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Ispirarsi al 29 marzo per migliorare la città insieme al Paese

Ping pong 29 "Che cosa c'è di più lontano da chi sognava e voleva una società libera e giusta, e per questo era disposto a sacrificare la vita? Speranze tradite. Un tradimento diffuso. Non possiamo dire che non ci riguarda. Per questo non ci possono essere ricorrenze stanche, manifesti ripetitivi, o dimenticanze. Non possiamo e non dobbiamo dimenticare nulla che ci riguardi in quanto comunità, soprattutto i valori fondanti. Altrimenti non saremo più nulla perché non sapremo nemmeno chi siamo"

foto di copertina

Giovedì 29 marzo la Città di Orvieto ha celebrato il 68° anniversario dell'eccidio nazi-fascista di sette orvietani, avvenuto il 29 marzo del 1944 in località Camorena nei pressi di Orvieto. 
Nel manifesto ufficiale delle celebrazioni, promosse dall'Amministrazione Comunale si legge: "Il 29 marzo di 68 anni fa sette nostri concittadini: Alberto Poggiani, Amore Rufini, Ulderico Stornelli, Federico Cialfi, Raimondo Gugliotta, Raimondo Lanari e Duilio Rossi vennero assassinati a Camorena per mano di nazi-fascisti. La loro unica colpa era quella di lottare contro le forze oscure della violenza e della barbarie per l'edificazione della democrazia, della pace e della libertà.  A 68 anni dalla loro scomparsa essi vivono nel ricordo della collettività e nelle azioni di quanti si battono in nome degli ideali nati dalla Resistenza, a difesa delle Istituzioni democratiche e della civile convivenza".

Quando ho letto la frasetta tratta dal manifesto ufficiale delle celebrazioni dell'eccidio di Camorena che il Direttore mi ha spedito per dare il via al Ping Pong di questa settimana, ho avuto un sussulto: "Questa l'ho già letta" - mi sono detto -  "sì, letta tante volte e da un bel pezzo!". Ovviamente non è un mistero, ma più banalmente il fatto che lo stesso manifesto viene riprodotto non so da quanto tempo aggiornando solo data e numero degli anni trascorsi da quel tragico evento. Magari mi sbaglio, ma tutte le volte che leggo cose ripetute così ho l'impressione che si tratti di qualcosa che si fa tanto per farla. E però in questo caso non si tratta di una cosa qualsiasi, ma di uno di quegli avvenimenti che segnano una comunità e un'epoca, direi ciò che non può essere dimenticato, pena la perdita delle nostre coordinate di senso.

Non voglio entrare nel merito di quell'avvenimento, che è abbastanza conosciuto per gli aspetti emergenti storico-politici, ma molto meno per quelli più particolari e profondi concernenti protagonisti e responsabilità, che perciò sarebbe il caso di indagare ulteriormente (come propose qualche anno fa Alberto Stramaccioni, che parlò di Camorena come uno degli episodi della guerra civile combattuta in Italia dopo il settembre del 1943). Non ne parlo dunque perché non potrei aggiungere nulla di più di quanto non si sa già. Invece mi sembra utile fare qualche riflessione sulle modalità attuali di celebrazione ufficiale di un avvenimento che ha il significato che prima ho sottolineato.

Dunque, dicevo che ho l'impressione di qualcosa che si fa in modo ripetitivo. E questo modo mi suscita quel tipo di tristezza che ti fa considerare con profonda malinconia le cose in cui hai creduto e su cui ti sei a suo tempo impegnato. Già, perché la celebrazione di quel tragico evento fu tratta fuori da una stanca ripetitività formale (quasi una volontà non detta di dimenticanza) proprio dall'amministrazione che io guidavo negli anni '80. Non si trattò certo della riproposizione di un antifascismo di maniera e tanto meno della riscoperta strumentale dei valori fondanti della democrazia resistenziale e repubblicana.

Fu una scelta etica, e in tal senso la riaffermazione di principi fondanti, dunque necessariamente unificanti. Principi alti, imprescindibili. Così almeno erano per noi che quella celebrazione volemmo con grande determinazione. Ricordo bene che cosa ci dicemmo con Adriano Casasole, con Remo Grassi e alcuni altri. Non va dimenticato che cosa erano quegli anni, dalla strage di Piazza Fontana agli anni ottanta. Perciò ogni anno, quando qualche settimana prima del 29 marzo Remo Grassi veniva da me e mi chiedeva di aiutarlo a scrivere il manifesto dell'ANPI in ricordo dei sette martiri, l'incontro si trasformava in un confronto sul messaggio da trasmettere rispetto agli avvenimenti del momento e al dibattito che era in corso. Mai un anno che non fosse così.

E non si dica che oggi è diverso, perché di riflessioni sul senso attuale del sacrificio di quelle vite spezzate da un odio cieco ce ne sarebbe bisogno tanto quanto ce ne era allora e forse ancora di più. Basterebbe farsi questa domanda: che cosa resta oggi di quell'anelito ad una società libera e giusta che convinse molti che era meglio rischiare di dare la propria vita piuttosto che soggiacere alla dittatura fascista e all'occupazione nazista? E un'altra anche: chi se la sente di sostenere nella temperie di oggi che vuole essere considerato, in quanto effettivamente lo è, erede fedele di quell'etica repubblicana che animò i padri costituenti?

Domande terribili solo che si guardi panoramicamente la realtà effettiva del nostro paese. Perché, anche facendo tutte le analisi e tutte le distinzioni e senza cadere nel qualunquismo del tutti uguali e perciò nessuno colpevole, tuttavia il panorama è a dir poco sconfortante. Peraltro, come si fa ad evitare un giudizio così drastico quando, oltre alla realtà giornalmente vissuta dello stato di un paese arrivato sull'orlo del fallimento, abbiamo a disposizione il materiale che ne squaderna il degrado (libri, documenti, inchieste, processi, ecc.)? Si provi ad esempio a leggere un libro come "Il sottobosco" di Claudio Gatti e Ferruccio Sanza, che documenta senza peli sulla lingua non l'ormai arcinota organizzazione del paese in caste, ma il malaffare diffuso che vive all'ombra di esse e ne costituisce sia il terreno di coltura che il reticolato che ne utilizza i favori e ne pretende le coperture, e si capirà bene ciò che voglio dire.

Ecco alcuni passi di una recensione: "Il grande male italiano. La politica degli affari e gli affari della politica, quell'intreccio di interessi che raramente emerge alla luce del sole ma che condiziona in modo decisivo la vita del paese: ecco il sottobosco, il cuore politico-economico dove il business è business, indipendentemente dal partito di appartenenza, e l'interesse di pochi, i soliti, piega l'interesse generale. Tutti dalla stessa parte, quella dei soldi. Così si arriva al paradosso che sul palcoscenico della politica destra e sinistra se le suonano di santa ragione, mentre nel sottobosco trovano un accordo che avvantaggia entrambe".

Attenzione, non si tratta della tirata facilona e qualunquista che inquina da tempo le riflessioni serie. Si tratta di analisi documentate, quelle che dovrebbero convincere che la riforma della politica riguarda tutti, ed è non solo un problema istituzionale e di leggi quanto più propriamente di costumi, proprio nel senso che Leopardi attribuiva a tale termine quando scriveva il "Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani". Il sottobosco è il sistema intrecciato degli interessi non dichiarati, che impedisce le riforme o ne annacqua la portata e così uccide il merito, appunto il male del paese.

Che dire di più? Che cosa c'è di più lontano da chi sognava e voleva una società libera e giusta, e per questo era disposto a sacrificare la vita? Speranze tradite. Un tradimento diffuso. Non possiamo dire che non ci riguarda. Per questo non ci possono essere ricorrenze stanche, manifesti ripetitivi, o dimenticanze. Non possiamo e non dobbiamo dimenticare nulla che ci riguardi in quanto comunità, soprattutto i valori fondanti. Altrimenti non saremo più nulla perché non sapremo nemmeno chi siamo.

Franco Raimondo Barbabella

Credo che l'eccidio di Camorena abbia segnato profondamente la comunità orvietana non tanto e non solo per la fanatica e ottusa crudeltà con cui fu perpetrato, ma perché del tutto avulso dalla classica mitezza del popolo orvietano. Nelle lotte sociali e politiche dell'epoca contemporanea, gli episodi di sangue furono sporadici in Orvieto, nonostante l'ostinazione delle fazioni e la verbosità dei confronti. La reazione degli Orvietani all'eccidio di Camorena dimostra, a mio avviso, come in questa città convivano la ripugnanza per il sangue con l'ostinazione delle fazioni. Infatti tutti i responsabili dell'eccidio mi pare che siano morti nel loro letto, così come ancora circolano e aprono bocca liberamente molti orvietani che giudicano quel delitto come un esempio di severità legale contro imputati che se l'erano cercata.

L'invito di Franco a riflettere sugli avvenimenti dai quali è nata la Repubblica italiana e su quei valori fondanti che la costituzione ha consacrato, mi sembra opportuno per trarne incoraggiamento a reagire al degrado della situazione corrente. Del resto Franco sa bene che di valori fondanti e di relativi tradimenti è piena la storia e che ancora una volta siamo chiamati a cavarcela.  

Mi piace citare, non un classico del pensiero, ma "Lezione popolare sul modo di ben governare gli uomini del dottore in medicina Moretti Enrico (Milano, 1855)".

Che cerca l'uomo sulla terra? Egli cerca la felicità, Ma il trovarla sarà per lui possibile? La negativa è indubitata. Per sua natura l'uomo sarà sempre un essere vizioso e tribolato. La nostra coscienza, e l'attestazione universale ce lo dichiarano a chiare note. Se poi prendiamo in considerazione le facoltà fisiche, morali ed intellettuali dell'uomo, ci renderemo ancora più persuasi di questa verità. Il suo corpo è debole e soggetto ad un infinito numero di penose infermità: il complessivo sentimento di lui è un misto di qualità buone e cattive, che ne mantiene continuamente la volontà in tormentosa lotta, e il suo intelletto è circondato da barriere, ch'egli indarno si sforza d'abbattere. Lo stesso piacere per l'uomo altro non è che il frutto di un precedente dolore, od almeno d'un grave bisogno. La terra dunque per esso, diciamolo pure francamente, non è luogo di felicità. Che se per immutabile comandamento della natura l'uomo non può essere felice, nullameno sta in potere di lui l'alleviare le tristi sue condizioni, dacché, non mancandogli il mezzo di meditare sulle proprie infelicità, e quindi conoscendole, è in grado di prevenirne alcune, altre di limitare.

Dopo aver detto pane al pane, il dottore in medicina Moretti Enrico si profonde in una serie di consigli per migliorare la società. Consigli "politici" in senso alto, che avevano superato la censura delle "veglianti Leggi e Convenzioni stabilite fra le Potenze Austro-Italiane per la reciproca guarentigia letteraria". La lettura del libretto è preziosa per un esercizio di umiltà, poiché ci fa constatare quanto poco noi avremmo da aggiungere dal punto di vista pratico, e quanto poco noi onoriamo i valori della libertà e della democrazia, che quel brav'uomo del dottore Moretti Enrico non poteva né coltivare né esprimere.

Quindi il richiamo all'etica della politica, che sta tanto a cuore a Franco e alla cerchia dei suoi amici, alla quale mi onoro di appartenere, è essenziale. La crisi che la nazione italiana sta attraversando è innescata da fattori che (anche per nostra colpa) sono fuori del nostro controllo, ma soprattutto è alimentata dal nostro tradimento dei valori della libertà e della democrazia. Quei valori che i nostri padri, dopo il secondo bagno di sangue planetario, hanno consacrato nella nostra costituzione. Libertà e democrazia significano  riconoscimento, anche sul piano dell'organizzazione politica ed economica, della uguaglianza degli esseri umani nella loro dignità e nella loro capacità di contribuire alla conservazione a la progresso della società.

L'invadenza e l'irriducibilità della malavita organizzata, nostra vergogna di fronte al mondo civile, non sarebbe possibile senza pigrizie, viltà e connivenze ad ogni livello.

La prepotenza di una burocrazia pletorica, inefficiente, proterva, costosa, retriva, corrotta, subdolamente organizzata per condizionare il potere politico democratico, è un'altra vergogna che ci pone in fondo alle classifiche dei Paesi disastrati.

L'opportunismo sfacciato di una classe politica che furbescamente ingaggia un gruppetto d'esperti per fare quello che considera il lavoro "sporco" (qualche dolorosa e non risolutiva medicazione alle piaghe d'Italia) e sfacciatamente rivela che il suo unico scopo è salvare una buona parte dei suoi scandalosi privilegi, è disarmante.

Verrebbe da abbandonarsi allo sconforto. Ma l'impoverimento in atto, la costrizione a riflettere sulle nostre abitudini di vita, la sensibilità sempre più viva all'ingiustizia dei privilegi, la sfiducia nei politici chiacchieroni, l'umiliazione dello scivolamento tra le nazioni che inquinano, col loro dissennato debito pubblico, il mondo industrializzato, possono costituire il clima adatto per un risveglio etico.

Speriamo che sia così e che i demoni che sono dentro di noi non prevalgano e non vinca l'odio, quello che dà frutti di sangue, come si è visto anche a Camorena.

Pier Luigi Leoni   

Pubblicato il: 02/04/2012

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