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I problemi non ci mancano, ma ne possiamo discutere e possiamo cambiare la situazione. E' questo che distingue la democrazia

A Destra e a Manca #67. Ad Orvieto "mentre si può convenire sul fatto che la situazione è tale che il sistema sta in piedi, nessuno può oggi né capire perché, né sapere per quanto, né vedere per dove. E questo non può non preoccuparci..."

Caro Franco,

Chiara e Mario Tiberi, nel corsivo pubblicato da Orvietosì e intitolato "Le maggioranze non sempre esprimono i migliori", affrontano un tema scottante. La constatazione che Hitler conquistò il potere col consenso elettorale inquieta la coscienza democratica, così come la battuta comunista che definisce il liberalismo con la metafora "libere volpi tra libere galline" offende le orecchie di liberali, liberisti e liberal-democratici. Infine, per far arrabbiare tutti, posso citare lo scrittore reazionario Nicolás Gomez Dávila, secondo il quale "quando, in una elezione democratica, non risultano eletti i più mascalzoni, è perché è intervenuto surrettiziamente qualche meccanismo non democratico".

Tutte le suddette affermazioni colgono parti di verità e quindi valgono come sane provocazioni. Per quanto mi riguarda, non avendo ancora cambiato parere, me la cavo con un brano di un mio libro di qualche anno fa.

L'ordinamento giuridico italiano prevede l'applicazione della forma democratica, nella versione della democrazia rappresentativa moderna, all'elezione del parlamento nazionale e dei componenti italiani del parlamento europeo, nonché all'elezione dei massimi organi di regioni, città metropolitane, province e comuni e di quelli delle circoscrizioni dei grandi comuni. La democrazia rappresentativa moderna è diffusa in molti stati contemporanei ed è diventata prevalente nel mondo dopo la caduta del muro di Berlino. Secondo la chiara sintesi di G. Therborn, ripresa e integrata da P. Ginsborg, la democrazia rappresentativa moderna può essere definita come la forma di stato "che a) possiede un governo rappresentativo eletto da b) un elettorato costituito dall'intera popolazione adulta, i cui voti c) espressi nel segreto dell'urna a intervalli regolari hanno egual peso, e che d) ha la facoltà di votare per qualunque opinione senza intimidazioni né da parte dello stato stesso né da elementi organizzati della società".

Ma le libere elezioni sono condizione necessaria e non sufficiente perché si abbia una democrazia piena. Una democrazia può raggiungere il massimo dell'efficienza consentita dal meccanismo rappresentativo se trovano applicazione due principi. Un principio, che mira a scongiurare la cosiddetta dittatura della maggioranza, consiste nel rispetto reciproco dei ruoli tra maggioranza e minoranza: la minoranza accetta che la maggioranza governi e la maggioranza accetta che la minoranza manifesti il dissenso e lotti per diventare maggioranza. Il secondo principio, che mira a far prevalere l'interesse generale sugli interessi dei partiti intorno ai quali si aggrega l'elettorato, cioè a scongiurare la cosiddetta partitocrazia, è il diritto degli eletti di agire senza vincolo di mandato. Vale a dire che il comportamento dei cittadini eletti non può, di diritto,  essere condizionato dalle formazioni politiche con le quali si sono presentati alle elezioni, così come non può essere condizionato, di fatto, dagli ignoti cittadini che lo hanno eletto. Il loro operato come rappresentanti del popolo è rimesso esclusivamente al giudizio dell'elettorato. E nemmeno ad esso, nel caso in cui non si ripresentino alle elezioni.

Se scendiamo dalle considerazioni generali alla realtà della nostra città, possiamo trovare evidenti conferme. Non mi addentro nel tema della formazione delle liste e del conseguimento delle preferenze (dove giocano elementi surrettizi della logica democratica) perché sia tu che io vi siamo coinvolti. Ti ricordo soltanto che la maggioranza che sostiene attualmente il sindaco non è quella voluta dagli elettori. E ciò è stato possibile perché, saggiamente, la legge esclude il vincolo di mandato. Ti faccio pure presente, anche se non sarebbe necessario, che le decisioni degli organi comunali sono influenzate da interessi di categorie organizzate, come i costruttori di case, i gestori di discariche, gli ambientalisti, i commercianti, gli artigiani e via dicendo, o non organizzate, come gli automobilisti, i mendicanti, i vucumprà e i compratori di ex caserme.  In questo bailamme la democrazia, bene o male, funziona. Ma non ne saprei dare un spiegazione diversa da quella che mi dette un ingegnere quando gli chiesi quanto rischiavo ad abitare in una casa di tufo del milleduecento nel centro storico di Orvieto: "Vedo che sta su, nonostante qualche piccola crepa; ma, poiché non è possibile calcolare tutti gli elementi che concorrono a farla stare su, l'unica spiegazione del fatto che non crolla è che sta su."

Non sono in grado di andare oltre. Quindi mi appello alla tua dimestichezza con le varie branche della filosofia, nonché alla tua esperienza politica.

 

Tuo Pier

 

Caro Pier,

certo non ti stupirai se ti dico che alle sane provocazioni sulla democrazia che tu citi se ne possono aggiungere diverse altre. Ad esempio, il famoso aforisma di Winston Churchill: "La democrazia funziona quando le idee di pochi riescono a soddisfare i pochi che contano". Però subito dopo bisognerebbe citare l'altro, sempre di Churchill, non meno famoso: "È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora".  Già, la democrazia è un regime imperfetto. Ma, come sai, la storia umana non ha mai conosciuto regimi perfetti. Anzi, quando qualcuno ha cercato di tradurre in realtà teorizzazioni di sistemi perfetti ha prodotto enormi tragedie, con conseguenze che proiettano le loro ombre ancora sul nostro oggi. Dunque, nel momento in cui diciamo "viva la democrazia!", di fatto, anche senza volerlo, diciamo "viva l'imperfezione!". E ne dobbiamo essere non solo consapevoli, ma anche orgogliosi. Lo spiegherò con riferimento ad alcune eminenti espressioni della cultura americana di tradizione democratica.

Innanzitutto mi riferisco a quanto della democrazia ha scritto nel 1871 il grande poeta Walt Whitman: "Spesso abbiamo stampato la parola Democrazia. Eppure non mi stancherò di ripetere che è una parola il cui senso reale è ancora dormiente È una grande parola, la cui storia, suppongo, non è ancora stata scritta, perché quella storia deve ancora essere messa in atto". Era il 1871, ma quelle parole guardavano lontano: credo infatti che anche oggi democrazia sia per molti versi una parola "il cui senso reale è ancora dormiente", e sia perciò da assumere come nostro il compito che Whitman affidava ai posteri.

Whitman in realtà era stato fortemente influenzato dal suo quasi contemporaneo Ralph Waldo Emerson, un filosofo oggi troppo dimenticato e che però il più grande pedagogista del novecento americano, John Dewey, ha definito il più autentico "filosofo della democrazia" per la sua esaltazione del protagonismo civico, della responsabilità individuale e della libertà come coraggio di comprendere ed affrontare il mondo.

Da qui Dewey deriverà il concetto di "società democratica", non esattamente coincidente con il concetto di "sistema politico democratico", che funziona con le regole che tu hai efficacemente descritto. Naturalmente la "società democratica" è il fondamento del "sistema politico democratico", cosicché, quando la società non sentisse più la democrazia come sua espressione necessaria, si andrebbe inevitabilmente verso un regime autoritario e illiberale. La questione della democrazia è dunque essenzialmente la questione di come funziona e di come è orientata la società. A questo proposito Dewey formula un concetto a mio avviso straordinariamente fecondo quando sostiene (Democrazia ed Educazione, 1916) che essere perennemente in crisi è la natura stessa dei sistemi democratici, ed essi, proprio perché questa è la loro natura, per vivere hanno bisogno che i cittadini siano sempre disponibili al cambiamento. Egli definisce perciò in modo preciso anche le caratteristiche della persona democratica: alfabetizzazione; competenze culturali e sociali; pensiero indipendente; disposizione alla condivisione con gli altri di idee e problemi. Di qui il ruolo fondamentale dell'educazione per l'esistenza di una società democratica e per la vitalità di un sistema democratico.

In fondo, caro Pier, su queste basi si può sensatamente valutare anche il tasso di democrazia di una società. Ed in effetti oggi anche questo accade. Basti pensare al Democracy Index del settimanale inglese The Economist, che esamina ogni due anni lo stato della democrazia in 167 paesi sulla base di 5 parametri: sistema elettorale e pluralismo; libertà civili; funzione di governo; partecipazione politica; presenza e diffusione della partecipazione culturale. Il risultato dell'indagine 2010 è il seguente: 26 democrazie complete; 53 democrazie imperfette; 33 regimi ibridi; 55 regimi autoritari. L'Italia è al 29° posto, perciò tra le democrazie imperfette.

Allora, seguendo il ragionamento di Dewey, possiamo dire, finalmente con un riferimento teorico di spessore, magari non che siamo proprio felici della nostra condizione di crisi perenne, ma che, essendo la crisi una condizione connaturata alla vita democratica, siamo chiamati per forza di cose a sviluppare la nostra creatività, appunto democratica, alimentata dalla massima possibile passione, ovviamente di natura civica.

Mi pare evidente, caro Pier, che ad Orvieto non ci mancano davvero le condizioni per questo doveroso esercizio. Lo stiamo già facendo, ma credo che ci sia bisogno di una forte accelerazione, perché, mentre si può convenire sul fatto che la situazione è tale che il sistema sta in piedi, nessuno può oggi né capire perché, né sapere per quanto, né vedere per dove. E questo non può non preoccuparci, perché, per quanto l'incertezza stimoli la creatività dei cittadini, in realtà più prima che poi essa si esaurirà e la rassegnazione da transitoria diventerà strutturale. Nel contempo il sistema da democratico tenderà ad essere sempre più oligarchico, le decisioni fondamentali saranno prese al di fuori dei canali istituzionali e alla fine, usciti i buoi dalla stalla,  assisteremo ai soliti lamenti, soprattutto di chi, avendo potuto fare qualcosa, si è guardato bene dal muovere un solo dito. Mi parrebbe questa una condizione tutt'altro che felice. Allora, anche se la casa sta in piedi e non mostra in questo momento segni percettibili di pericoli di crollo, forse conviene adottare comunque il principio di prudenza ed agire coerentemente nei tempi e nei modi giusti facendo ciò che ad esso si ispira.


La rubrica di Orvietosì  "A Destra e a Manca" è alla sessantottesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
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La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 31/01/2011

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