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"Non c'entriamo niente con la morte di Roberto"

I due ragazzi che trovarono il corpo di Roberto Achilli, iscritti nel registro degli mindagati, ribadiscono la loro posizione. La storia...

ORVIETO - "Non c'entriamo niente con la morte di Roberto".  È quanto avrebbero ribadito ieri mattina davanti al pm, Maria Rita Belardi, i due ragazzi di 22 anni che 5 anni fa sotto le pendici della Rupe, all'altezza dei giardini della Confaloniera, scorsero il corpo senza vita di Roberto Achilli, il giovane orvietano di 21 anni trovato morto il 14 novembre del 2000 dopo che per 4 giorni era scomparso da casa. L'attesa dell'eventuale riapertura, da parte del gip Maria Grazia Mazzini, del caso, allora archiviato come suicidio (riapertura ufficiosamente preannunciata nel mese di dicembre) è terminata nei giorni scorsi. Con l'avviso di garanzia che ha raggiunto uno (nelle prossime ore - come riferito dall'avvocato Giovannini - dovrebbe essere notificato anche all'altro) dei due ragazzi che ritrovarono il corpo. Ragazzi, allora minorenni, che sono ora formalmente iscritti al registro degli indagati per essere, da qualche mese, tornati nel mirino della Procura a seguito di alcune affermazioni, vere e proprie ammissioni di colpevolezza, fatte probabilmente durante una festa di Capodanno.  Di fronte all'avviso di garanzia, i ragazzi, che già in precedenza avevano negato tutto rispetto a quelle dichiarazioni, hanno scelto di presentarsi di fronte al pm per rendere delle dichirazioni spontanee. Dichiarazioni sulle quali vige il più stretto riserbo. "I nostri assistiti - spiega il legale, Pietro Giovannini che insieme all'avvocato Orietta Bruno, difende i ragazzi - si sono limitati a confermare la loro completa estraneità ai fatti". Il colloquio sarebbe servito a ripercorre attimo per attimo gli unici momenti su cui i ragazzi dicono di essere in grado di far luce, ovvero quelli dell'avvistamento del corpo di Roberto dall'alto della Rupe e l'immediata segnalazione ai carabinieri. L'attuale indagine prende le mosse da una denuncia per molestie telefoniche che si è ritorta, poi, contro la sua vittima. Uno dei ragazzi, attualmente indagato, infatti, per mesi avrebbe ricevuto telefonate in cui un trentenne orvietano lo accusava della morte di Roberto.  È da quell'indagine che spuntarono fuori le frasi "vi ricordate Roberto? Lo abbiamo ucciso noi, poi abbiamo chiamato i carabinieri per sviare i sospetti". Frasi pronunciate probabilmente in preda alla droga e solo "per far colpo sulle ragazze" come sosterrebbero adesso i due 22enni. Ma tanto bastò alla Procura della Repubblica di Orvieto per riaprire il caso. E trasferirlo per competenza alla procura dei minori di Perugia che, al termine di una serie di indagini in cui vennero riascoltati anche gli inquirenti, tornò ad archiviarlo. La famiglia, che non ha mai creduto al suicidio, si oppose e il gip adesso ha riaperto il caso. Un caso su cui effettivamente restano molte ombre. A partire dalla posizione in cui venne ritrovato il corpo del giovane, a 13 metri dalla parete di tufo della Rupe, dalla macchia di sangue trovata distante dal corpo, fino al vuoto assoluto sugli ultimi 4 giorni di vita di Roberto, su cui nessuno ha mai saputo dire nulla. L'ipotesi del delitto, quella che gli inquirenti ora dovrebbero tornare a verificare, sarebbe legata, tra l'altro, al sospetto che il giovane potrebbe essere stato testimone indesiderato di qualcosa di assolutamente vietato. Per la presenza, vicino al luogo dove venne ritrovato il corpo, di una casa in cui vennero trovati chiari simboli satanici.

Pubblicato il: 05/01/2006

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