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L'Opera del duomo, le sue "meraviglie" e lo storico dell'arte "riconosciuto"

Gian Paolo Aceto polemizza con Satolli e propone...

Gian Paolo Aceto, candidato sindaco di Orvieto nella tornata elettorale del 2004, esperto d'arte, si inserisce nel fervido dobattito sulla sistemazione museale delle cosiddette "meraviglie" che l' Opera del duomo si appresta ad offrire al pubblico.

Con la vis polemica che gli è consueta, Aceto vuole affermare il proprio diritto e quello di ciscuna persona che pensa e che sa a partecipare al dibattito, al di là del "riconoscimento" di esperto d'arte e di intellettuale che in un precedente articolo ho assegnato ad Alberto Satolli, così come merita. Dante Freddi

 

LO STORICO DELL'ARTE "RICONOSCIUTO"

CON L'USO DEL MICROSCOPIO

 

di Gian Paolo Aceto

 

 

                            quicumque fuerit ergo narrandi locus,

                            dum capiat aurem et servet  propositum suum,

                            re commendatur, non auctoris nomine

                                                                     Fedro- Favole (Lib. II - 13 - II° Prologo)

 

                            Traduzione:

 

                            Qualunque sia il tipo di scrittura

                            Purché interessi e sia fedele al fine,

                            vale per sé e non vale per la firma.

 

 

Fedro era un greco di Tracia, vissuto a Roma al tempo di Augusto e Tiberio, e ci ha lasciato le favole, scritte in latino. I versi citati, ancora e ben prima di Copernico e Galileo antiaccademici nelle loro indagini e perciò incuranti degli "ipse dixit" su argomenti "terreni" e non teologici, rappresentano la cruda e ironica meditazione su tutto ciò che già ai suoi tempi era quella gran parte di ufficialità accademica e professionale che in tutti i tempi approfitta della propria posizione sociale per far passare qualsiasi stoltezza soltanto con l'avallo presunto del proprio: "Sono l'unico "riconosciuto" del villaggio e perciò ho ragione io."  Con l'avvertimento che il"narrandi locus" della citazione da Fedro, vale a dire scrittura ma certamente anche un parere o un'argomentazione su un qualsiasi fatto, vale per sé (re commendatur) e non soltanto perché l'autore ha scritto un libro o due o tre con il suo nome in copertina (auctoris nomine).(personalmente non ho mai scritto libri, anche se sono l'autore di un solo titolo: "Come riuscire a non scrivere un libro", ed è chiaro che non potevo procedere oltre).

Tutto questo è sempre accaduto, e continua ad accadere anche in Italia, dove ci sono circa ottomila Comuni ciascuno dei quali con i suoi personaggi, veri o macchiette che siano, e appunto in ognuno di questi villaggi vivono o imperversano il "chiarissimo studioso", l'"esimio letterato", il "profondo  professore", oppure l'"esperto ciabattino" o il "riconosciuto storico dell'arte".

Su questo libertario e non censurante (come accade altrove) giornale telematico ho già scritto con qualche ragione poche settimane fa che la storia dell'arte ha nella sua ragion pretesa di essere anche comici aspetti di pseudoscienza., malgrado i seriosi Comitati Scientifici proliferanti come i  "lavori socialmente utili"

Adesso scrivo, generalizzando (ma annotando che è un tipo di generalizzazione che può essere molto particolareggiata) che il titolo pomposo di storico dell'arte contiene insieme due concetti  di smisurata grandezza e complessità: la Storia, e l'Arte. Mica poco!

Abitualmente lo storico dell'arte, come si è venuto configurando in questi anni è un individuo che pur non avendo fatto quella storia e quell'arte, e non sapendola fare, tratta delle opere di individui morti e a seconda del proprio gusto capacità o ignoranza e della propria convenienza di carriera seppellisce gli artisti o parte delle loro opere ammantandoli nel silenzio, oppure per ragioni accademiche o di mercato (concetti paralleli e interscantisi) rivaluta con argomentazioni pretestuose periodi del passato o artisti su cui il "comune concetto del sentire culturale" ha già da tempo espresso un giudizio storicisticamente fondato. Tra l'altro gli artisti morti non possono più rispondere.

E veniamo all'ultimo articolo su questo giornale, dal titolo "Apostoli in Duomo. Il Vescovo dice sì", con breve presentazione di Dante Freddi, e poi le dichiarazioni di un "riconosciuto studioso".

Caro Dante, ma perché si dovrebbero evitare polemiche? Eppure sai che "oportet ut scandala eveniant": E dato che non siamo alle prese con problemi di centrali atomiche o altro di simile e pericolosa importanza, possiamo ricordarci di un detto presocratico (o postcarducciano, a scelta), secondo il quale "la guerra è l'origine delle cose". E siccome siamo (apparentemente) civilizzati e perciò non ci scandalizziamo di qualsiasi osservazione, la città "sarà veramente soddisfatta" se dopo

cinquant'anni di plumbea assuefazione, qualcosa si muove, e senza rivoluzioni si fa un po' di chiarezza.

Ad un certo punto delle sue dichiarazioni il "riconosciuto studioso storico dell'arte" cita il Prof. Renato Bonelli (che non ho il piacere di conoscere, e a questo punto me ne dispiace veramente) il quale sul ripristino ottocentesco ha parlato di restauri di liberazione condotti finora, e secondo il "riconosciuto" in aperto contrasto con la maggioranza degli storici dell'architettura e dell'arte. E il "riconosciuto", anelante ad essere accettato nella casta dei riconosciuti ufficiali, si scandalizza, poverino, perché è stata espressa un'opinione "in contrasto"! Compagno Zdanov, se ci sei, vieni a battere un colpo!

Ma non solo. Sempre a proposito del prof. Bonelli, il "riconosciuto"  afferma che i  suoi  interessi sono sempre stati  "limitati"(!!!) all'oggetto del titolo del libro "Il Duomo di Orvieto e l'architettura italiana del Duecento-Trecento". Ma come lo sa, il "riconosciuto", che gli interessi del Prof. Bonelli sono soltanto questi? Gliel'ha chiesto?

Ammesso che gli interessi di una persona si debbano evincere soltanto dai libri scritti, questo non impedisce certo a questa persona di esprimere un parere (e a noi di prenderlo in seria considerazione) su un periodo diverso della storia dell'arte, pochi secoli dopo. E qui bisogna ricordare pubblicamente ciò che il "riconosciuto" sa benissimo, e cioè che nella storia dell'arte come categoria culturale è ormai invalso l'uso di settorializzare i propri interessi, per esempio in un secolo preciso o addirittura su un solo artista, così come il topo che trova una forma di formaggio e pensa che deve essere solo lui a spolparla, e nel caso del "riconosciuto" il postmanierismo a Orvieto. Ma è proprio Nebbia ! (e astuta!...). Per cui ne risulta che chi si è occupato di un periodo preciso (e va da sé, conoscendo benissimo l'arte delle altre epoche) non ha il diritto di veder preso in considerazione un suo giudizio su una decisione da prendersi riguardante opere di epoca diversa da quella su cui  (Bonelli) ha scritto un libro. Ciò può apparire infantile o surreale al cittadino non particolarmente esperto della materia, ma è ciò che accade.

Verso la fine delle dichiarazioni il "riconosciuto" finalmente smette di energumenizzare e decide di riflettere un po', pensando che come cambiano i Vescovi così cambi la liturgia. Qui non esprimo opinioni perché non ho la pretesa di sapere se è questione di liturgia e non so nemmeno cosa comporti in profondità questo concetto. So che l'attuale Papa ha scritto in passato un libro sull'argomento, ma io avendolo giudicato troppo ostico per le mie capacità purtroppo ho smesso di leggerlo. Penso che il Vescovo, ascoltati i pareri, anche dei "non riconosciuti", prenderà sicuramente la decisione più saggia e soprattutto più consona all'espressione religiosa verso la quale oggi si tende con più autenticità e bisogno che viene dal cuore (qualche volta cuore pensante), e che la Chiesa nella sua saggezza sa dirigere e accompagnare. Arte e turismo vengono infinitamente dopo.

Più avanti nelle dichiarazioni il "riconosciuto" dopo aver espresso di passaggio un modesto e fulmineo parallelo tra sé stesso e il Papa precedente, insegna (o quasi avverte) al Vescovo (con la figura retorica del :"mi riesce difficile") a non lasciar mercificare gli Apostoli, cosa che accadrebbe se queste statue fossero esposte a Palazzo Soliano. Ma prima le voleva esporre proprio in questo posto, insieme alle pitture, al primo piano! E si sarebbe comunque pagato il biglietto come in qualsiasi museo! Museo che alla fine (ultima perla) diventa "luogo di estraniazione", come scrive alla fine il "riconosciuto". Che è il metodo migliore per arrivare all'ufficialità "laica" a 360 gradi, passando per la sacrestia.

Troppo facile ricordare quante pale d'altare, statue, dipinti o comunque opere d'arte a soggetto religioso stiano comunque nei grandi e piccoli musei. Perché per gli Apostoli dovrebbe essere diverso? E così come cambiano i metodi della catechesi (i metodi, non l'essenza) così a parere di chi non soltanto sa ma ha il diritto e il dovere di sapere e di conseguenza di decidere, cambiano le necessità d'ordine "ornamentale" per quel che riguarda una chiesa. Ciò che poteva andare bene due secoli fa  non è più ritenuto necessario oggi, anche se ovviamente si lasciano le chiese all'interno come sono sempre state. Insomma , non si disturba più la Storia  in quanto spazi interni o esterni a un luogo sacro oppure civile.

Meglio sarebbe sistemare le pitture al primo piano di Palazzo Soliano e mettere le statue al pianterreno, cercando per il Museo Emilio Greco un'altra soluzione, che potrebbe essere, trattandosi di cosiddetta arte moderna, la sistemazione in qualche ambiente che non abbia una valenza storico-classica così acquisita come il Palazzo Soliano.

 

 

Pubblicato il: 13/03/2006

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