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Il COVIP propone di adottare 'Il codice etico del buon amministratore comunale'

Ping pong #25 Il codice etico che il COVIP si è assunto l'onere di elaborare (lo diciamo in premessa) non è né una predica moralistica né un giudizio già dato sull'esistente; è, al contrario, un invito ad alzare la testa e a gettare lo sguardo lontano. Il nostro orizzonte è il futuro. E il futuro richiede da subito rigore e ambizione, saggezza e sfida, prudenza e coraggio

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"Si tratta di una proposta nello stile della nostra Associazione, nata per stimolare il dibattito e migliorare il clima politico-culturale della comunità in cui si svolge la quotidianità della nostra vita. Con essa non vogliamo né fare prediche né dare lezioni, ma semplicemente rendere evidente che chi si assume l'onere, che è anche un onore, di rappresentare i propri concittadini, si assoggetta di fatto non solo alle leggi, ma a determinati principi di comportamento che è bene rendere espliciti" (Dalla presentazione dell'iniziativa pubblicata su OrvietoSi il 1° marzo 2012).

Il Direttore Dante Freddi, nel pubblicare sul suo giornale il codice etico elaborato dal COVIP (Centro Orvietano di Vita Politica intitolato al senatore Romolo Tiberi), dice che l'elaborazione di questo documento "è il risultato di una faticoso e non scontato confronto tra i soci" e che esso viene proposto ai lettori "per poter trovare il primo essenziale elemento comune per compiere qualsiasi passo innanzi". Si tratta di due punti cruciali.

Il primo riguarda la ragion d'essere e lo stile del COVIP, sui quali aspetti mi soffermo per un attimo perché mi sembrano propedeutici alla comprensione di tutte le iniziative dell'associazione. Il COVIP è nato per dimostrare che persone diverse per orientamento culturale, storia personale e collocazione politica, possono perseguire scopi comuni senza sentire insidiata o dimidiata la propria storia (e tanto meno la propria identità personale) o condizionata la propria collocazione politica o rese difficili le scelte che liberamente ne conseguono. E' naturale perciò che le nostre discussioni siano vere e leali, e se si vuole talvolta anche dure, ma solo perché le idee si traducono in posizioni che, secondo le regole del dialogo socratico e anche del falsificazionismo popperiano, vengono tenute ferme finché non vengono messe in discussione da altre che appaiono essere migliori, e soprattutto perché la tensione ideale verso ciò che si ritiene utile fare per la nostra comunità è lo sfondo su cui tutto si snoda nelle diverse occasioni.

Il secondo sottolinea la finalità strutturale delle iniziative dell'associazione: contribuire al miglioramento della vita pubblica della nostra comunità mediante la ricerca del positivo che unisce in ragione di un bene comune da riscoprire, conservare e trasmettere, se possibile appunto migliorato.

La vita pubblica orvietana ha bisogno di questo modo di ragionare, atteggiarsi e proporre idee e soluzioni? Noi pensiamo di sì.

Ne ha bisogno anzitutto in termini di clima generale, di vivibilità civile e insieme di transitabilità democratica. Alcuni decenni fa la medievale lotta delle fazioni che si combattevano e distruggevano abbattendo le torri divenne lotta politica senza esclusione di colpi tra partiti in campi contrapposti, che tuttavia nelle persone manteneva intatta la stima e vivi i rapporti civili. Poi, negli anni più recenti, in sintonia con i ben noti fenomeni di degrado della vita pubblica nazionale, quella lotta tra partiti è diventata progressivamente lotta frammentata, spesso cattiva e insensata, tra individui, gruppi e fazioni, giungendo anche alla trasformazione dell'avversario in nemico, non più soggetto con cui confrontarsi ma oggetto di sberleffo, maldicenza e denigrazione, bersaglio da colpire in modo subdolo e alla fine, se possibile, da abbattere. Così si è perso di vista lo scopo stesso della lotta politica, il senso dell'essere in campo, la visione progettuale, il disegno da perseguire nell'interesse di tutti. Se si continuasse così, e non è improbabile, la politica potrebbe diventare in poco tempo l'espressione disumana emblematica di una società disumanizzata. Ecco allora che, in sintonia con l'opera si ricostruzione del tessuto nazionale che non può non riguardare tutti, bisogna ripartire anche qui dalle basi fondative della politica, che, questa volta in termini crociani, è pensiero e azione, l'uno alto e l'altra nobile, relativamente alla polis, la città, che è la comunità dei cittadini.

Ne ha bisogno anche in termini proprio di politica in senso più stretto e operativo, cioè di idee e programmi di governo. Io penso che nessuno si dovrebbe offendere quando si insistesse su un concetto più volte espresso, ma che purtroppo stenta a farsi strada come indirizzo generale, anche se si deve riconoscere che qualche segnale in tal senso si può registrare. Il concetto è il seguente: nulla di significativo accadrà se ogni problema non verrà contestualizzato, se ogni scelta non verrà coordinata con le altre, se alla base di ciò che si fa non si porrà una visione strategica, un'idea realistica si, ma anche ambiziosa, coraggiosa e coerente, di città e territorio in questa fase storica. Il risanamento e la stabilizzazione finanziaria non ci saranno se contemporaneamente non vi sarà progetto di crescita e sviluppo, e questo non ci sarà se non si avrà chiaro in testa (e condiviso nel modo più forte e largo possibile) il ruolo da giocare qui ed ora in Umbria e in Italia.

Infine ne ha bisogno affinché si realizzino le condizioni perché assuma responsabilità di governo una classe dirigente capace, responsabile e adeguata al difficile compito di fronteggiare una crisi che persiste, si aggrava e attanaglia strati sociali sempre più larghi, e di lavorare nel contempo, come s'è detto, a prospettive il più possibile solide di sviluppo.

Il codice etico che il COVIP si è assunto l'onere di elaborare (lo diciamo in premessa) non è né una predica moralistica né un giudizio già dato sull'esistente; è, al contrario, un invito ad alzare la testa e a gettare lo sguardo lontano. Il nostro orizzonte è il futuro. E il futuro richiede da subito rigore e ambizione, saggezza e sfida, prudenza e coraggio.

Ci auguriamo che il nostro documento venga letto e diventi oggetto di riflessione e di discussione aperta e franca. Ci piace pensare che al suo contenuto sia interessato chi già ora è impegnato in politica e nell'amministrazione. Vogliamo in ogni caso sperare che lo sia chi, soggetto individuale o collettivo, domani vorrà misurarsi con il compito difficile e insieme esaltante di rappresentare e governare nei diversi livelli la cosa pubblica.

La palla a Pier Luigi, che certamente saprà proporre altri terreni di riflessione e sviluppare nuove considerazioni.

Franco Raimondo Barbabella 

La creazione di un gruppo che non sia mera conventicola di buontemponi mette in crisi l'ambiente sociale e gli stessi componenti del gruppo. «Costoro dove vogliono arrivare?», si chiedono all'esterno, e fioccano giudizi e pregiudizi. «Noi dove vogliamo arrivare?», si domandano all'interno, e la risposta è difficile perché deve essere conquistata con pazienza, tenacia e gradualità. Gli amici che si sono associati nel COVIP hanno affrontato un percorso reso ancora più difficile dal fatto che tutti, per maturità e per ruolo sociale, sono liberi da reciproche subordinazioni gerarchiche. Perciò il clima che si respira nel COVIP è il frutto di una faticosa e tenace ricerca di quel nucleo pesante di valori che deve unire un gruppo di cittadini impegnati per il bene della società, impedendo che prevalgano le forze centrifughe. Il «codice etico» è uno dei frutti di questo lavoro. Esso impegna soprattutto chi lo ha redatto e solo così può avere la pretesa di essere accolto con attenzione e rispetto.

Le considerazioni di Franco lasciano poco spazio a riflessioni sull'importanza basilare dell'etica pubblica, e non è nelle mie corde fargli da contraltare con sarcasmi sui difetti congeniti degli esseri umani, sul decadimento della politica e via discorrendo. Mi preme invece invitare chi assiste a questa partita di ping pong, dove la palla è un grumo di parole, a riflettere su un aspetto dell'essere umano che è fondamentale in ogni momento della vita, compresa la politica, anche se si tende a dimenticarlo. Si tratta della coscienza individuale. Cerco di affrontare l'argomento in modo semplice, altrimenti non lo capisco nemmeno io. E allora devo subito precisare che la coscienza ha poco a  che fare con la libera opinione personale, che è libera solo per modo di dire. Infatti essa subisce mille condizionamenti, a cominciare dall'ambiente in cui si è nati e vissuti fino ai persuasori più o meno occulti, come le persone che ci circondano, o che frequentiamo, e come i mass media che ci rintronano il cervello per farci desiderare, comprare e pensare a beneficio di poteri la cui consistenza e la cui malizia ci sfugge. La vera coscienza è un avvicinamento quotidiano alla verità con l'aiuto di buoni maestri, con la lettura di buoni libri, con la conquista di tempi e luoghi di meditazione e con la sana conversazione, quella di cui si può godere anche nella vecchiaia, se si è riusciti a non dissipare le belle amicizie.

Un buon maestro, il professore Romolo Tiberi, additava ai suoi alunni del liceo classico di Orvieto, come esempio di retta coscienza, la figura di Thomas More, più conosciuto come San Tommaso Moro. Non avevo la maturità per cogliere tutta l'importanza di quella indicazione, ma quando mi avvicinai alla politica compresi con più chiarezza ciò che il professore Tiberi ci voleva insegnare. Perché More incarnò una delle grandi espressioni dello spirito umano che sono comuni a ogni epoca, a ogni luogo, a ogni civiltà, a ogni filosofia e a ogni religione. More spiegò e testimoniò fino al martirio che il senso comune è una gabbia che imprigiona i valori essenziali dell'essere umano: la giustizia, la pace, la libertà, il disinteresse, la gratuità e la creatività, cioè, in sintesi, l'amore. La rottura della gabbia richiede una coscienza irrobustita da un lungo e intenso allenamento. Quando More, grande intellettuale e uomo di successo, giurista, diplomatico, scrittore, uomo politico assurto al cancellierato, massima carica inglese dopo quella reale, si trovò di fronte all'insistenza di Enrico VIII per ottenere dal Papa l'annullamento del matrimonio con Caterina d'Aragona, assunse un atteggiamento che, stando al senso comune, può sembrare folle. Possiamo facilmente arguire che More fosse bene in grado di trovare cavilli per aiutare la Sacra Rota ad annullare un matrimonio che faceva acqua da tutte le parti. Possiamo anche arguire che l'ambizione sfrenata di Anna Bolena e la passione di Enrico VIII per la sua amante, scandalizzasse non più di tanto un uomo di mondo come More. Ma egli era ben consapevole che Enrico VIII era prigioniero del vortice della riforma protestante che, nell'Europa continentale, stava disarticolando la cristianità, stava fomentando il sorgere di nazionalismi egoistici, stava dissolvendo il senso della solidarietà verso una superiore comunità europea, stava preludendo a secoli di conflitti sanguinosi e di profonde divisioni. Se la coscienza di Thomas More fosse stata troppo debole per rompere la gabbia del senso comune, egli avrebbe salvato la testa, ma avrebbe annullato la propria coscienza, che invece rimane un esempio fecondo sia per le coscienze individuali che per la maturazione della nuova Europa.

Ma ancora più sconvolgente della meditata e consapevole rinuncia alla vita è il fatto che  Thomas More l'amava intensamente, come dimostra, tra l'altro, la sua celebre preghiera per il buon umore.

Pier Luigi Leoni

Preghiera per il buon umore

Signore, donami una buona digestione 
e anche qualcosa da digerire. 
Donami la salute del corpo 
e il buon umore necessario per mantenerla. 
Donami, Signore, un'anima semplice 
che sappia far tesoro 
di tutto ciò che è buono 
e non si spaventi alla vista del male 
ma piuttosto trovi sempre il modo 
di rimetter le cose a posto. 
Dammi un'anima che non conosca la noia, 
i brontolamenti, i sospiri, i lamenti, 
e non permettere 
che mi crucci eccessivamente 
per quella cosa troppo ingombrante 
che si chiama "io". 
Dammi, Signore, il senso del buon umore. 
Concedimi la grazia 
di comprendere uno scherzo 
per scoprire nella vita un po' di gioia 
e farne parte anche agli altri. 
Amen.


Ping Pong è la rubrica di Orvietosì curata da Franco Raimondo Barbabella e Pier Luigi Leoni. Un appuntamento del lunedì in cui i due nostri "amici" raccontano la loro su una frase apparsa sul nostro giornale durante la settimana, una palla che io lancio ad uno dei due e che loro si rimpallano. Ci auguriamo che questo gioco vi piaccia e si ripeta il successo di "A Destra e a Manca". Naturalmente tutti i lettori sono invitati la tavolo di Ping Pong. Basta inviare una e-mail a dantefreddi@orvietosi.it 

Questa è la puntata 25

  

Pubblicato il: 05/03/2012

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