disponibili. L'implume calciatore entrò allora nell'età adulta, con l'amore casuale per la gentile, ruspante Antea, e con la fuga verso il successo lasciandosi alle spalle la ragazza incinta e la promessa di Duccio di risolvere la situazione. In un incontro sommesso e maschio, tra i flash-back di un passato limpido di velleità non realizzate, affiora la consapevolezza di una sconfitta esistenziale, ma anche la presa di coscienza di una maturità mai affrontata, che si esprime nella figura della giovane Enrica, angelo severo al capezzale del vecchio dandy morente e ultima sorpresa - struggente e sfuggente - per il disilluso protagonista. Di tutt'altra grana è il racconto sulfureo Finis terrae, dove l'anima russa dell'apologo surreale diventa il percorso di conoscenza - o di definitiva sconfitta, questo rimane volutamente ambiguo - per un protagonista, avvocato affermato e pieno di sé, che vede la sua vita devastata dalla presenza sorniona e oscena di un mimo di strada. Costui diventa l'anima nera delle giornate del professionista: lo deride pubblicamente, lo pedina, lo perseguita ovunque fino al punto dell'estremo delirio. Dopo aver attraversato tutte le fasi del declino pubblico, preso per folle dalle numerose altolocate conoscenze, l'avvocato rimane solo col suo fantasma dalla faccia dipinta, fugge lontano, cerca la solitudine dell'estremo lembo di Nord, nel gelo della tundra, risolvendo - chissà - la sua ossessione col delitto, senza salvarsi - ancora chissà - da se stesso, e da una rovina creata per sua stessa mano. Limpido e sarcastico, il racconto è la controparte letteraria del più popolare romanzo d'esordio. Rimane comunque l'impressione di aver percorso due strade narrative tra le più lineari e attente della recente produzione italiana, in quel terreno di simbiosi istintiva che ci fa chiudere un libro - in questo caso due - senza l'impulso subitaneo - talora solo fisicamente necessario - di passare oltre, di accantonare nella biblioteca casuale della memoria. In questa circostanza - e per motivi diversi - il ricordo resta, restano le emozioni. Cerretani, più che una promessa di cui nessuno si è accorto, è una bella certezza che invitiamo a scoprire senza ulteriori ritardi.

Pubblicato il: 20/04/2004

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