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Le aziende orvietane fatturato per fatturato

Daltafina ha il fatturato più alto, Ponte Giulio è l'industria più importante. Questo il quadro che disegna l'annuario economico dell'Umbria. La Elettromontaggi, che ha rilevato l'attività Itelco, è un'azienda da 80milioni di fatturato

Cronaca

di Dante Freddi

I dati relativi ai bilanci 2001 e pubblicati dall'annuario economico dell'Umbria di ESG89 dànno Deltafina spa, azienda che opera nella produzione del tabacco, 80milioni di euro di fatturato e 5.6 di utile netto, come la maggiore realtà economica con sede ad Orvieto. C'è poi la Cassa di Risparmio, 27milioni e rotti, 2.5 di utile. Seguono Trantavizi srl, raccolta e lavorazione di rottami, 14milioni di fatturato e 43.550 di utile, e la SAO, fatturato 14milioni, utile 931.775. La prima azienda di produzione industriale è Ponte Giulio spa, intorno agli 11milioni di fatturato e 600.000 di utile, azienda leader in Italia nella produzione di articoli bagno per anziani e disabili. La ALTO, edilizia, fattura 9milioni e mezzo, Puripesca 7milioni di fatturato , Conivar 6milioni e 800.000, Marini servizi 5milioni 200.000, Edilsanitari Carloni 4milioni 400.000, Monrubio 4milioni 200.000, Ciampani&co spa 3milioni, Automazione ufficio 2milioni 600.000.

La Elettromontaggi srl, che ha rilevato l'attività Itelco, fattura 80milioni e ne guadagna 5 e mezzo.

La fonte è l'annuario economico dell'Umbria 2003 pubblicato da ESG89 di Perugia.

L'immagine che emerge dal fatturato delle aziende orvietane disegna un'economia ancora ancorata all'agricoltura, al commercio ed ai servizi, con qualche caso raro di industrie di successo, come Ponte Giulio spa.

Il tentativo orvietano di industrializzazione ha avuto il suo culmine negli anni Sessanta, quando si insediò la Lebole, allora azienda del "parastato". Erano gli ultimi anni in cui si potevano tentare operazioni di "colonizzazione industriale", tant'è che l'iniziativa risultò isolata e senza la crescita sperata.

Fare industria in una zona in cui non c'è cultura imprenditoriale ed è assente l'indotto di base, essenziale per consentire lo sviluppo di industrie in qualsiasi filiera, è decisamente difficile.

Lo sanno bene i pochi industriali dell'Orvietano, che non hanno a disposizione aziende che possano mettersi a rete e crescere, secondo un processo virtuoso che fa sempre più solide le aree industriali che si sviluppano secondo questo modello.

Il fallimento dell'esperimento "Lebole" ha costretto ad immaginare uno sviluppo della nostra area fondato sul potenziamento e la nuova modulazione di quanto c'è, quindi agricoltura e turismo, e su quanto non c'è neppure in altre parti, quindi tecnologia avanzata.

Questo modello, composto di piccole imprese, caratterizza oggi la nostra economia e anche se non dovesse produrre mai grandi aziende, non avrà neppure contraccolpi occupazionali gravi.

Le difficoltà prodotte dalla crisi Itelco è emblematica.

Pubblicato il: 29/07/2003

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