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Parrano. Un paese che fa storia

La vicenda economica e sociale di Parrano è emblematica di uno sviluppo monoculturale che ne condiziona ancora il futuro

Società

La recente storia di Parrano, il più piccolo comune del Comprensorio, è curiosa e per certi versi "educativa". La storia non soltanto insegna in positivo, ma anche in negativo, suggerendoci non soltanto ciò che bisogna fare, ma, soprattutto, ciò che è necessario evitare. Nel 1943 la tenuta di Parrano, di proprietà del Principe Ruspoli, viene ceduta al Prof. Vittorio Valletta, Amministratore delegato e Presidente della FIAT. Valletta creò una moderna azienda agricola di grandi dimensioni che permise, a molti ex mezzadri, di diventare salariati.

Se da una parte tale situazione contribuì a garantire un reddito "sicuro" ad un centinaio di famiglie, dall'altra ostacolò lo sviluppo di attività imprenditoriali autonome. L'azienda non generava un indotto degno di questo nome poiché risolveva tutte le attività di cui necessitava al suo interno: oltre alla manodopera agricola c'erano meccanici, elettricisti, idraulici, falegnami, fabbri, carpentieri, muratori, autisti, ecc. In pochi anni si venne così a creare una "monocultura" economica che, con il passar del tempo, si sarebbe rivelata esiziale.

Infatti, negli anni settanta, al balenar delle prime grandi incertezze economiche (crisi petrolifera, fluttuazione libera della lira con annessa svalutazione, austerity, ecc.) la "Tenuta di Parrano" entra in fibrillazione e non potendosi sostenere da sé, si assottiglia sino a sparire. La "monocultura" lasciava sul campo molti salariati già avanti con gli anni e rarissimi imprenditori e artigiani. Spariva un epoca il cui unico lascito, raccolto ben presto dai giovani, era il desiderio di fuggire lontano, alla ricerca di un futuro migliore.

Nel 1980 ciò che restava dell'azienda (un castello completamente ristrutturato, 20 casali, più di mille ettari di terreni, diverse infrastrutture, ecc.) venne ceduto ad un costruttore di Trieste, tale Mario Cividin il quale promette investimenti su un moderno impianto termale. All'inizio si fa sul serio: nel 1982 viene presentato il progetto del complesso e si inaugurano i lavori, con tanto di assessori regionali, vescovo e autorità varie. Gaio Fratini, il poeta satirico che passava molto del suo tempo libero in quel paesino tra il Chiani e il Peglia, disse che con quella cerimonia "lor singori" avevano posato sì una "prima pietra" ma "tombale". Gaio fu un profeta. Agli entusiasmi degli inizi seguirono i dissidi tra imprenditore ed amministrazione comunale. Alla fine, tra rinvii, ricorsi, nuove varianti, concessioni edilizie rilasciate e mai ritirate, del complesso termale restarono solamente alcuni orribili scatoloni in cemento armato, oggi rifugio per serpi e animali del bosco. Dello splendore di un tempo, resta un castello disabitato, diversi casali più o meno abbandonati, qualche allevamento di bestiame, e lo scorrere dell'acqua oligominerale che se ne va, silente e solitaria. Su questa vasta proprietà non sono stati effettuati né grandi investimenti per la conservazione delle strutture né, vista la particolare vocazione del territorio, investimenti per attività agrituristiche. Mentre a margine della "Tenuta" sorgono interessanti proposte legate al turismo e alla zootecnia, il castello rimane a guardia di ruderi inutilizzati, testimoni oziosi di una festa delle occasioni perdute

Pubblicato il: 21/03/2003

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