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C'è chi dice che Orvieto sta sprofondando e si offre per riportarla a galla. Ma c'è chi fa le corna e pensa che bene o male galleggia

Ping pong #28 "... il rischio continuo del dissesto, i creditori alle porte e la Corte dei Conti alle costole. Eppure tutto questo non basta a spiegare la permalosa, quando non rabbiosa, fuga di cinque assessori. Cristina, buon per lei, la chiama espulsione. E forse in qualche modo lo è stata..."

foto di copertina

"In questi ultimi tre anni abbiamo assistito ad un ripiegarsi della città su se stessa. Sostanzialmente non funziona più nulla Non c'è una strada una che non abbia una buca. Non c'è una striscia pedonale. Il sudicio unito agli escrementi dei cani ed ai liquami dei piccioni sono la coreografia della Rupe. Negozi ed abitazioni in vendita. Parcheggi vuoti, nonostante la repressione dell'ultimo periodo Un gruppo di noi nel 2008 si riunì per un progetto politico importante di vero cambiamento ma anche di vera dedizione per la città. Quel gruppo, ristretto, diede vita alla proposta politica e scelse colui che avrebbe potuto incarnarla nel 2009. .. Quel gruppo oggi non esiste più come Gruppo, ma i suoi appartenenti sono ancora, se Dio vuole, vivi ed attivi in città, in diverse forme e con diverse responsabilità. Non pensi, colui che scegliemmo come candidato, di averci domato nella nostra volontà di cambiamento, non basta averci, ad uno ad uno, espulsi dalla giunta per sostituirci con rincalzi, nessuno dei quali è stato, non dico eletto, ma nemmeno candidato nelle liste amministrative del 2009. Volevamo una città diversa,  dove i passati legami consociativi di sottobanco fra governo ed opposizione cessassero per sempre in nome di una chiara Democrazia dell'alternanza. La volevamo e l'avremo. In nome di questa idea abbiamo ritrovato il dialogo e lo slancio che, artatamente, è stato minato da coloro che non hanno accettato di aver perduto il controllo del sistema di potere nella nostra città". (Dal corsivo di Cristina Calcagni pubblicato il 22.03.2012 su OrvietoSi).

Il Direttore sa che stimo Cristina Calcagni, perciò mi assegna questa palla con una punta di perfidia. Per obbligo contrattuale non mi posso sottrarre al commento,  reso agevole dal linguaggio chiaro e tagliente di Cristina, ma non cado nel trabocchetto di assumere la difesa d'ufficio del sindaco, sia perché egli sa difendersi da sé, sia perché non me ne ha dato l'incarico, sia perché in politica, come nella vita, ciascuno deve fare la sua parte in commedia. Ça va sans dire che se faccio parte della maggioranza che sostiene Toni Concina, non ne posso parlar male. Cristina dice di essere stata espulsa dalla giunta. Anche se si fosse semplicemente dimessa, sarebbe libera di dire tutto quello che vuole. Io non sono stato ancora espulso dal consiglio né mi sono ancora dimesso, perciò, quando non sono d'accordo col sindaco, busso al suo ufficio e non alzo la voce.
Dunque un gruppo di cittadini  concepì, nel 2008, «un progetto politico importante di vero cambiamento ma anche di vera dedizione per la città». Non facevo parte di quel gruppo (che si chiamava Orvieto Libera e del quale facevano parte, tra gli altri, Cristina Calcagni, Angelo Ranchino, Massimo Rosmini  e Marco Marino), ma di un partito che raccoglieva anche noi  reduci di lunghe e faticose battaglie di opposizione e che aveva uno suo progetto politico molto sintetico: rompere la cappa di piombo che pesava da sessant'anni su Orvieto; romperla per il bene della città e anche, implicitamente, per il bene di una sinistra viziata e ultimamente pure istupidita dal lungo esercizio del potere. Quando mi fu proposto, all'ultimo momento, di entrare nella lista del PDL, mi fu comunicato che eravamo alleati con Orvieto Libera, che aveva scelto per sé  e pure per noi, come candidato sindaco, il dott. Antonio Concina. Devo confessare che le persone che facevano parte di quel movimento, quasi tutte mi piacquero, a  cominciare da Cristina Calcagni. Devo anche ricordare che, conosciuto Toni Concina, dissi e scrissi con convinzione che era un lusso che la città non si poteva permettere. Infatti pensavo che avrebbe vinto il candidato del centrosinistra, che il centrodestra non avrebbe sfondato e che Orvieto Libera non avrebbe spostato al centrodestra nemmeno un voto del centrosinistra. Centrai tutte le previsioni tranne quella più importante. Infatti Concina, grazie ai franchi tiratori della sinistra, cioè gli ex democristiani, riuscì a non far eleggere il candidato del centrosinistra al primo turno. Nel secondo turno fu tutta un'altra storia: il fascino del personaggio, la voglia di novità, la curiosità, il fatto che comunque la sinistra si era assicurata la maggioranza in consiglio comunale, fecero il miracolo. Festeggiammo. Alla festa brindai anche con Cristina, Massimo, Marco, e Angelo. Poi il dovere di amministrare una città ridotta com'era ridotta. Illusioni e disillusioni. Di tempo ne è passato, il gruppo che nel 2008 si era riunito «per un progetto politico importante di vero cambiamento ma anche di vera dedizione per la città», non è più un gruppo, non è più un movimento. Cristina e Massimo da una parte, Angelo e Marco dall'altra. Cristina si ritrova in una città «in cui sostanzialmente non funziona più nulla». Evidentemente pensa che qualcosa prima funzionava. Angelo in consiglio comunale e Marco in giunta ancora sperano di rendersi utili. Che cosa sia veramente successo dentro quella giunta possiamo solo immaginarlo. Ma, almeno psicologicamente, deve essere successo qualcosa di molto pesante. Un uomo che voleva fare il sindaco, oltre che esserlo. Assessori che dovevano dimostrare di essere bravi senza soldi e senza potere. Un movimento deluso perché si era proposto di sfondare a sinistra e invece aveva soltanto grattato voti a destra.  E poi l'anatra zoppa. E poi il baratro senza fondo del deficit. E poi l'appoggio soffocante della sinistra pro Concina. E poi la cecità di un partito democratico intronato dal tradimento della rossa Orvieto. E poi la fatica di Sisifo di dover ripianare il bilancio vendendo immobili in una fase di depressione del mercato, in cui nessuno li vuole se non a regalo. E poi il rischio continuo del dissesto, i creditori alle porte e la Corte dei Conti alle costole. Eppure tutto questo non basta a spiegare la permalosa, quando non rabbiosa, fuga di cinque assessori. Cristina, buon per lei, la chiama espulsione. E forse in qualche modo lo è stata.
Ma se è umano voler sempre cercare un filo logico negli avvenimenti, è anche ragionevole non voler troppo indagare nei sentimenti e nei risentimenti. E io, almeno in questo caso, non ci riesco e quindi passo la palla a Franco. È o non è la regola del ping pong?
Pier Luigi Leoni  


 
Non so se Pier Luigi nel passarmi la palla ha pensato davvero che io potrei riuscire dove lui dice di non esserne in grado: "indagare nei sentimenti e nei risentimenti". Ma, se così fosse, dichiaro anch'io senza incertezza, e a rischio di deluderlo, di non riuscirci. Tenterò perciò di stare sul terreno che sento a me più congeniale, quello delle analisi il più possibile razionali e delle riflessioni il più possibile attendibili.
Dunque non entrerò (credo che non sarebbe sensato farlo anche solo di striscio) né nelle vicende direttamente vissute che racconta Cristina Calcagni né in quelle che con dovizia di notazioni racconta per parte sua Pier Luigi. Mi limiterò ad una valutazione politica sulla svolta del 2009 e sullo stato della città oggi e farò poi qualche considerazione finale.
Non esito a dire (come peraltro feci fin da subito) che quella del 2009 si era sul serio profilata come una vera svolta: non solo dopo sessant'anni la città eleggeva un sindaco non più espresso dalla sinistra, anzi in contrapposizione ad essa e addirittura con l'appoggio (certo non dichiarato, ma inoppugnabilmente evidente) di una parte di essa, ma lo faceva con fondate ragioni. Almeno due: protesta per un modo di governare diventato progressivamente, per miopia e per certi versi tracotanza, lontano dai sentimenti e dagli interessi del popolo; voglia di rivalsa da parte di chi per tanto tempo si era sentito escluso, a torto o a ragione, dalla gestione del potere, per quanto piccolo potesse essere. Vera svolta però anche per un'altra ragione, cioè le intenzioni dichiarate di cambiare rotta da diversi essenziali punti di vista: risanamento finanziario, denuncia delle responsabilità dello stato delle cose, gestione produttiva del patrimonio a partire dall'ex Piave, nuovi metodi, snellimento delle procedure, messa a frutto di vaste relazioni, utilizzo di esperienze professionali di alto livello nei campi più rilevanti, ecc.
Io salutai (pur essendo stato leale sostenitore dello schieramento in cui mi presentavo, devo dire per puro spirito di servizio), come purtroppo pochi altri a sinistra, questo annunciato possibile cambiamento come salutare, non solo per la città (che poteva ora sperimentare gli stimoli della logica dell'alternanza), ma per la stessa sinistra, soprattutto per quel tipo di sinistra a parole detentrice delle chiavi d'accesso al progresso e in realtà ottusamente conservatrice, che per questo nei fatti aveva quasi scientificamente preparato la sconfitta, non tanto per manovre, quanto per arretratezza culturale e incapacità di cambiare metodi di governo. Basti pensare alla continua, pervicace, emarginazione di coloro che in diversi modi e a più riprese avevano tentato di introdurre forti dosi di discontinuità. Basti pensare alla logica delle spese senza rapporto con le entrate anche quando la sua continuazione era diventata insensata e irresponsabile. Basti pensare all'incredibile vicenda del riuso dell'area di Vigna Grande, impostata come operazione possibile di grande respiro e di utilità strategica sia immediata che soprattutto di prospettiva con valenza territoriale, e trasformata dai reggitori comunali in occasione di feroce e stupida lotta politica in vista di non si sa bene che cosa e però con i risultati che si sono visti (difficile definirli con normale aggettivazione).
Ci si sarebbe aspettati non dico un lavacro, ma almeno una riflessione approfondita, la capacità di fare i conti con il passato (peraltro ovviamente non tutto da buttar via) e un serio rinnovamento sia degli schemi mentali che dei comportamenti politici. Niente di tutto questo purtroppo si è percepito. Anzi, con il tempo è cresciuta la voglia di ritorno al potere senza la fatica del cambiamento, semplicemente fidando nella diffusa disillusione indotta dal concreto svolgimento dell'attività di governo del centrodestra.
Il fatto appunto è che la svolta promessa dai vincitori non c'è stata. Non dubito che tutti coloro (Orvieto Libera, Pier Luigi, Luciano, altri, ovviamente lo stesso Concina) che l'hanno impostata e poi formalmente ottenuta volevano sinceramente realizzarla. Però, dopo tre anni, è ormai evidente che non solo non c'è stata, ma che, stando le cose come evidentemente stanno, non ci può proprio essere. Per ragioni diverse, però a mio parere tutte convergenti su un punto, che ancora una volta è essenzialmente di cultura politica: non voler ammettere che risanamento e sviluppo sono profondamente legati, e non voler o non poter spostare conseguentemente l'attenzione su una progettualità di largo e lungo respiro con riferimento alle potenzialità della città e del territorio, e con un'azione coraggiosa in quanto capace di rompere schemi consolidati, mettere alla prova le forze attive e svegliare quelle dormienti come opportunamente ha detto anche Massimo Morcella.
D'altronde come potrebbe essere altrimenti, se la strategia principale del risanamento finanziario, oltre ai tagli (alcuni opportuni e necessari, altri invece certamente almeno discutibili), continua a far riferimento quasi esclusivamente ad una vendita del patrimonio che di fatto si è trasformata in una vera e propria svendita, e non ad una seria strategia economica complessiva, capace di tener conto dei vincoli e insieme delle opportunità da mettere a frutto e perfino da inventare? Inoltre, come potrebbe essere altrimenti, se i metodi appaiono riprodurre quelli di sempre se non con qualche peggioramento: annunciazione e imbonimento, rinvio e attesa, approssimazione e lasciar fare, interventi scarsi e parziali, in parte niente programmi e in parte trionfo delle ovvietà? Infine, come potrebbe essere altrimenti, se lo spazio di dibattito continua ad essere occupato da chi non ha il pudore di riconoscere di aver avuto parte attiva (e in buona compagnia con non pochi esponenti della parte avversa) nella distruzione di progetti di sviluppo fondamentali come il riuso di Vigna Grande o da chi grida la propria esistenza manifestando solo livore personale, senza nemmeno preoccuparsi, di fronte a fatti incontrovertibili (come è la sentenza della Corte di Conti), di guardare in faccia la realtà magari per trarne finalmente qualche elementare insegnamento?
Cristina Calcagni esagera a dipingere a tinte fosche la condizione odierna della città? Sinceramente mi chiedo come si possa non esserne preoccupati, che le tinte siano fosche o grigie. Si discuta pure del colore più rispondente alla realtà, ma alla fine una scelta onesta non potrà che portare ad uno di tinta scura, anche quando si preferisse il grigio, che peraltro è di sicuro il colore peggiore, perché indica piattezza, mancanza di slancio, rinuncia, stanchezza, rassegnazione, stagnazione, galleggiamento. Ecco, il galleggiamento. Lo ho detto tante volte e lo ripeto: il galleggiamento no!
Aggiungerei alla descrizione di Cristina Calcagni solo il fatto che onestamente bisogna riconoscere che questa condizione ha le sue origini nel modo di governare di quella parte del centrosinistra che, tranne poche volte, era riuscita sempre a dare le carte. Per cui, la responsabilità vera della Giunta Concina e delle forze che via via ne hanno permesso l'esistenza sempre più caratterizzata da galleggiamento è di non aver introdotto i cambiamenti promessi per quella modernizzazione che era necessaria già prima. Cosicché oggi a tappo si è aggiunto tappo.
Con un po' di cinismo si potrebbe sostenere che c'è solo una consolazione: che il rinnovamento necessario per il futuro di tutti noi non riguarda più una sola parte, ma tutte le parti. I punti essenziali li ha spiegati bene Massimo Morcella la scorsa settimana. Va anche aggiunto che non è semplificabile né in termini anagrafici né in termini di genere, ma solo in termini di cultura, visione, capacità, disponibilità e credibilità. Infine, non è a portata di mano e non è ad esito scontato. Perciò mi viene da dire: auguri!
Franco Raimondo Barbabella

Pubblicato il: 26/03/2012

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