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Questa sera a Palazzo dei Sette si tratterà
il caso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

La giornalista e l'operatore del Tg3 furono uccisi a Mogadiscio. A distanza di anni non si conosce la verità. Nelle sale esce il film sul caso. Ne discuno l'Avv. d'Amati, i giornalisti Roberto Scardova e Maurizio Torrealta

Cronaca

di Redazione
Questa sera, alle 21,00, presso Palazzo dei Sette si discuterà del caso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Una tavola rotonda, coordinata da Giuliano Santelli e Stefano Corradino alla presenza dell'Avvocato Domenico D'Amati - legale dei genitori di Ilaria Alpi -, e dei giornalisti Roberto Scardova e Maurizio Torrealta. Quest'ultimo è autore del libro da cui è stato tratto il film dal 28 marzo nelle sale "Il più crudele dei giorni" con Giovanna Mezzogiorno nel ruolo della giornalista uccisa. Sarà un dibattito importante che arriva pochi giorni dopo l'uscita del film e nel pieno di alcune polemiche che si sono sviluppate proprio in questi giorni. Tentiamo di approfondire il tema per arrivare al dibattito di questa sera con qualche informazione in più.


Dal Mensile GQ
Un film dedicato alla reporter del tg3 uccisa a Mogadiscio riapre il caso. Ma 8 anni dopo resta il mistero.

Maggio 1993. Somalia. Due figure nella notte. Un uomo e una donna occidentali a Mogadiscio, semidistrutta dalla "missione di pace". Si aggirano al porto vecchio, nei pressi del campo italiano. Lei è bionda, giovane e in mano tiene la piccola fotocamera Nikon comprata da pochi giorni. Fa cenni all'amico di seguirla. Piano però. Vedono una luce tenue uscire da una fessura tra due mura. Si avvicinano lentamente, molto lentamente. Le urla di terrore arrivano sempre più nitide.

Il cuore batte forte in gola a Ilaria Alpi, promettente giornalista in forza al Tg3. Sa già cosa sta per vedere. E lo sa anche il suo misterioso accompagnatore, in realtà un amico, militare. Con lui Ilaria Alpi è stata testimone di fatti agghiaccianti. A lui ha confidato e raccontato tantissimo di ciò che stava scoprendo, su cui stava indagando. Infatti, sette procure civili e quella militare lo hanno ascoltato sull'assassinio della giovane giornalista e del cameraman Miran Hrovatin, uccisi premeditatamente a Mogadiscio il 20 marzo 1994. Ci sono fascicoli su fascicoli. Nomi e cognomi. Eppure: niente. In galera c'è solo un somalo venuto in Italia per testimoniare di sevizie e torture subite e finito in cella con 26 anni da scontare quale presunto killer di Ilaria.

Ammesso che sia lui il colpevole, chi armò la sua mano?

Bene, dopo oltre otto anni, alla vigilia dell'uscita di un film in cui Giovanna Mezzogiorno interpreta Ilaria Alpi, il mensile GQ ha rintracciato quell'amico della reporter. E mentre il Sisde e la Digos assicurano di proteggere un supertestimone, lui ha ricordato i segreti, piccoli e grandi, che Ilaria gli aveva confidato, affidato. In pratica quello che c'era scritto nei famosi taccuini spariti dal bagaglio della giornalista uccisa. E forse anche di più. Ecco il suo racconto. A cominciare da quella notte di maggio...

Fotografò gli ufficiali stupratori

Sì, il cuore batte forte, molto forte. Ilaria e l'amico si avvicinano lentamente al punto da cui provengono le urla di paura. Sono urla di donne. Dice la nostra fonte: "Scorgiamo alcune donne somale vicine una all'altra. C'è un gruppo di militari, tutti ufficiali e qualche sottoufficiale. Riconosciamo il tenente M., il tenente C. Con sorpresa vediamo anche il capitano dei carabinieri T (che oggi è tenente colonnello ed era in piazza Alimonda a Genova quando un colpo di pistola uccise Carlo Giuliani, come risulta dagli atti della commissione parlamentare di indagine conoscitiva sui fatti di Genova Ndr) e il maresciallo ordinario P. Uno di questi, mi sembra il tenente C., tira fuori una bottiglia, la mette in terra e dispone le poverette in cerchio, strattonandole e prendendole a calci... "Oggi tocca a te!" grida a una di loro.

Ilaria non perde un'immagine di questa terrificante sequenza. Il tenente afferra la "prescelta", la sbatte su un tavolaccio. Altri le tengono i polsi e lecaviglie."Poi -prosegue il racconto a GQ - abbiamo visto un militare avvicinarsi urlando che toccava a lui iniziare. Per un'ora a turno la violentano.Finchè l'ultimo prende la bottiglia e...grida di dolore". La giornalista con la sua piccola fotocamera scatta silenziosamente e imprime sul rullino ogni fotogramma di quella schifezza. Ma qualcuno si accorge dell'ultima quasi impercettibile flashata. "Afferro Ilaria per una mano e scappiamo. Riusciamo a dileguarci in fretta. E la riaccompagnamo all'hotel Amana, a Mogadiscio nord. È terrorizzata". Ora davvero deve stare ancora più attenta: troppi sanno che sa. Continua a prendere appunti su tutto: altri stupri, bambini seviziati dentro i camion, madri che prostituiscono le figlie al miglior offerente. Appunta, scava, intervista. Si intrufola. Fa la giornalista, insomma.E confida all'amico: "Voglio scrivere un libro".

Traffico di armi e rifiuti tossici

Cosa avrebbe scritto, se avesse fatto in tempo, nel suo libro sulla Somalia? La scaletta erano i suoi appunti, le prove le sue fotografie. Tutto sparito. Parla l'amico: "Continuavo ad andare a trovarla all'Amana, indifferente alle velate minacce dei miei superiori. Una sera Ilaria mi raccontò alcune novità. Sosteneva di avere le prove di un brutto traffico di armi e scorie radioattive. Dall'Est, passando per l'Italia attraverso un corrispondente giungevano al nord della Somalia, distribuendosi capillarmente in tutto il Paese.

Ilaria credo che abbia scoperto uno dei canali che vengono utilizzati per il traffico delle armi. È lo stesso che serve a società di vari Paesi, tra cui l'Italia, allo smaltimento di scorie radioattive. Mi dice che andando lungo la strada dei pozzi, il traffico passa per i porti di Bosaso e di Merca. Poi con la complicità dell'Imprenditore Giancarlo Marocchino (un italiano che in Somalia era anche collaboratore del Sismi, ndr) che fornisce i mezzi per gli scavi, moltissimi fusti di rifiuti tossici vengono interrati. E i trasporti? Avvengono su navi fornite dalla cooperazione italiana, sia per le armi che per fusti. A Bosaso Ilaria andò anche perché aveva visto e fotografato dei militari italiani, senza stellette e mostrine, che scaricavano fusti da alcune navi. E voleva sapere cosa contenevano".

Ilaria Alpi raccontò le sue scoperte a un agente del Sismi, Vincenzo Li Causi, che era in Somalia per indagare anche su queste vicende. Una pallottola vagante, il 12 novembre 1993, ha ucciso anche lui. Dopo aver inviato in Italia, attraverso l'ambasciata, numerosi rapporti. Inascoltati. "Ilaria, invece, si sapeva fare ascoltare. Eccome. Ricordo una mattina. Sentivo urla e discussioni concitate. Andai a vedere. C'era lei che litigava pesantemente con il generale Bruno Loi, che comandava il contingente italiano in Somalia. La vedo uscire dall'ex ambasciata infuriata. Torna dopo qualche ora, ma le negano il permesso di entrare. Insiste. Ma l'ufficiale alza la voce e la maltratta. Ilaria minaccia di mandare in onda al Tg3 delle 14 tutto quanto successo. Cos'è successo? Che tutte le pattuglie dei Carabinieri quando escono hanno al seguito degli AK (kalashnikov, ndr) per farne uso qualora servano.

Mi tengo in contatto con Ilaria. Mi confida senza mezzi termini di avere paura. Ma non dei somali. Mi fa dei chiari riferimenti ad alcuni settori militari. Italiani". È in quei giorni che, secondo la nostra fonte, si verifica un episodio molto istruttivo: "Fu organizzata una finta cena cameratesca con i giornalisti italiani che seguivano la missione. Eravamo al Porto vecchio. C'erano il comandante del raggruppamento alfa e vicecomandante del battaglione Tuscania (carabinieri paracadutisti, ndr). In realtà volevano sapere quanto e cosa sapesse Ilaria Alpi. Perché nel suo taccuino non sono finiti solo gli stupri, le violenze e i grandi traffici. Ma anche tante piccole squallide storie quotidiane che lei non voleva perdonare. E che, a forza di rompere i coglioni, forse le sono costate la vita".

Cocaina e uranio impoverito

Per esempio: i somali rubavano i mitragliatori Scp 7090 da carri Vm e scappavano. Un problema serio che veniva risolto così, spesso sotto gli occhi dei giornalisti: "I comandanti chiamavano gli informatori somali che collaboravano con i capicellula dell'esercito italiano addetti ai settori. Gli informatori recuperavano l'arma: in cambio avevano 500 dollari che non si sa bene da che cosa uscissero". Oppure all'aeroporto di Roma la Guardia di Finanza perquisì ufficiali e sottoufficiali provenienti da Mogadiscio. Saltò fuori di tutto: droga, armi, avorio, scimmiette vive, pietre miliari, busti del duce e di Vittorio Emanuele, pistole Beretta 34 calibro nove, e pistole russe sequestrate ai somali. "Così furono intensificati i controlli a Mogadiscio. Dove beccarono un colonnello, oggi generale: aveva chat (una droga leggera) e cocaina. Allora diedero l'ordine di non perquisire più gli ufficiali che partivano per Mogadiscio". Ancora: "Già allora i bombardamenti più violenti gli americani li facevano lanciando, dalle fortezze volanti, bombe arricchite. Di uranio impoverito". E che dire di quell'ufficiale che fece esplodere una bomba al fosforo in camerata? Roba da radiazione immediata dall'esercito. Invece coprirono l'accaduto simulando un attacco dei somali. E al rientro in patria si beccò pure una medaglia al valor militare.

Chissà quanti ancora sono gli episodi di corruzione, piccola e grande, che avrebbe potuto raccontarci Ilaria Alpi. Ma qualcuno ha provveduto a tapparle la bocca per sempre. E non basterà certo un film per la tv a renderle giustizia.



La polemica di domenica scorsa su Libero e la risposta di Maurizio Torrealta tratta dal sito di Articolo 21. Liberi di

Pubblicato il: 02/04/2003

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