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Vietato bocciare nella scuola prossima ventura?

"A Destra e a Manca"#88 "Non si può dimenticare che la scuola pubblica è stata una conquista di civiltà costata lotte durissime e sacrifici enormi, ed è con essa che sono state sconfitte le piaghe dell'ignoranza e del degrado umano e sociale"

Caro Franco,

m'intrometto nel tuo ambito professionale, motivato dal mio ambiente familiare (perché sono nato e sono vissuto fra gente di scuola) e stimolato da antiche e recentissime letture.  Da un saggio del mio amatissimo Giovanni Papini, inserito nel pamphlet "Chiudiamo le scuole!" trascrivo alcuni brani ancor oggi, dopo un secolo esatto, molto stuzzicanti.

Non credo di offendere nessun professore, dottore , laureato o laureando se mi arrisico a insinuare l'idea che non tutti i grandi uomini hanno seguito studi regolari e che molti di loro sono stati sempre autodidatti. Anzi, è accaduto più volte che i maestri più famosi non furono mai scolari Fatto sta che alcuni pedagogisti sono stati condotti da ciò a riconoscere i vantaggi della cultura libera e personale e a ritenerla, in molti casi, superiore a quella obbligatoria e programmatica delle scuole. Ma per quanto io sia partigiano della cultura libera, non mi nascondo che anche questa ha i suoi pericoli. Se la cultura schiava può portare al pedantismo e al rimbecillimento progressivo, quella libera può portare al dilettantismo e alla perpetua dispersione ... Non tutti sono degni e capaci di camminare da sé, e non è vergogna per uno zoppo farsi trascinare dalla carretta di tutti. Pensavo dunque se non fosse possibile unire i vantaggi degli studi regolari, fatti sotto la guida di uomini esperti e addottrinati, e i vantaggi degli studi individuali, fatti coll'entusiasmo e il gusto del libero capriccio. E mi pare che il mezzo per ottenere questa felice combinazione consisterebbe nell'aggiungere al famoso principio della libertà d'insegnamento, quell'altro, non meno fecondo, della libertà d'apprendimento. I maestri debbono conservare il diritto d'insegnare quel che vogliono, ma gli scolari debbono acquistare quello, altrettanto sacro, d'imparare ciò che a loro piace. Questo principio, fosse rigorosamente applicato, porterebbe con sé tre mutamenti che io credo di poter chiamare, con una certa ragione, rivoluzionari:

1. Soppressione dei programmi generali e particolari e dei corsi obbligatori;

2. Soppressione degli esami di ogni specie; gli esami debbono essere riservati per i concorsi a posti o impieghi;

3. Soppressione dei corsi ufficiali fatti da professori. Questi potranno, se vogliono, fare corsi di conferenze su argomenti speciali da loro studiati, ma non sarà fatto obbligo agli studenti di frequentarli e non daranno, come s'è detto, occasione a esami.

Leggevo giorni fa un articolo di Enzo Martinelli intitolato "Bocciare o no?". Riferisce Martinelli che alcuni stati europei si accingono ad abolire le bocciature scolastiche, e non per ragioni pedagogiche, ma per esigenze economiche. Le bocciature hanno infatti due effetti perversi: una parte dei bocciati rimangono a scuola facendo aumentare le spese (adesso lo stato deve sostenere una spesa di due anni per far progredire di un solo anno il bocciato) e una parte lascia la scuola andando spesso ad alimentare la massa dei bighelloni e degli sbandati. L'inconveniente dell'abolizione delle bocciature sarebbe lo scadimento del titolo di studio, che infatti, abolendo gli esami, sarebbe sostituito da un semplice attestato dei corsi frequentati. Per scongiurare questo inconveniente, il governo austriaco ipotizza l'attivazione di corsi di recupero focalizzati su lingua nazionale, lingue straniere e matematica.

Il fatto che questi pragmatici governi europei evitano di "inlaberintarsi" (come scriverebbe Papini) in sia pur rispettabilissime teorie socio-politiche e pedagogiche, ma badano al sodo, mi sembra positivo.

Ora tu conosci la mia esperienza e vocazione di semiautodidatta, perciò tutto ciò che suona come abolizione dei titoli di studio è musica per le mie orecchie. Ma tu che hai passato la vita a studiare, ma anche a essere esaminato e a esaminare, e ti accingi a torchiare dalla prossima settimana altre decine di ragazzi, come la vedi?

Tuo Pier

Caro Pier,

il tema che mi proponi mi stimola particolarmente, non tanto e non solo perché svolgo una professione che mi mette periodicamente di fronte alla concreta e difficile decisione se fermare o no uno studente al termine di un percorso annuale di apprendimento o di un ciclo di studi, quanto perché è una di quelle questioni di fondo su cui si dilaniano le classi dirigenti dei paesi sviluppati almeno da quando si è affermata la società di massa. Bocciare o no: che cosa è meglio? Questione seria, ma risposta difficile e raramente univoca. La ragione è che essa sottende un altro tipo di problema, dalla cui soluzione dipende la qualità stessa dell'organizzazione sociale: come preparare i giovani all'esercizio delle attività produttive e delle professioni facendo emergere e valorizzando le loro propensioni e le loro capacità; e in buona sostanza come selezionare le classi dirigenti.

Giovanni Papini, uno degli intellettuali di rottura che all'inizio del Novecento animarono dalle pagine delle riviste allora fondate (in questo caso "La Voce", insieme a Giovanni Prezzolini) il dibattito culturale in Italia, esprime opinioni interessanti, ma poco dotate di forza pratica in quanto più che altro frutto di quell'apprensione delle élites per le conseguenze della nascente società di massa che sarà una costante di tutto il Novecento, con varianti significative dopo il secondo conflitto mondiale, quando la nuova fase di sviluppo internazionale farà emergere contraddizioni pesanti sia all'interno delle società occidentali avanzate che tra paesi sviluppati e terzo mondo. Basti citare per questo aspetto l'opera di Ivan Illich, anch'egli intellettuale di rottura,  che nel 1971 pubblicò "Descolarizzare la società", un libro il cui titolo da solo vuol essere un programma rivoluzionario. Papini dice: liberalizziamo insegnamento e apprendimento; niente programmi e niente esami. Illich dice: non istituzionalizziamo l'apprendimento, lasciamo liberamente fluttuare l'intelligenza delle masse e degli individui. Entrambi, pur in epoche diverse e su fronti diversi contrastano la stagnazione e l'appiattimento, di fatto invocando il dinamismo e la mobilità sociale.

Com'è evidente, né Papini né Illich hanno detto cose banali, ma si tratta di posizioni che credo possano essere valide solo a livello di stimolo intellettuale, giacché le società di massa e democratiche - lo sai bene anche tu - seguono altre logiche.

Questo giudizio vale innanzitutto per il tema delle bocciature. Né in Europa né nel mondo ci sono su questo tema posizioni univoche. Per restare all'Europa, negli ordinamenti scolastici si possono registrare almeno tre sistemi: quelli che non bocciano, quelli che bocciano solo alla fine di un ciclo e quelli che bocciano o promuovono ogni anno. Nell'obbligo scolastico fino ai 16 anni prevedono la promozione automatica Danimarca, Grecia, Irlanda, Cipro, Svezia, Regno Unito, Islanda, Liechtenstein, Norvegia, e di fatto anche Finlandia e Malta. In Spagna, Francia e Portogallo, le bocciature possono avvenire solo alla fine di un ciclo. In tutti gli altri paesi si può o si potrebbe bocciare ogni anno, ma nel Belgio francofono, in Germania, in Ungheria, in Portogallo, in Estonia e in Bulgaria, non è possibile bocciare al primo anno o nel primo biennio della primaria, in Polonia nei primi tre anni. In Spagna e a Cipro si può bocciare solo una volta nel ciclo primario.

Difficile dire che cosa è meglio, anche perché su questo tema, come più in generale sulla valutazione scolastica, ci sono continui ripensamenti. Ho letto anch'io le dichiarazione del ministro austriaco per l'istruzione pubblica Claudia Schmied («I cambiamenti sono inevitabili»; la bocciatura non aiuta la competitività perché «ha a che fare con la cultura scolastica più che con il profitto degli alunni»; ci si deve «concentrare su una nuova cultura dell'apprendimento e creare un sistema che dia importanza all'individualità degli studenti»; al posto delle bocciature introdurre per gli studenti che ne hanno bisogno al ginnasio e nelle scuole superiori un sistema di corsi, in particolare per il tedesco, la matematica e le lingue straniere). Va detto, questa mi sembra proprio la scoperta dell'acqua calda. Viene da chiedersi: ma la Schmied finora dov'è vissuta? In Italia quello che lei propone come una grande novità lo facciamo da tempo. Il punto è che i corsi di rinforzo valgono poco e rispetto ai risultati la spesa non è giustificata. Per cui converrebbe seguire altre strade. Ad esempio, che senso ha bocciare (ripetere un anno intero) quando magari non si è studiata o non si è stati in grado di prepararsi adeguatamente in una sola materia? Non sarebbe più logico fare come fanno in altri paesi dove si può ripetere un corso o anche più di uno senza ripetere gli altri? Naturalmente bisogna introdurre i percorsi modulari. Perché non lo si fa non si capisce. Come non si capisce perché non si rendono più elastici i curricoli, permettendo agli studenti di scegliere i propri percorsi con materie obbligatorie e materie facoltative. Lo si sarebbe potuto fare con il recente riordino degli ordinamenti e dei programmi, ma l'unica preoccupazione che si è vista è stata la pura diminuzione della spesa e non certo la sua riqualificazione. E così ancora una volta si è persa l'occasione di allungare lo sguardo sul futuro.

Caro Pier, anche l'abolizione del valore legale dei titoli di studio in queste condizioni rischia di avere non il significato di riforma della società in direzione del premio a chi più vale e dell'esaltazione delle capacità di ognuno, quanto piuttosto quello della pura e semplice liquidazione del sistema scolastico pubblico che, con tutti i suoi difetti, resta comunque il sistema che ancora assicura il massimo grado possibile di equità.

D'altronde non si può dimenticare che la scuola pubblica è stata una conquista di civiltà costata lotte durissime e sacrifici enormi, ed è con essa che sono state sconfitte le piaghe dell'ignoranza e del degrado umano e sociale. E poi siamo sicuri che le logiche castali, particolarmente forti in Italia, sarebbero non dico sconfitte ma almeno attenuate con l'abolizione del valore legale dei titoli di studio? Io temo che, al contrario, potrebbe verificarsi un loro rafforzamento per il fatto che, in regime di liberissima competizione, probabilmente si moltiplicherebbero le organizzazioni a difesa delle diverse categorie, che tenderebbero a farla da padrone in ogni settore della società molto di più degli attuali ordini professionali. Alla fine forse avremmo solo corporazioni, o magari, come piace tanto a certi ambienti leghisti, caste regionalizzate.

No, caro Pier, capisco il positivo del tuo discorso, ma non mi sembrano quelle le soluzioni. Tuttavia con te condivido l'esigenza di uscire dalla condizione di stagnazione culturale e sociale in cui siamo immersi, e non respingo le riflessioni che stimolano cambiamenti in senso anticastale, capaci si valorizzare intelligenza e merito, e di generare quella mobilità sociale che ne è la logica conseguenza.

Tuo Franco


La rubrica di Orvietosì  "A Destra e a Manca"è alla ottantottesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose". 
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca". 
La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 20/06/2011

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