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Addio a Gaber, uomo nuovo di una razza in estinzione

A 63 anni muore il poeta 'collettivo' Giorgio Gaber che Orvieto ha potuto apprezzare in due occasioni al Teatro Mancinelli

Cultura

di Stefano Corradino

Le parole per descrivere alcune persone, sono sprecate, inessenziali, sminuenti. Di Giorgio Gaber si potrebbe discutere per ore ed ore, citandone le canzoni, ricordandolo per la sua capacità di parlare allo stesso tempo d'amore e di politica, senza retorica e vanagloria. Gaber, un poeta della canzone, amareggiato da una società che non sentiva più sua, che non gli apparteneva.

Un membro di una "razza in estinzione", come lui stesso amava definirsi. Ma mai remissivo, disfattista, rinunciatario. Che non perdonava agli uomini di aver fatto dell'arrivismo, del profitto e dell'egoismo i simulacri della società moderna. "Sarei certo di cambiare la mia vita - cantava -se potessi cominciare a dire: noi".

Gaber ha anche calcato, nella sua lunga carriera, le scene del Teatro Mancinelli di Orvieto per ben due volte. Nel '93-'94 con lo spettacolo "Il teatro-canzone di Giorgio Gaber", e nel '96-'97 con "E pensare che c'era il pensiero". Ricordiamolo attraverso una delle sue intense canzoni:

CANZONE DELL'APPARTENENZA
(tratta dall'lp "Un'idiozia conquistata a fatica" 1997-98)

L'appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé.

L'appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un'apparente aggregazione
l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé.

Uomini
uomini del mio passato
che avete la misura del dovere
e il senso collettivo dell'amore
io non pretendo di sembrarvi amico
mi piace immaginare
la forza di un culto così antico
e questa strada non sarebbe disperata
se in ogni uomo ci fosse un po' della mia vita
ma piano piano il mio destino
è andare sempre più verso me stesso
e non trovar nessuno.

L'appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l'appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.

L'appartenenza
è assai di più della salvezza personale
è la speranza di ogni uomo che sta male
e non gli basta esser civile
è quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa
che in sé travolge ogni egoismo personale
con un'aria più vitale che è davvero contagiosa.

Uomini
uomini del mio presente
non mi consola l'abitudine
a questa mia forzata solitudine
io non pretendo il mondo intero
vorrei soltanto avere un luogo un posto più sincero,
dove un bel giorno
magari molto presto
io finalmente possa dire: questo è il mio posto
dove rinasca non so come e quando
il senso di un sforzo collettivo per ritrovare il mondo.

L'appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un'apparente aggregazione
l'appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.

L'appartenenza
è un'esigenza che si avverte a poco a poco
si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo
è quella forza che prepara al grande salto decisivo
che ferma i fiumi, sposta i monti con lo slancio di quei magici momenti
in cui ti senti ancora vivo.

Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi.

Pubblicato il: 02/01/2003

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