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L?ETICA DEL TEMPO E DELLA PAROLA

Mario Tiberi

Nel mio ultimo editoriale ho scritto che il corso della vita, quando non ? condizionato da frenesie o da artificialit?, possiede cadenze lente e ritmate, quindi pi? umane, tanto che il tempo cos? riumanizzato prolunga il suo trascorrere oltre se stesso.

Capisco che tale affermazione, di getto lanciata nella mischia della dialettica imponderata, rischia di peccare di superficialit? e abbisogna, dunque, di una qualche precisazione e di un ?quidquid? di approfondimento.

Per avventurarsi in detto terreno di dissertazione cos? ricco di insidie e di sabbie mobili, ? necessario quantomeno bussare alla porta del palazzo dell?etica, intesa quale disciplina filosofica in grado di indagare sulla morale razionalit? o meno dei comportamenti umani e, conseguentemente, rendersi disponibile ad aprire a chi ha bussato e offrirgli la visuale chiara e nitida dei suoi arredi e dei suoi arazzi.

Il palazzo, o pi? semplicemente, la ?Casa dell?Etica? esiste davvero non solo nella sfera della metafisica, ma anche in quella meno immateriale della realt? pratica; siamo noi, spesso distolti dagli affanni del quotidiano, che non ci avvediamo della sua presenza, che non bussiamo alla sua porta, che ci priviamo dell?orientamento rappresentato dall?essere essa stessa la stella polare delle coscienze e, cos? atteggiandoci, la neghiamo e se anche in minima parte l?abbiamo conosciuta, pur involontariamente, la rinneghiamo.

La mancanza dell?etica o un?etica povera possono dipendere sia da una carenza della razionalit? pensante e sia da un suo progressivo inaridimento; quest?ultimo pu?, a sua volta, essere causato da un?idea forse distorta del tempo al quale, in un?ottica paranoica, vengono fatte assumere le sembianze come di una sorta di realt? solo apparentemente oggettiva tanto da imporre all?umanit? ritmi superluminali e inafferrabili.

Bisogna, per giungere ad un punto di approdo, compiere un estremo sforzo intellettuale e tentare di annullare, per quanto possibile, la mistificazione del ?Panta Rei?, ossia che tutto passa e scorre anche oltre la nostra capacit? di cognizione. Il pensiero per essere riflessione ha necessit? di una sosta, di rapire porzioni di attimi consecutivi per renderli imperituri di fronte all?incessante divenire: se l?uomo non ha fortezza di sapersi dominare e non ha volont? di sapersi fermare al momento opportuno, vuol dire che non pensa e, se non pensa, agisce come un automa freddo, spietato, irresponsabile. Il ?negotium? indiscriminato e folleggiante come totale rimpiazzamento delle virt? dello ?otium? riflessivo conduce, inevitabilmente, alla paradossale mancanza di tempo, in un tempo che scandisce l?evoluzione del tutto (omnia humanitatis rerum) in base al tempo stesso.

Al contrario, l?uomo in perenne e forsennato movimento non riflette su se stesso, su ci? che esperisce, sul come e perch? opera in un senso piuttosto che nel suo opposto; non riflette sull?altro, suo simile, e sugli accadimenti che li vedono entrambi coinvolti o travolti.

Non ho pretesa di pervenire a conclusioni definitive; ?, per?, legittimo porsi una domanda che lascer? aperta: se, cio?, ad un vuoto intellettuale e riflessivo pu? seguire o segue anche un vuoto emotivo e etico.

Proseguendo: si ? detto che il non pensare costituisce la morte della coscienza, ma non basta il solo pensare per mantenerla in vita; occorre addivenire alla manifestazione esteriore dei processi di formazione delle logiche intellettive e l?unico strumento, di cui disponiamo, va ricercato nella parola appunto intesa come espressione del pensiero e come sua forma di comunicazione sociale, culturale, politica.

Nel mondo greco antico, tra le molteplici massime attribuite al leggendario legislatore spartano Licurgo, spicca senz?altro quella nella quale viene sostenuto il principio che ?la politica senza le parole non ? politica?, come a dire che l?arma fondamentale della prima risiede nelle seconde.

Tanto ? vero quanto espresso che nelle immagini degli sbarchi di clandestini sulle nostre coste meridionali, codesti ultimi in tutti i sensi li vediamo emaciati, sudici, affamati, infreddoliti, nudi della loro dignit? di esseri umani, per? simbolicamente vestiti da un essenziale ?vocabolarietto? di lingua italiana.

Anche sull?uso della parola o delle parole, affinch? siano genuine e non vulneranti, non si pu? non bussare alla porta della ?Casa dell?Etica? perch? ad essa, e solo ad essa, spetta il compito di suscitarle e di guidarle. Un esempio fra tanti: sono oggi di gran moda, nei salotti della destra individualista e anche in quelli della sinistra ?radical-chic?, termini pericolosi e fuorvianti quali successo, arrivismo, affermazione esasperata della personalit?, ambizione, carriera; cio? a dire parole finalizzate all?esaltazione del proprio egocentrismo, se non del proprio egoismo, in una prospettiva di concettualizzazione anticristiana in quanto tendenti a posizionare unicentricamente l?Io al posto di Dio.

Per quello che mi circonda e per quello che mi ? dato di osservare, anche nel ridotto della mia esperienza di comune cittadino, con una punta di velata malinconia mi vengono da cadenzare i suoni verbali dell?amarezza e dell?apprensione.

 P.S. : nella redazione del presente editoriale mi sono avvalso della consulenza di Chiara Tiberi, la quale, nell?Aprile scorso, ha conseguito il Dottorato Magistralis in Filosofia morale e teoretica.

Pubblicato il: 23/10/2010

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