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Caso Achilli. I due orvietani indagati per omicidio volontario

Troppe domande senza risposta e due sospetti pieni di contraddizioni. Il gip del tribunale dei minori di Perugia ha riaperto l'indagine

foto di copertina
ORVIETO - Troppe domande senza risposta e due sospetti pieni di contraddizioni. Sono gli elementi che hanno convinto il gip del tribunale dei minori di Perugia a riaprire l'indagine sulla morte, allora archiviata come suicidio, di Roberto Achilli, il 21enne trovato senza vita ai piedi della Rupe il 14 novembre del 2000 da due 16enni, adesso indagati per omicidio volontario. Una lunga serie di elementi gioca loro a favore e contro, lunga almeno tanto quanto la lista degli interrogativi che hanno portato alla riapertura del caso. La posizione del corpo di Roberto, innanzitutto. Finito a terra, 13 metri e 20 a monte del punto di impatto, che ha urtato durante la caduta, supino, parallelo alla parete con le scarpe 3 metri dietro la testa, a 50 centimetri l'una dall'altra. Una posizione anomala che ha fatto pensare che il corpo di Roberto, morto sul colpo probabilmente per un trauma cervicale come stabilì il medico legale, poteva essere stato spostato, forse proprio per consentirne l'avvistamento per la presenza di cespugli. Dubbi, però, smontati dalla perizia fatta all'epoca dal professor Bacci che definì la posizione del corpo compatibile con la caduta. E il buco sugli ultimi 4 giorni di vita di Roberto, su cui nessuno, in una piccola città come Orvieto, ha mai saputo dire nulla. Eppure quando il suo corpo venne ritrovato era morto da poco, coi vestiti puliti che certamente non erano quelli di una persona che era stata all'addiaccio per 4 giorni. Allora, forse, Roberto non era semplicemente scomparso da casa, ma poteva essere stato trattenuto da qualcuno. E poi la vicinanza del corpo con quel casolare abbandonato in cui la proprietaria aveva segnalato intrusioni e segni di croci rovesciate. Ad escludere il collegamento tra il satanismo e i ragazzi indagati è, però, l'avvocato Pietro Giovannini che li difende con all'avvocato Orietta Bruno. "Ascoltavano un genere di musica in voga - afferma - che può riallacciarsi al maligno, ma nulla a che vedere coi riti satanici". "Né i miei assistiti - spiega ancora - conoscevano direttamente Roberto. Uno di loro non lo conosceva affatto, mentre l'altro soltanto di vista". A sfavore dei ragazzi gioca ovviamente la frase pronunciata da uno di loro durate la festa di Capodanno: "Vi ricordate Roberto? Lo abbiamo ucciso noi" confessando anche di aver chiamato i carabinieri per sviare i sospetti. Frasi emerse nell'ambito di un'indagine per molestie telefoniche su denuncia proprio del ragazzo in questione che da un 30enne riceveva telefonate che lo accusavano della morte di Roberto. E sulle quali molto si è concentrata la Procura per la riapertura del caso. Ma si tratta anche di frasi pronunciate sotto l'effetto di allucinogeni che, come ha spiegato il perito, possono portare ad affermazioni autoesaltanti. E poi, se davvero responsabili, perché i ragazzi avrebbero dato l'allarme, davvero per depistaggio? E soprattutto, perché uscire allo scoperto con una denuncia, con la certezza che sarebbe venuto tutto a galla? Infine l'orario. Che gioca pro e contro i ragazzi che dicono di avere visto il corpo tra le 16 e le 16,30 mentre si trovavano sul muretto della Confaloniera a sparare petardi. I carabinieri, per il verbale, intervengono alle 17,15 anche se potrebbe trattarsi di un errore di trascrizione visto che alle 17 sembra fossero già sul posto. Insomma le lancette si confondono, i tempi si dilatano e si restringono a favore e contro la ricostruzione fatta dai ragazzi.

Pubblicato il: 07/01/2006

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