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Uscire dalla stagnazione

Da A Destra e a manca l'appello robusto e convinto al cambiamento, che deve ora concretizzarsi in azione: "Adesso è il momento del discernimento. Deve essere chiaro chi è che vuole rinnovare e chi è che vuole ripristinare. Deve essere chiaro quali sono le idee nuove e quali sono quelle vecchie. Deve essere chiaro quali sono le idee utili e quali quelle dannose". Interventi di Mario Tiberi e Flavio Zambelli

Caro Pier,

in un incontro ufficiale di pochi giorni fa ho ascoltato una persona arrivata da poco ad Orvieto per lavoro (con un ruolo di rilievo) affermare che la nostra città è restia all'innovazione e dunque conservatrice. Non è una novità: è un discorso che ho sentito tante volte e da persone che in qualche modo si somigliano. Anche il senso del discorso è suppergiù sempre lo stesso: non esprime né consenso né dissenso, quanto piuttosto la constatazione di un carattere che si impone all'attenzione di chi viene da fuori e che viene immediatamente percepito come un limite. Non sarò certo io a negare la fondatezza di questa constatazione, tali e tante sono le prove che possono avvalorarla! Ma mi fa piacere discuterne con te, e, data la tua esperienza non solo di cose orvietane, vedere insieme se si tratta di cosa specifica, particolare, oppure qualcosa che ci accomuna ad altri, ed eventualmente in che senso. E soprattutto come affrontare e superare questo limite.

So bene che sia innovazione che conservazione sono termini ambigui, e che di conseguenza vanno impiegati opportunamente con riferimento al significato che possono assumere nel contesto. In particolare so bene - lo dico anche per anticipare una tua possibile obiezione - che a conservazione non è affatto detto che si debba attribuire un significato negativo (ci sono tanti aspetti della vita e della produzione dell'uomo che meritano conservazione!) e che, per converso, a innovazione si debba attribuire un significato necessariamente positivo (ci sono innovazioni che è bene evitare oggi e sempre, altre che è bene tener d'occhio, ecc.). Inoltre, com'è arcinoto, chi si proclama conservatore non è detto che non sia capace di innovazione molto più e meglio di chi ama giudicare se stesso ed essere giudicato innovatore, e, al contrario, chi si picca di definirsi innovatore non è detto che non sia in realtà un perfetto conservatore, addirittura più impermeabile alle novità di quanto non lo siano coloro ai quali egli rimprovera di esserlo. Parafrasando Bertolt Brecht, si potrebbe dire che la madre di ipocrisia e mediocrità è sempre incinta.

In altri termini, per dirla ora al modo di Aristotele, sia di innovazione che di conservazione si può dire in molti modi. Tuttavia possiamo accettare come consolidato che in senso generale conservazione indica ciò che tende a mantenersi uguale, a non cambiare posizione o stato (di conseguenza, in politica, sostenere l'ordine costituito), e che innovazione significa introduzione di novità in un processo o in una situazione, ciò che genera cambiamento utile, perfezionamento o miglioramento di qualcosa (un processo di produzione o un prodotto, un servizio, una tecnica, un modo di educare, o anche un modo di vedere o di approcciare i fenomeni del mondo, ecc.).

Io, caro Pier, come ti è certamente chiaro da questa lunga premessa, non voglio in alcun  modo sostenere che non è utile conservare i costumi dei padri, quando naturalmente non si siano già trasformati in gabbie per i figli, né che non è buona cosa conservare le nostre origini, il patrimonio storico e culturale che ci è stato affidato in custodia o l'ambiente naturale e di vita, ma che è indispensabile introdurre forti dosi di innovazione in tutti i settori in cui si articola la vita associata della nostra comunità. L'anatra zoppa va superata, ma insieme vanno introdotti cambiamenti anche nei settori vitali della società e nel costume stesso. Altrimenti, senza la consapevolezza di ciò che bisogna fare e la volontà di farlo, ci perderemo. E' necessario un grande sforzo, coinvolgente, motivante, immaginando un'intera comunità che si muove perché consapevole delle potenzialità che ha in mano e una classe dirigente che si decide finalmente ad utilizzarle bene.

Non possiamo fermarci agli annunci di cambiamento né al "ritmo lento" di chi, avendo assaporato un qualche mutamento, già si accontenta di aver messo metà del sedere su una qualche sedia. In realtà un asfittico conservatorismo, di destra e di sinistra, genera una pesante sensazione di stagnazione. E la stagnazione è peggiore sia dell'innovazione improvvisata e ideologica che della pura conservazione. Bisogna uscirne, presto e bene. Innovazione dunque, non quella proclamata, ma quella effettuale, non quella di facciata, ma quella vera, non quella di comodo, ma quella coraggiosa che, se e dove necessario, produce rotture consapevoli. La luce, ancora una volta, è la nostra comunità e la nostra città, il bene comune.

Tuo Franco

Caro Franco,

questa "maledetta" rubrica, così come è stata congegnata dal nostro Direttore (che è molto più scaltro di quanto voglia apparire) ci obbliga ad affrontare, a uno a uno, i nodi più intricati della nostra vita cittadina.

Perciò, conoscendo le idiosincrasie del nostro Direttore, è quasi per vendetta che comincio a risponderti con una citazione, anzi, addirittura con una autocitazione.

Nel 1997, nell'introduzione al mio pamphlet "Orvieto kaputt - La vendetta del villano", scrivevo:

"L'esperienza quotidiana conferma ciò che il senso comune ha dato per scontato e ciò che gli studiosi stanno tentando di dimostrare sperimentalmente: la città, come ogni sistema sociale, ha una mente collettiva e possiede una coscienza collettiva. Gli individui, come cellule di un organismo, sono influenzati dal modello mentale collettivo e, nello stesso tempo, lo plasmano. Gli esseri umani, come cellule di un organismo, nascono crescono muoiono, hanno la loro vita, la loro mente, la loro coscienza, il loro destino individuale. Ma sono determinati dai sistemi sociali di cui fanno parte e nel contempo contribuiscono a determinarli. Se poi i sistemi sociali vengono concepiti come sistemi ecologi­ci, dove esseri viventi e materia non vivente risultano organica­mente strutturati, ecco che si decolla verso i cieli sconfinati dove scienza, filosofia e religione si attraggono a si respingono in una lotta  perenne tra contendenti che hanno il comune scopo di lacerare il velo del Mistero."

Quanto alle innovazioni, è di tutta evidenza che prevale storicamente il diffondersi delle invenzioni tecniche e delle soluzioni politiche più idonee a gestire società sempre più complesse, ma vi sono stati sempre popoli che hanno resistito alle innovazioni, per motivi dei quali si discute, e quindi sono stati sopraffatti. Così come vi sono stati popoli che hanno rifiutato, in una fase della loro storia, le innovazioni, ma poi hanno cambiato rotta quando rischiavano di essere sopraffatti. Il Giappone venne a conoscenza dei fucili nel 1543, li adottò e li perfezionò. Ma i Samurai, che controllavano il governo, si resero conto che il fucile avrebbe spazzato via il prestigio della loro casta, basato sull'uso straordinariamente abile e ritualizzato della spada. Gradualmente i fucili furono fatti sparire, fino a quando, l'8 luglio 1853, quattro navi da guerra statunitensi al comando del commodoro Matthew Perry, si ancorarono all'imboccatura della baia di Tokyo. Fu tanto lo spavento, che il Giappone avviò un rapidissimo riarmo e, per la casta dei Samurai, fu il principio della fine.

Sempre che sia lecito paragonare la nostra piccola storia a quella grande (si parva licet componere magnis), mi viene da pensare che la resistenza orvietana all'innovazione abbia un po' a che fare con la casta che si è formata via via nel dopoguerra e si è consolidata verso la fine del secolo scorso. Un casta formata da imprenditori troppo legati alla politica e da politici troppo legati agli imprenditori, compreso lo pseudo management  del settore cooperativo, sociale e non. Una casta che ha beneficiato ovviamente se stessa, ma non ha mancato di gratificare i postulanti che garantivano i loro voti in cambio di favoretti di vario genere. Il tutto secondo lo schema della cleptocrazia (cioè "governo di ladri") da cui non sono immuni nemmeno le legalitarie democrazie contemporanee.

La casta ha puntualmente espulso (come nel tuo caso) o tenuto ai margini (come nel mio e in tanti altri casi) chi era refrattario a quella parolaccia che non voglio ripetere.

Ma, nel 2009, la casta ha preso uno spavento. E speriamo che dallo spavento passi allo sconforto e quindi alla rigenerazione o alla scomparsa.

Adesso è il momento del discernimento. Deve essere chiaro chi è che vuole rinnovare e chi è che vuole ripristinare. Deve essere chiaro quali sono le idee nuove e quali sono quelle vecchie. Deve essere chiaro quali sono le idee utili e quali quelle dannose.

Al forestiero scandalizzato dal conservatorismo di Orvieto, puoi dire che stiamo lavorando.

Tuo Pier


da Mario Tiberi

Illustre Direttore, Carissimi Franco e Pier Luigi,

      discernimento è parola dal significato ad ampio raggio che sconfina dal valutare distinguendo al saper vedere chiarendo con, nel mezzo, il giudicare intuendo e intendendo.
Capite bene di quale improbo compito Vi e ci stiamo facendo carico in ragione dell'amore smisurato che proviamo per la nostra città, ferita, umiliata, ma pronta ancora a destarsi se vigorosamente sorretta dalle robuste braccia e dalle fervide menti dei suoi figli migliori.
Per due giorni di seguito della passata settimana, ho vinto la mia riluttanza a gironzolare a vuoto e mi sono avventurato per le vie e le piazze del Centro Storico. Pochissimi incontri sia di indigeni che di forestieri, locali di ristorazione aperti per onor di firma se non del tutto chiusi per rassegnazione o resa incondizionata, esercizi commerciali sonnecchianti nel silenzio di clienti assenti.
Sono entrato, nel tardo pomeriggio, in una pizzeria da asporto e la proprietaria così mi ha salutato: "Ciao Mario, che tu sia il benvenuto perché è più di un'ora che non entrava nessuno!". L'esercente di un negozio di frutta e verdura, mio conoscente fin dall'infanzia, ha voluto farmi dono di pesche e albicocche pur di non vederle marcire.
Non vado oltre se non per dire che, ad eccezione della notte semi-bianca di venerdì scorso, Orvieto mi è apparsa come fossimo tra la metà di Gennaio e la fine di Febbraio e non nel pieno della stagione estiva che dovrebbe essere, per antonomasia, la stagione della vitalità prorompente.
Non vi è più tempo da perdere: ogni idea ha in sé qualcosa di buono e qualcosa che non lo è; non esistono in via generale vecchie o nuove idee, esistono solo idee giuste da ben delineare per poi concretamente praticarle. Così come esistono persone giuste da coinvolgere e altre, che non lo sono, da allontanare.
Convengo con lo slogan della precedente puntata di "A destra e a manca": è l'ora dell'azioneper scongiurare il pericolo imminente che, nell'arco di pochi anni, anche la nostra "Città di Orvieto" sia declassata a "Civita di Orvieto", morente e abbandonata al suo inesorabile destino.
Assieme a Voi non demordo e nell'infonderci forza e coraggio l'un l'altro, affettuosamente Vi abbraccio.  Mario Tiberi.


da Falvio Zambelli

Cari amici la vera sfida oggi è in realtà tra innovatori e conservatori:  due categorie umane che attraversano trasversalmente gli schieramenti politici.Sul blocco conservatore all'interno del PD, ne abbiamo già ampiamente parlato, con Mario Tiberi , nei nostri corsivi on-line; ma anche Concina, dalla sua parte , ha un bel da fare per tenere a freno le spinte neo-conservatrici che vogliono restaurare i vecchi metodi di fare politica e di amministrare la cosa pubblica. Serve pertanto, per creare le basi di una vera innovazione , un cambio di mentalità prima ancora che di classe dirigente. Anzi direi che il cambio di mentalità deve rappresentare una pre-condizione necessaria, per arrivare, poi, ad un ricambio della classe dirigente orvietana. Altrimenti si rischia di alternare  i soggetti al potere , ma con la permanenza dei vecchi e tradizionali metodi partitocratici. La nuova mentalità deve sostanzialmente riconoscersi in  un nuovo modo di vivere il rapporto con la Città e l'impegno nella cosa pubblica. Non più uno sfruttamento delle istituzioni per la realizzazione degli scopi privati, e per un uso della pubblica amministrazione finalizzato a  crearsi un  mestiere a vita. Serve gente disposta a mettersi a disposizione della città , per un periodo limitato nel tempo come cursus honorum; e con l'ottica di perseguire l'interesse pubblico generale molto più e prima ancora dell'interesse privato-individualistico. Bisogna cercare e selezionare nella società civile quelle persone che si possono identificare in questa nuova mentalità, e quindi rappresentare una possibilità di innovazione e cambiamento. E poi, certamente, non può esistere una vera innovazione, ed un vero rinnovamento, se non si comincia a costruire fin d'ora una scuola di formazione civica per i giovani orvietani, soprattutto per selezionare quelli più talentuosi e tali quindi da potersi candidare ad essere la  futura classe dirigente. Ovviamente questa scuola non nasce necessariamente in contrasto con le strutture giovanili già esistenti all'interno dei partiti politici. Ma anzi ne deve rappresentare un arricchimento, un allargamento ed un integrazione. Questo per avvicinare quei ragazzi, smarriti, che non si riconoscono più nella politica attuale, perché  non si sentono più tutelati, nei loro progetti di vita e di crescita nella società moderna. Come ho già spiegato in un mio articolo precedente, una vera squadra di governo amministrativo di una città, o di qualsiasi altro ente, deve essere poliedrica e ben amalgamata. Cioè deve contenere all'interno, sia talenti che provengono dal mondo della scuola, delle università, del volontariato, delle libere professioni e della piccola, media e grande attività  imprenditoriale. Sia talenti che sono cresciuti all'interno dei partiti politici, e altri ancora cresciuti nella pubblica amministrazione in modo da conoscerne già la sua complessità . Ragion per cui, ben vengano anche le formazioni giovanili all'interno dei partiti . Purché' producano elementi interessanti. L'associazionismo e le scuole di formazione, serviranno per intervenire laddove non riescono ad arrivare i partiti politici; creando con questi ultimi un rapporto di confronto e complementarietà . Per arrivare un domani a creare una compagine amministrativa della città, che risponda  a quei requisiti di amalgama e poliedricità di cui parlavo sopra. Creiamo quindi questa associazione, fondazione, o scuola per meglio dire, senza perdere di vista eventuali giovani talenti che crescono anche nelle strutture politiche. Penso ai  ragazzi e alle  ragazze, che , non senza delusioni e smarrimenti, ma con impegno e spirito volontario, crescono nella Sinistra giovanile e nei Giovani Democratici .Ma , per non fare torto a nessuno, anche nei movimenti giovanili di Destra,( la cui ultima denominazione sembra essere "Giovane Italia" coniando e copiando un nome tanto caro a Giuseppe Mazzini), non si può escludere che possa emergere presto qualche giovane interessante, non necessariamente solo maschile. A voi, cari amici , che rappresentate l'aristocrazia intellettuale, il compito di mettere a frutto tali proponimenti per arrivare ad una vera innovazione nella nostra città .Un saluto affettuoso.


La rubrica di Orvietosì  oggi "A Destra e a Manca" è alla quarantesima puntata. La rubrica è animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.

Per leggere le precedenti puntate di 'A destra e a manca' clicca qui

La foto in home page è di Simone Zazzera

Pubblicato il: 19/07/2010

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