Caro Fausto, non ? di Siciliano quella poesia, bens? di Bertold Brecht?
Laura Ricci
Ad ognuno il suo... quando ? il caso ristabiliamo le giuste ?propriet??.
Leggo, nell?editoriale appena pubblicato di Fausto Cerulli, che sulla rivista Nuovi Argomenti un recensore, del quale non sappiamo il nome, avrebbe pubblicato l?ultima poesia di Enzo Siciliano scritta da Orvieto. E poi leggo, riportata da Fausto, la poesia...
Bene, si ? fatta un po? di confusione, e per far giustizia al legittimo autore vorrei ristabilire, attraverso qualche notiziola che conosco, un po? di verit?.
Non so chi ha fatto confusione? se Enzo Siciliano ? ma mi sembrerebbe strano ? il recensore o Fausto, ma mi preme sottolineare che quella poesia ? di Bertold Brecht, e che non ? stata scritta recentemente a Orvieto, bens? a Berlino molti anni fa. Non so dire precisamente l?anno, perch? sono ancora al lavoro e non posso consultare la data precisa tra i miei molti, letti e riletti libri sacri (le poesie di Brecht sono tra questi), ma risale pi? o meno all?inizio degli anni cinquanta - qualche anno prima che Brecht morisse - insieme alle altre cosiddette ?Elegie di Bucow?.
E? una poesia che mi ha sempre accompagnato e rasserenato, mi ronza nelle orecchie, insieme ad altre, almeno un giorno s? e uno no, insomma ? uno dei leit motiv della mia vita. E mi permetto di dissentire con Fausto che la trova triste: ? serena invece, taumaturgica, e a mio avviso aiuta a ristabilire il giusto rapporto tra morte e vita, a farci accettare non la fine, ma la trasformazione di ogni cosa. Ci ricorda il nostro essere parte di una cancellazione, ma anche di una persistenza e di una bellezza ? di un ?eterno? (il canto dei merli) ? che vanno ben oltre il nostro breve, terreno passaggio. E? attraverso questa poesia che, giovanissima, sono riuscita ad accettare la morte tragica e immatura di mio padre e mia madre, ad esorcizzare il mio precoce discorso con la Morte.
Se posso, Enzo Siciliano a parte, vi racconter?, sempre a proposito di questa poesia, un?altra straordinaria storia? Le elegie di Bucow sono molto diverse da altri testi poetici brechtiani, altrettanto pregevoli, ma non cos? lievi, fini, delicati. Alcuni critici hanno avanzato l?ipotesi che sia stata una donna a scriverle, forse quella Maria Eich che al ritorno dello scrittore in Germania dopo la guerra doveva essere sua spia ? e fu invece sua amica e amante ? che ? anche l'affascinante protagonista del romanzo di Jacques-Pierre Amette "L'amante di Brecht", premio Goncourt 2003.
Maria, o un qualche altro femminile estro, quelle pacate, luminose elegie le avrebbe scritte, e perch? fossero sicuramente pubblicate avrebbe accettato di farle passare a firma Bertold Brecht. Ipotesi pi? o meno romanzesca, non sapremo mai - a meno che non si trovi un qualche documento certo - se ? stato o non ? stato cos?. Non so a voi, ma a me questo mistero piace; e mi piace anche pensare, in alternativa, che magari invece quelle elegie le ha scritte proprio Bertold Brecht, reso insolitamente lieve e alato dall?amore per l?amica.
Comunque, ecco di nuovo la poesia del caro Bertold, nell?ottima, mirabile traduzione dei classici e costosi libroni Einaudi. Non ho il testo a portata di mano, ma pi? o meno suona cos?:
Quando nella bianca stanza
dell?ospedale della Charit?
aprii gli occhi al mattino
e udii i merli cantare
mi resi conto che da tempo
non avevo pi? paura della morte.
Poich? nulla pu? pi? mancarmi
posto che io manchi.
Ora potevo rallegrarmi di tutti
i canti di merli
prima e dopo di me.
Pubblicato il: 12/06/2006