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C'era un tempo in cui i maiali erano neri

Magna Charta è l'occhiello comune a tutti gli articoli che si occuperanno di gastronomia, enologia, sociologia e antropologia, tutte insieme

Cronaca

Inizia con questo articolo "Magna charta", che raccoglie articoli di carattere enogastronomicosocialantropologico. Insomma, "Magna" sta per magna, voce dialettale tradotta in lingua italiana con "mangia"e "Charta" sta per carta, documento. La "Magna Charta" inglese non c'entra nulla. Questi "racconti"avranno sempre nell'occhiello il richiamo "Magna Charta".

 

La norcineria orvietana vanta una tradizione importante, forse non influente come quella di Norcia, ma degna tuttavia di rappresentare la "tipicità" dei nostri prodotti. Specie negli ultimi anni, alcune aziende hanno rinvigorito l'esperienza e la sapienza dei padri, trasformando la lavorazione delle carni suine in motivo di orgoglio gastronomico.

Dei fasti antichi e moderni non possiamo che rallegrarci e il vantare una norcineria di qualità rappresenta un'ottima "brochure" da consegnare ai gourmet e ai gastronauti che si avventurano nel nostro territorio.

Basta però la lavorazione delle carni per fare grande la norcineria nostrana?

Basta una rara capacità di elaborazione per vendere il nostro maiale come "prodotto tipico"?

Forse, tutto ciò non è sufficiente.

L'arte della norcineria - se vuole davvero fregarsi della "tipicità" necessita di una "materia prima" intrinsecamente autoctona. In altre parole: la stragrande maggioranza di carne suina prodotta in loco non proviene da" razze tipiche".

Prima del 1940/50 , il maiale bianco (o rosa) d'allevamento (razze Landrace o Large White), non esisteva mentre le varietà prevalenti erano due: la Cinta Senese e una razza bruna (probabilmente frutto di un incrocio).

Questi porcelli erano allevati allo stato brado, nei boschi e non raggiungevano mai quelle stazze da record che si registrano con i suini d'allevamento. Delle due, la più pregiata è sicuramente la Cinta Senese, chiamata così dalla fascia chiara che, dall'alto del collo, scende alle spalle e cinge, come una cintura, il torace dell'animale. La razza è originaria della provincia di Siena e da qui si diffuse nell'area toscana e in Umbria. Una curiosità: la dimensione delle ossa è quasi due volte quella riscontrabile nei suini allevati e questa caratteristica potrebbe aver dato origine - in virtù del precetto: "del maiale non si butta niente" - alla lavorazione della "coppa". Per converso, la qualità delle carni - compatte e saporite - è superiore a quella dei maiali bianchi.

Intorno al 1950, la "Cinta senese" venne progressivamente sostituita dalle razze del nord Europa Landrace e Large White, più adatte all'allevamento, maggiormente prolifiche e pronte per la macellazione dopo 6 mesi. I suini scuri, ormai appartenenti ad un passato rurale quasi estinto, vennero ricacciati nel territorio d'origine, ossia tra i boschi della Montagnola senese, dove, fortunatamente, venne conservata una razza pura da destinare agli incroci.

Negli ultimi tempi la "Cinta" ha visto riconoscersi una meritata popolarità, grazie alla riscoperta dei cosiddetti "giacimenti gastronomici" italiani e all'azione di tutela del pubblico.

Il cerchio della norcineria tipica potrà davvero chiudersi, legando l'arte con la materia prima rappresentata da questa pregiata razza italiana. Questo ritorno all'antico non è privo di difficoltà: l'allevamento è complesso e necessita di spazi ampi, i costi sono considerevoli, le rese minori. Però, il guadagno il qualità compensa largamente i sacrifici economici. La produzione di carne suina ottenuta dalle razze bianche potrebbe tranquillamente coesistere con una norcineria di alta qualità legata alle razze autoctone e da riservare a quel turismo enogastronomico in cerca di prodotti d'eccellenza.

Tra i mille "Piani di sviluppo" elaborati dagli enti pubblici, perché non far posto ad un serio progetto di recupero delle "tipicità" che un tempo caratterizzavano le varietà zootecniche e vegetali del territorio?

Pubblicato il: 23/04/2003

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