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Case minime. Un?apparente utopia

Pier Luigi Leoni

Un recente e puntuale articolo su Orvietos? dell?associazione ?L?Albero di Antonia?, mi ha fatto ricordare  un mio vecchio progetto, quello delle ?case minime?.

Tra le opere di misericordia catalogate dalla Chiesa c?? ?alloggiare i pellegrini?, che non significa soltanto ospitare quelli che vanno a Santiago di Compostela senza soldi in tasca, ma anche dare un tetto a tutti coloro che non ce l?hanno. Il principio non fa una piega e vale anche per quelli che  se ne fottono della Chiesa e delle beatitudini evangeliche. Come si fa a dormire tranquilli nel proprio letto sapendo che c?? qualcuno che non sa dove posare il capo? I barboni, gli sfrattati, i disgraziati senza fissa dimora, le donne e gli uomini cacciati da casa (non importa se per colpa degli altri o per colpa loro) devono avere un tetto dove ripararsi. L?assistenza pubblica  e  quella privata non bastano, anche perch? non esistono solo esigenze conclamate, ma anche penose situazioni di disagio e di violenza fisica e morale in cui la coabitazione marcisce per mancanza di alternative. Ed esistono case malsane che danneggiano la salute fisica e psichica di chi vi abita.

Il mio progetto si ? sempre scontrato col cinismo degli amministratori comunali, che in genere rifuggono dalle soluzioni che non sono gradite alla maggioranza  degli elettori, la quale ? irrimediabilmente egoista.  Infatti prevale il disinteresse e spesso il disprezzo per chi ? in disgrazia. Il ferito che giace sulla strada che scende da Gerusalemme a Gerico ?se l?? cercata?, oppure ?ho anch?io i miei problemi?, oppure ?se m?imbratta la tappezzeria della macchina, chi mi rimborsa??, oppure ?se lo aiuto non me lo levo pi? di torno?.

Ebbene, negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, molte citt? che avevano subito i micidiali bombardamenti degli Alleati, realizzarono, con rapidit? e semplicit? dettate dall?emergenza, lotti di ?case minime? per alloggiare i senza tetto, in attesa della ricostruzione delle case bombardate e poi della realizzazione delle case popolari.

Oggi non ci sono case bombardate, ma ci sono i bombardati dalle circostanze della vita.

La tecnica di prefabbricazione consente di realizzare una casa minima, nel rispetto degli standard igienici e  funzionali, al costo di una macchinetta utilitaria. Una casa minima ogni 250 abitanti (ma si tratta di una proporzione elastica) pu? alleviare notevolmente varie forme di disagio, da quella estrema del barbone e dello sfrattato, a quella del pensionato che non pu? sostenere la spesa per l?affitto, a quella degli anziani costretti a vendere la propria casa o a cederla a figli e nipoti, a quella delle coppie di giovani in difficolt?. Si tratta di situazioni che si prestano alla rotazione per il loro naturale evolversi: nessuno ? eterno, e gli anziani lo sono ancora meno, e nessuno rimane in una ?casa minima? appena pu? migliorare la sua situazione. I costi di realizzazione e di gestione non sono proibitivi e possono essere in parte compensati dalla diminuzione della spesa comunale per assistenza sociale, nelle varie forme che vanno dal sussidio al ricovero in istituto, dall?introito di canoni, quando ? possibile, e dalla beneficenza privata, che sarebbe positivamente sollecitata da una realt? vivente di solidariet? sociale.

Si tratta di utopia? Solo apparentemente, perch? la crisi sta facendo pi? danni della guerra.

Pubblicato il: 15/03/2012

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