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SAGRE VS RISTORATORI: LE RAGIONI DEI 'SECONDI'

di Gabriele Vagnucci "Maledette sagre, ce ne sono in quantità industriale dappertutto, non pagano una lira di tasse e mi rubano i clienti!". "L'inflazione di questi eventi si trasforma in un'offerta di servizi di ristorazione sottocosto che condanna i pubblici esercizi a vedere i tavoli vuoti nel pieno della stagione"

 

foto di copertina

"Maledette sagre, ce ne sono in quantità industriale dappertutto, non pagano una lira di tasse e mi rubano i clienti!"

Sarebbe questa probabilmente la risposta che un ipotetico ristoratore orvietano darebbe qualora gli venisse fatta la "pericolosa" domanda "Cosa ne pensi delle sagre?" (ho omess , per ovvie ragioni, di inserire parole che assumerebbero un sapore decisamente più lascivo!).

Perché  quando l'orgia delle tavolate infinite e delle cene low cost sotto le stelle ha inizio, i ristoratori si trasformano in una sorta di istrice, alzando le forchette in aria con fare  minaccioso come fossero aculei.

Nell'articolo "sagre vs ristoratori: lo scontro è servito", già pubblicato, si è voluto dare risalto ad una problematica ormai divenuta ricorrente, cercando di capire il problema da ambo le parti.

Cerchiamo, questa volta, di analizzare meglio solo quelle dei "secondi", ovvero dei ristoratori.

"Quelli delle sagre, con questo fatto della socializzazione, con la scusa della voglia di stare all'aperto della gente puntano solo ad azioni speculative o comunque destinate solo a "far cassa" ed "i prodotti che utilizzano non sono mai del territorio". Apriti cielo.

Le poche sagre che sono destinate alla promozione di prodotti locali utilizzano nella stragrande maggioranza dei casi materia prima non del posto.

L'amante della sagra è spesso inconsapevole complice di un meccanismo che nasconde lati oscuri: non è poi cosi difficile vedere gruppi di amici che allegramente salgono in macchina per raggiungere la sagra con l'acquolina in bocca, pensando di strafogarsi di porcini (la stessa considerazione varrebbe per molti altri prodotti) trovati nelle nostre macchiette orvietane quando invece si ritrovano nel piatto funghi provenienti dalla Slovenia, dall'Ucraina, o da chissa dove. "Non possiamo utilizzare solo prodotti del posto, l'afflusso di gente è troppo numeroso"- si giustificano i "sagraioli". 

Seppur questo sia riconosciuto veritiero anche dai ristoratori, questi ultimi specificano che in realtà si glissa sul fatto che il prodotto esterofilo è quasi sempre economicamente più conveniente di quello nostrano. E le sagre, rette da associazioni no profit che dovrebbero puntare al pareggio di bilancio, quando sentono il profumo di extra guadagni non se li lasciano di certo sfuggire. Nessuno versa lacrime insomma, anzi. Fare sempre più soldi quindi è una necessità, al di la della spese sostenute.

Dietro ogni sagra c'è sempre un'organizzazione di persone, che alacremente cura ogni dettaglio: ci sono persone che lo fanno per passione (la stragrande maggioranza anche per bocca dei ristoratori) e persone che lo fanno con altri scopi. Ci sono ragazzi che preferiscono servire ai tavoli fino a tarda notte invece di andare a ballare e commercianti "furbetti" che non hanno alcuno scopo se non quello della speculazione. Per questi ultimi spesso la sagra diventa un canale di vendita diretto senza altro contenuto sociale e senza nessun legame col territorio: la sagra diventa soltanto  un modo eccezionale per vendere grandi quantità di prodotti.

"Noi dobbiamo pagare tasse, chiedere mille permessi per mettere due tavolini sugli spazi pubblici, rispettare le norme sull'Haccp, sul lavoro e molte altre cose...e quelli delle sagre, cosa devono rispettare?"- dichiara con foga un ristoratore orvietano.

A dir loro le sagre sono un affare che può contare anche sulla "rilassatezza" degli amministratori disposti, senza porsi troppi interrogativi in merito, a concedere spazi pubblici a costi notevolmente più bassi rispetto a quelli che sosterrebbe un privato esercente.

L'inflazione di questi eventi si trasforma in un'offerta di servizi di ristorazione sottocosto che condanna i pubblici esercizi a vedere i tavoli vuoti nel pieno della stagione.

 

La foto in home è di Piero Piscini

Pubblicato il: 17/08/2011

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