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Battere la rassegnazione: stay hungry, stay foolish

Ping pong #31 Tema di questa settimana la maldicenza: "Si può ben dire dunque che la continuità ininterrotta della maldicenza è parte di un processo di degrado che ha portato all'attuale stato di rassegnazione. Si è rinunciato a sfidare il presente e a progettare il futuro e si è visto dove si è arrivati"

foto di copertina

"Minacce all'assessore Marino, che sdrammatizza. Gli sono state indirizzate in Comune come assessore al Commercio suggerendogli di guardarsi le spalle". "Contro di me c'è un certo clima, perché ci ho messo la faccia" (Da ORVIETOSI TV dell'11.04.2012)

San Bernardino da Siena diceva che il maldicente ha tre vizi: la curiosità, la stupidità e la rabbia. Ficca il naso nei fatti altrui non per aiutare e consigliare, ma per trovare le pecche. Non si rende conto che parlando male degli altri attira l'attenzione sulle proprie magagne e si rivela per quello che è: un ipocrita. Si comporta come un cane rabbioso, che morde tutti coloro che gli capitano a tiro senza poter placare la fame e la sete.

Tutto ciò fa parte della vita privata e di quella pubblica. Continuamente i rapporti tra coniugi, tra fidanzati, tra amici, tra soci, sono minacciati e sovente rovinati dalla maldicenza. E continuamente la maldicenza investe coloro che esercitano una funzione pubblica.

Tra i maldicenti, i più abietti sono gli anonimisti. Molto spesso, nei miei quarantuno anni di vita lavorativa come segretario comunale, ho dovuto cestinare lettere anonime e  troncare telefonate anonime. Ho anche avuto problemi coi carabinieri e con la magistratura, perché mi rifiutavo di collaborare a indagini avviate sulla base di lettere anonime. Ovviamente non si trattava di lettere che aiutavano a prevenire o punire delitti di sangue, violenze e stupri. Non ero un santo, non ero un eroe e nemmeno ero solo. Come non mi sono trovato solo quando ho rifiutato di accettare l'anonimato in internet. Mi rendevo conto che il web non fa altro che dilatare un fenomeno vecchio quanto il mondo, ma, come evito i pettegolezzi dei bar, avrei evitato quelli del web. Grazie a Dio ho trovato nel Direttore di questo giornale uno che la pensa come me.

Ciò detto, affinché chi non mi conosce sappia come la penso, leggo nella provocazione del Direttore un invito a valutare se il calore della polemica politica sia diventato particolarmente rovente nella Orvieto di oggi e se le recenti minacce anonime all'assessore Marco Marino ne siano una conseguenza.

Confesso che non ho l'impressione che la polemica politica orvietana sia oggi particolarmente accesa. In mancanza di strumenti scientifici di misurazione, sono costretto a far affidamento sulle mie sensazioni.

È vero che gli orvietani favorevoli all'amministrazione in carica (chiamiamoli genericamente di centrodestra) non possono essere entusiasti di una giunta comunale in affanno a causa delle note difficoltà finanziarie e delle conseguenti tensioni interne, tipiche delle famiglie impoverite. Senz'altro sono delusi e temono che l'amministrazione getti la spugna e ritorni quella che essi chiamano "l'armata rossa", ma non mi sembrano particolarmente arrabbiati.

È vero che gli orvietani ostili all'amministrazione (chiamiamoli genericamente di centrosinistra) non godono, sia per le conseguenze dei fatti del 2009, sia per i debiti venuti fuori a iosa, sia perché non riescono ancora a riordinare le fila sotto la guida di un capo e alla luce di qualche idea che sia un'idea. Ma mi sembrano poco ansiosi di riacciuffare il potere prima della scadenza del 2014, anche se umanamente sperano in una débacle dell'amministrazione Concina prima del tempo, che farebbe alla sinistra l'effetto dell'olio sul lume.

Ma veniamo a Marco Marino. Confesso che mi onoro di essergli diventato buon amico dopo un periodo di piccole baruffe, anzi di duelli poetici sul web. Fui piacevolmente sorpreso dalla sua verve poetica e, se cominciammo col graffiarci come due gatti dispettosi, finimmo con l'essere tanto teneri l'uno con l'altro, che dovemmo smetterla. Peraltro Marco è un mio vicino di casa, sono abbonato al suo magnifico "Museo delle maioliche medievali e rinascimentali orvietane", frutto di temeraria passione, e mi capita sempre più spesso di conversare piacevolmente con lui. Ne apprezzo l'intelligenza viva, il coraggio di dire le sue opinioni e la signorile gentilezza.

Come esperto di maioliche ha senz'altro pestato i piedi a qualcuno, altrimenti non si spiegherebbe la polemica accanita sul vaso da lui venduto alla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto. Non ho mai perso una occasione per polemizzare su come la Fondazione CRO spende i soldi, ma una cosa sono le valutazioni personali di opportunità, altra cosa sono le accuse d'imbroglio. Come assessore comunale ha pestato altri piedi. Non mi stupisce che qualche vigliacchetto abbia preso carta e penna per sfogarsi con una lettera di minacce.

Non credo che stiamo degradando verso il Far West, ma propendo a pensare che Marino sconti il fatto di non fare niente per essere simpatico a tutti.

Piuttosto mi meraviglio che l'assordante silenzio dell'amministrazione comunale sul destino del casermone, che sta metaforicamente e materialmente marcendo, fa arrabbiare più me che la sinistra. E mi meraviglio che le operaie del settore tessile, che stanno perdendo il posto, si siano limitate  a qualche mugugno durante l'inutile seduta consiliare dedicata ai loro problemi. Erano venute con la giusta indignazione di chi, in questa cavolo di repubblica fondata sul lavoro, ha fatto la sua parte, lavorando una vita, mentre gli altri fattori della produzione, capitale e imprenditorialità, hanno disertato. Ma nella sala consiliare sono state accolte con secchiate di prolisse banalità. Alla faccia del clima politico agitato, questo è clima politico piatto per mancanza di speranza.

Pier Luigi Leoni

Anche a me sembra che le minacce all'assessore Marco Marino non siano da considerare la conseguenza di un arroventato clima politico, espressione delle tensioni di un duro scontro, per la semplice ragione che è difficile descrivere in questi termini la situazione attuale di Orvieto. Piuttosto ha ragione Pier Luigi ad affermare che in realtà viviamo un "clima politico piatto per mancanza di speranza". Non c'è che dire, possiamo parlare proprio di capolavoro: anonimi attacchi personali (vigliaccate, intimidazioni?) in un clima di rassegnazione. Come dirò tra poco, forse si sta raggiungendo il culmine di un processo in cui non pochi si sono a lungo impegnati.

Marco Marino, al quale rivolgo anch'io un affettuoso saluto e una testimonianza di solidarietà, seppure da lui non invocata rendendosi perfettamente conto della natura delle minacce, sta facendo delle cose, francamente nient'affatto sconvolgenti né in un senso né in un altro, cioè tenta di cambiare qualcosa, razionalizza un po', non fa certo una rivoluzione, ma basta questo per annebbiare qualche mente forse già poco lucida del suo.

Si tratta naturalmente di situazioni e comportamenti di cui Orvieto non può rivendicare l'esclusiva, ma non v'è dubbio che qui c'è una consolidata e illustre tradizione che ad ogni fase si rinverdisce. Anche su questo in generale ha detto bene Pier Luigi e non ha senso aggiungere altro. Certo, mi verrebbe da citare il lungo elenco delle malefatte dei maldicenti di professione, ma appunto non aggiungerei nulla a quanto già si sa. Semmai sarebbe interessante chiedersi non solo perché costoro siano stati lasciati operare indisturbati, ma anche quanto la lotta politica ne abbia risentito, e quanta responsabilità vi sia per la creazione del pessimo clima che sta a fondamento della stagnazione che viviamo. Ognuno rifletta, se può e se vuole.

Come dicevo prima, i comportamenti di cui stiamo discutendo non fanno parte di un duro scontro politico su prospettive contrapposte, ché anzi, forse stiamo arrivando al culmine di un processo il cui esito è la rassegnazione proprio perché vera lotta non c'è. E sto parlando di lotta su progetti che indicano possibilità, che suscitano interesse, che muovono coscienze. E ovviamente lotta che impegna gente seria e preparata che ha lucidamente presente ciò che non si deve fare, ciò che è opportuno fare e ciò che è indispensabile fare.

Non credo ci possano essere dubbi sul fatto che a questo si è arrivati perché c'è un conservatorismo che ha permeato e permea la società e le sue classi dirigenti ad ogni livello, per cui da una parte nulla va bene, ma dall'altra, se per caso tenti di cambiare qualcosa, si scatena il finimondo. E non credo nemmeno che ci possano essere dubbi sul fatto che il conservatorismo fa il paio con la debolezza delle classi dirigenti, in gran parte improvvisate e inadeguate in quanto non possiedono gli strumenti di analisi e il coraggio per fare le scelte indispensabili, che spesso, e soprattutto nei periodi di crisi, sono lungimiranti quando sono impopolari.

I cambiamenti necessari erano stati già individuati tra gli anni ottanta e novanta del secolo scorso. Non solo, ma quei cambiamenti erano stati tradotti in linee di azione politica con forte taglio progettuale. Ad essi allora ci si oppose con tale violenza che al paragone le lettere minatorie di oggi a Marco Marino appaiono gentili carezze. E così si passò ad altro. Progressivamente si affermò l'idea che era meglio non disturbare gli assetti consolidati, meglio volare basso, meglio amministrare e basta. Guai a sfidare gli equilibri, guai a pensare oltre il momento, soprattutto guai a manifestare una cultura progettuale, pena la condanna per eresia e l'ostracismo di fatto. Così, quando in tempi recenti una cultura progettuale è di nuovo emersa, ecco che si è manifestata anche la maldicenza con i suoi consueti caratteri. La verità è che la maldicenza come metodo di lotta politica non è stata mai combattuta sul serio, magari perché si è pensato che è utile per colpire gli avversari. In realtà, oltre al fatto che è immorale e contribuisce al degrado della comunità, prima o poi colpisce anche chi momentaneamente ne ha tratto beneficio.

Si può ben dire dunque che la continuità ininterrotta della maldicenza è parte di un processo di degrado che ha portato all'attuale stato di rassegnazione. Si è rinunciato a sfidare il presente e a progettare il futuro e si è visto dove si è arrivati.

Se ne può uscire? Forse. Mi viene in mente solo Steve Jobs: "Stay hungry. Stay foolish".

Franco Raimondo Barbabella


Ping Pong è la rubrica di Orvietosì curata da Franco Raimondo Barbabella e Pier Luigi Leoni. Un appuntamento del lunedì in cui i due nostri "amici" raccontano la loro su una frase apparsa sul nostro giornale durante la settimana, una palla che io lancio ad uno dei due e che loro si rimpallano. Ci auguriamo che questo gioco vi piaccia e si ripeta il successo di "A Destra e a Manca". Naturalmente tutti i lettori sono invitati la tavolo di Ping Pong. Basta inviare una e-mail a dantefreddi@orvietosi.it 

Questa è la puntata 31

 

Pubblicato il: 16/04/2012

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