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A destra e a manca. L'appuntamento del lunedì con Pier Luigi Leoni e Franco Raimodo Barbabella

In questa puntata E' tempo di anteporre il pensiero al fare e Le cose del domani e quelle del subito

foto di copertina

"E' tempo di anteporre il pensiero al fare"

Caro Pier,
leggo che il prof. Pier Luigi Sacco, ordinario di Economia della Cultura presso l'Università IUAV di Venezia, ha detto che "è tempo di anteporre il pensiero al fare". Lasciami dire che era ora che da qualche parte si levasse una voce autorevole (e il professor Sacco, come testimonia il suo straordinario curriculum, certamente lo è) per rovesciare quella che io ritengo sia una delle tendenze più deleterie che si sono affermate nel nostro Paese negli ultimi due decenni e che ci stanno allontanando rapidamente, molto più di quanto non si pensi, dai Paesi più sviluppati: quella di considerare il pensare una questione marginale dello sviluppo, elemento secondario delle dinamiche e delle esigenze della società e in particolare dell'economia. Perciò abbiamo assistito al crescere di uno spaventoso potere fondato sul fare, fare, fare, senza quasi mai un briciolo di riflessione seria su presupposti, fondamenti, fini, contesto e conseguenze. Quel che conta è quel che si fa al momento e quello che al momento si può ed è conveniente comunicare: al futuro ci penseremo dopo e solo se e quando sarà necessario. Così si ragiona, anzi, si sragiona.
Non è che non ci fosse bisogno di liberarsi di una cultura parolaia che ha sempre imperversato da tutte le parti e che a manca purtroppo si è fatta particolarmente notare per non saper essere in nessun senso mancante, però da qui a rifiutare scientemente la riflessione, l'approfondimento, la meditazione, insomma il pensiero che pensa ed elabora, progetta e programma, con i tempi giusti e il respiro indispensabile, ce ne corre eccome! Ne seguono infatti contraddizioni insensate. Ad esempio, a distanza di un anno dal terremoto dell'Aquila, mentre da una parte il governo nazionale e le forze governative abruzzesi, trascinati dalla cultura del fare, esaltano (avendone ovviamente qualche fondata ragione) la rapidità e l'efficacia della ricostruzione con riferimento soprattutto alle zone nuove che in pochi mesi hanno sostituito le numerose tendopoli, dall'altra forze spontanee (almeno così si presentano) sempre più fitte e attive, non accontentandosi più del solo fare, sostengono che il problema principale che ha quel comune oggi è la mancanza di idee, giacché la sua classe dirigente non ha saputo nemmeno iniziare una riflessione sul destino del centro storico (uno del più belli d'Italia), sulla sua identità, sul suo ruolo.
Toh, le idee, invocate dal popolo! "Chi se lo sarebbe mae creso!", avrebbe detto qualcuno che conosco io e credo anche tu. Il fatto è che non solo senza soldi, ma anche senza idee non si va da nessuna parte. Chissà, fossimo alla vigilia di un cambiamento epocale: non tanto dal fare al pensare, quanto dal pensare parlato e dal fare impensato al pensare per fare e al fare pensato. Se fosse così, che dici, caro Pier, dalle nostre parti si riuscirà ad agganciarvisi?
Tuo Franco

Caro Franco,
ciò che sta accadendo in Abruzzo ti accende la speranza in una reazione della coscienza popolare all'insipienza della classe dirigente. Speriamo che sia così e che si tratti di un vento fecondatore che arrivi a smuovere anche le nebbie orvietane. Anche se Orvieto non è stata sfasciata da un sisma, ma è stata corrosa da una malinconica decadenza. Il che rende tutto più difficile. Mi spiego con un esempio. Quando, alcuni anni fa, tornò nella piena disponibilità del Comune di Orvieto il Casermone, registrammo tutti una generale inettitudine a concepire concreti impieghi di quel complesso. Ogni discorso si concludeva con  più o meno fantasiose banalità. Ricordo che, durante una passeggiata primaverile nel centro storico, mi ero soffermato a riflettere sul modo (che in Orvieto presenta delle singolarità) in cui l'architettura rinascimentale si era affiancata e sovrapposta a quella medievale.  Giunto alla fortezza dell'Albornoz, m'affacciai  a guardare la valle. Provai una viva sensazione di scoramento. Mi resi conto che gli Orvietani che avevano voluto, progettato e fatto costruire quegli sgradevoli edifici e quegli squallidi quartieri, e avevano pure il coraggio di abitarci, non avevano niente a che fare coi loro antenati. Non potevano (non potevamo) decidere e nemmeno pensare a ciò che era meglio fare del Casermone. Così aderii all'opinione dei quei pochi che avrebbero voluto andare alla ricerca di idee nel vasto mondo, dove esistono anche popoli che hanno realizzato progressi che fanno impallidire il cosiddetto "miracolo" italiano. Dove esistono architetture che possono confrontarsi coi vertici del passato. Caro Franco, mi perdoni se non sono riuscito a liberarmi di quell'idea? E se mi ostino  a sperare che, dopo aver sbattuto i nostri malinconici musi sul muro della nostra inettitudine, ci decidiamo a implorare aiuto?
Tuo Pier

Le cose del domani e quelle del subito

Caro Pier,
talvolta il linguaggio dei numeri è talmente chiaro che diventa disarmante per chiunque voglia opporvi un qualche preconcetto purché tuttavia gli resti anche solo un briciolo di buonsenso. Alla fine del 2006, dunque non proprio stamattina, l'Unione Europea ha rilevato con una specifica indagine che le industrie culturali di quest'area producono complessivamente un fatturato annuale di 654 miliardi di euro, esattamente il doppio di quanto nello stesso arco di tempo produce l'intera industria automobilistica. Quasi tutti i Paesi più sviluppati dell'Unione se ne sono accorti ed hanno adeguato le politiche complessive a questo dato incontrovertibile, che indica con brutale chiarezza la direzione del futuro. L'Italia di sicuro non è tra questi, altrimenti tutt'altra da quella che è dovrebbe essere la politica della ricerca e della formazione, sia scolastica che universitaria. Non a caso i dati Eurostat da molti anni a questa parte registrano il differenziale sempre più preoccupante del numero dei laureati in Italia rispetto alla media UE (17% in Italia nella fascia 25/34 anni rispetto ad una media europea del 33%). Ovviamente non è questo il solo indicatore che conta. Si potrebbe dire ad esempio che da noi al massimo la cultura viene legata al turismo, mentre ormai dappertutto nel mondo avanzato essa viene legata all'innovazione, e tutti sanno che l'innovazione è l'elemento essenziale dello sviluppo. Senza la capacità innovativa legata alla cultura non c'è modernizzazione e senza questa si resta o si precipita ai margini. Si deve anche aggiungere - ed a mio avviso non è questione secondaria - che, senza valorizzare le intelligenze anche indipendentemente dalla laurea, in ogni campo e in ogni luogo, e senza valutare e premiare il merito, non solo non c'è sviluppo, ma c'è di sicuro arretramento. Per questo è giusto dire che, a parte le responsabilità del governo nazionale, ci sono anche quelle dei governi regionali e locali, e anche dei privati. Se penso ad esempio al dibattito e alle iniziative che si sono sviluppate e sono in corso in Veneto almeno da due anni a questa parte sull'economia della cultura un po' mi rincuoro. Non ne ho viste però né di ordine primario né di ordine secondario né ad Orvieto né a Terni né in Umbria. Tu che dici, caro Pier, è perché siamo superiori a certe cose o è perché non ne sappiamo nulla o magari ne sappiamo qualcosa ma sono cose che non ci interessano né poco né punto, tanto alle cose complicate o che ci appaiono lontane ci penseranno altri perché noi dobbiamo pensare alle cose del subito e a quelle che sennò ci scottano le dita?
Tuo Franco

Caro Franco,
constato che tendi a portare come esempi i paesi più sviluppati e cerchi di cogliere novità positive ed esemplari anche in ambito italiano. Questo è il modo giusto per invitare a riflettere e a migliorare. Ma forse non è bene dimenticare l'ammonimento dei nostri vecchi che, quando ci lamentavamo, ci invitavano a pensare a  quelli che stanno peggio. Voglio dire che quando il nostro amor di patria è ferito dall'asprezza della realtà, cerchiamo di imparare dalla Germania e dal Giappone, e magari dall'Italia del Nord, ma consoliamoci pensando un po' ai paesi delle sponde asiatiche e africane del Mediterraneo. Tunisi è più vicina di Berlino. Sono pensieri che non fanno progredire, ma fanno soffrire meno. E se vuoi apprezzare di più Orvieto ti consiglio un viaggetto a Gela e dintorni.
Mi sembra di vederti mentre mi ammonisci a non tergiversare e mi richiami al dovere di pensare positivo. Ebbene, ti confesso che ripongo qualche speranza, anche per Orvieto, in quello che chiamano "federalismo fiscale". Cicerone disse: "Che cosa sono le buone leggi senza i buoni costumi?". Louis de Bonald, nel 1815, parafrasò: "Che cosa divengono i buoni costumi senza le buone leggi?". È vero che oggi i costumi non sono tanto buoni, ma la legge può contribuire a migliorarli. Non si deve essere "politici senza morale" (la legge può risolvere tutti i problemi), ma nemmeno si deve essere "moralisti senza politica" (la legge non può far niente se prima non cambiano i costumi).
Il federalismo fiscale farà emergere l'inattitudine di una regione come l'Umbria a sopravvivere con le proprie risorse e con il ridotto aiuto dello Stato. Quindi l'Umbria è destinata a esser fagocitata da una o più regioni confinanti. Nelle macroregioni, territori come quello orvietano avranno un ruolo di crescente autonomia politica. Il modello che probabilmente si affermerà sarà quello svizzero, perché è quello che funziona meglio. Quel territorio, con una popolazione di sette milioni di abitanti, è suddiviso in ventisei cantoni nei quali la vicinanza tra chi paga le tasse e chi le spende garantisce fiscalità contenuta e servizi efficienti.
Nel frattempo, è bene che ci prepariamo al futuro pensando in grande, come fanno i Veneti, e calpestando i confini.
Tuo Pier


A destra e a manca  è la rubrica di Orvietosì  oggi alla ventiseieisima puntata. E' animata da Pier Luigi Leoni e Franco Raimondo Barbabella, la destra e la sinistra delle "cose".
Vorremmo attrarre i lettori nel ragionamento aperto da Leoni e Barbabella, non con i commenti, che in questa rubrica sono disattivi, ma con contributi firmati e spediti per e-mail a
dantefreddi@orvietosi.it , specificando nell'oggetto la rubrica "A destra e a manca".
La rubrica esce ogni lunedì.

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Pubblicato il: 12/04/2010

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