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Il 'Progetto Orvieto' dei socialisti. La relazione integrale di Franco Raimondo Barbabella

L'idea di mettere al centro della discussione del nostro appuntamento annuale l'apertura di una nuova fase di slancio progettuale generale per la nostra città e per il nostro territorio, di un nuovo Progetto Orvieto, è nata da alcune fondamentali considerazioni: viviamo un periodo difficile, di grave crisi generale in cui si inserisce una crisi locale con le sue peculiarità; sappiamo che dalla crisi generale non si esce con le politiche locali, ma è nostro il problema di cosa fare qui e subito per e nel territorio rispetto ai problemi locali; siamo convinti che nelle fasi di crisi conta molto se e come si reagisce; siamo perciò anche convinti che bisogna reagire con politiche complessive, innovative, di sistema, insomma con una logica progettuale di grande respiro. Per questo quando parliamo di nuovo Progetto Orvieto non abbiamo gli occhi rivolti all'indietro ma, proprio al contrario, invitiamo a guardare avanti, semmai con lo sguardo lungo. D'altronde - per metterla sul piano della politica generale - la coalizione di centrosinistra non può non affrontare il tema di come contribuire, anche da Orvieto, da Terni e dall'Umbria, ad arrestare il declino del Paese e riprendere un cammino di crescita e di sviluppo.

Su questo terreno Orvieto ha una sua storia, un ricco bagaglio di esperienze. Orvieto già sa che da gravi problemi si può, se si vuole e se se ne ha la capacità, uscire in avanti, non subendo ma rilanciando. E poi se la politica non è questo semplicemente non è. Si fece così con il primo Progetto Orvieto, che partì dall'urgenza del risanamento della rupe, la collocò nel quadro più generale delle esigenze di uscita dalla marginalità, elaborò una strategia per la valorizzazione delle risorse e delle vocazioni territoriali, definì un metodo di governo, mise in relazione obiettivi strutturali e obiettivi di settore e sviluppò iniziative appropriate su diversi piani, coinvolgendo tutti i livelli istituzionali. Gli effetti furono notevoli e di lungo periodo, tant'è che oggi, di fronte a rinnovate difficoltà, a quell'idea si è di fatto costretti a riferirsi per preservare conquiste faticosamente raggiunte e guardare ancora avanti.

Il quadro oggi però è completamente cambiato: non siamo più in un periodo di espansione, le risorse pubbliche sono al lumicino, la competizione si è fatta durissima. E poi le classi dirigenti hanno perso lucidità, sono quasi scomparsi il coraggio e il gusto della sfida, l'interesse particolare prevale di gran lunga su quello generale. Soprattutto, i centri decisionali si sono spostati altrove ed il nostro territorio rischia una nuova e più grave marginalità. In queste condizioni, riprendere lo spirito, la logica, il metodo, del Progetto Orvieto significa innanzitutto assumere tutti comportamenti da classe dirigente, riprendere un cammino di fiducia e di speranza, far prevalere il bene comune su ogni altra preoccupazione. Significa fare uno scatto d'orgoglio, avere il coraggio di scegliere le priorità, costruire convergenze serie a tutti i livelli e sviluppare iniziative ed attività coerenti.

Non abbiamo la pretesa di costruire noi il nuovo progetto Orvieto. E non ci interessa certo un dibattito nominalistico: se qualcuno è infastidito dal nome, possiamo cambiare il nome, ma non potrà cambiare la sostanza dei problemi che dobbiamo affrontare. Noi vogliamo semplicemente porre le premesse di un percorso, nel quale peraltro non vediamo solo un ruolo delle forze politiche e delle istituzioni elettive, ma dei soggetti sociali, delle forze imprenditoriali e del mondo del lavoro. Tuttavia noi riteniamo sbagliato scambiare la partecipazione con il partecipazionismo, cioè con un paravento demagogico che in realtà nasconde una concezione elitaria e manovriera della politica. La politica per noi è innanzitutto capacità di proposta e assunzione di responsabilità, è riduzione al limite dell'annullamento della distanza fra il dire e il fare, è riconoscibilità e coerenza. Certo senza pretesa di perfezione, ma almeno senza inganni, perché davvero così ci si può aprire ai giovani con la speranza che abbiano un ruolo non subalterno. In una logica progettuale tutti sono chiamati a fare la loro parte in un disegno fortemente condiviso. E riteniamo anche che bisogna fare presto. Oggi, molto più di ieri, il tempo è un investimento, anche perché l'attesa fa solo incancrenire i problemi mentre la tempestività delle decisioni e delle scelte spesso vuol dire cogliere opportunità che quasi mai si presentano due volte.

Come si vede, stiamo mettendo in prima linea questioni immateriali, di metodo, di orientamento e di cultura di governo, non semplicisticamente contro qualcosa o qualcuno, ma soprattutto per fare, per ottenere risultati. Siamo convinti che le parole chiave siano sempre le stesse: sicurezza, fiducia, speranza. Una classe dirigente che elabora idee e sa dare messaggi positivi sa anche attrarre investimenti, in particolare in un periodo così difficile. Dunque la partenza della nuova fase progettuale non può che essere la messa a verifica di alcune idee di fondo. Proviamo a tematizzarla.

1. Adottare una logica di sistema
Adottare o riscoprire o rilanciare, non importa quale sia il verbo giusto. E' certo però che pensare e agire con logica di sistema, fare sistema, è diventata ormai una assoluta necessità. Soprattutto per un territorio come il nostro che ha debolezze strutturali non superate e nuove debolezze che si accumulano per mancanza di strumenti adeguati di competitività. Si veda l'ultimo bollettino economico del Comune di Orvieto. Si è parlato spesso di filiere. In realtà si dovrebbe parlare di sistema territoriale integrato, un insieme di sottosistemi dialoganti, in modo tale che lo sviluppo di un settore potenzi anche gli altri settori collegati e viceversa. Un solo esempio: agricoltura di qualità - enogastronomia - turismo.

2. Avere un ruolo riconoscibile e riconosciuto
Il Progetto Orvieto degli anni '80 puntò proprio su questo: assumere quell'unicum rappresentato dal patrimonio storico-artistico-ambientale della città antica e del territorio circostante come ricchezza e non più solo come patrimonio da conservare con fatica, trasformandolo dunque in risorsa straordinaria capace di generare sviluppo di ordine generale. C'era lì un'idea di città e del suo ruolo in un contesto più vasto, nazionale ed internazionale, un ruolo che in una certa misura siamo riusciti, con estrema caparbietà e pagando prezzi salati, a conquistarci. Quest'idea però, per dare tutti i suoi frutti, presupponeva tante cose e fra queste una politica regionale coerente di valorizzazione delle specificità territoriali, ciò che è avvenuto solo in piccola parte. Anzi, per molti versi si è affermato un neocentralismo non dichiarato che rappresenta ormai un vero e proprio ostacolo allo sviluppo. Bastino per tutte le vicende dell'università, del riuso dell'ex caserma Piave (non è stato previsto un solo euro) e dell'uso industriale dell'impianto di Le Crete. Ma c'è dell'altro e non è meno preoccupante. Si tratta del progressivo trasferimento fuori dal territorio dei centri decisionali, e dunque di risorse, da quelle finanziarie a quelle di lavoro ed al know-how: ad es. nel sistema bancario, nella sanità, nei servizi a rete. E la riforma endoregionale, con lo snellimento istituzionale annunciato e con la costituzione degli ambiti territoriali, non sembra che fermerà e tantomeno invertirà, se le cose resteranno come sono oggi, questo processo di impoverimento di autonomia decisionale e di risorse disponibili, senza peraltro benefici visibili di aumento di efficienza e di risparmi per i cittadini. Pertanto un progetto generale di rilancio dello sviluppo deve avere al centro proprio questo problema del ruolo della città e del territorio nel sistema provinciale e regionale. E non si tratta certo di rivendicare posti nei nuovi organismi e nei loro CdA, ma di definire regole chiare, funzioni precise, benefici tangibili, senza furbizie e colpi di mano. Su questo piano riteniamo ormai inevitabile l'apertura di un confronto serrato con le altre istituzioni, che non può essere condotto da singoli soggetti, ma dal complesso delle forze della città.

3. Mettere a sistema le risorse
Come abbiamo detto, le risorse pubbliche sono al lumicino. Possiamo e dobbiamo sottolineare le responsabilità del governo di centrodestra, e ciononostante dobbiamo fare il nostro dovere. A tutti i livelli perciò è necessario non solo usare bene ciò che si ha, risparmiare, razionalizzare, ma anche unire, concentrare nei punti nevralgici. Le politiche pubbliche di bilancio debbono essere improntate non solo a migliorare la spesa per non aumentare tasse e tariffe, ma a liberare al massimo possibile risorse per lo sviluppo. E questo vale anche per il bilancio del Comune di Orvieto. Inoltre e contestualmente dobbiamo aprire un tavolo di confronto istituzionale perché le risorse disponibili convergano sui progetti che riteniamo prioritari per uno sviluppo di sistema. Ancora, dobbiamo sapere che fa parte della messa a sistema delle risorse, l'uso corretto e produttivo delle risorse umane, anche nel senso di valorizzare le competenze e di mettere le persone giuste al posto giusto. Da ultimo, ma non certo in ordine di importanza, dobbiamo fare una scelta di fondo, quella di favorire gli investimenti privati, sia con appropriati strumenti di programmazione e con scelte progettuali capaci di stimolare il mercato, sia dando certezze e conquistando credibilità. Le imprese debbono fare il loro mestiere, la politica deve solo occuparsi delle scelte strategiche per il buon governo della cosa pubblica e della creazione di un clima favorevole a chi sa, vuole e può fare sapendo di rischiare in proprio.

4. Stabilire una scala di priorità
Le risorse di cui possiamo disporre - in termini non tanto finanziari quanto di potenzialità e di opportunità - non sono certo enormi, però ci sono e sono le stesse che abbiamo cercato di valorizzare nei decenni trascorsi: il patrimonio storico-artistico-culturale, il patrimonio ambientale, le produzioni agricole di pregio, l'enogastronomia, le aziende artigiane e della piccola industria, un nascente mondo di servizi moderni, in particolare nell'ambito della formazione. Ma, per ragioni complesse che in parte abbiamo detto sopra, non c'è stato un decollo, l'acquisizione di un ruolo riconosciuto e un'adeguata competitività. Le sofferenze in termini di capacità di risposta alla domanda quantitativa e qualitativa di lavoro, soprattutto dei giovani, sono evidenti. Allora, costruire un grande progetto di sviluppo vuol dire, lo ribadiamo, concentrare le risorse in punti strategici che facciano da volano e da caratterizzazione dell'intiero sistema. Ad es. se si ritiene, come non può non essere, che il sottosistema turismo-cultura-ambiente sia una priorità strategica, allora lì va concentrato il massimo di energie, che non vuol dire solo di soldi, perché si imponga con caratteristiche peculiari di qualità, e dunque realmente competitive, sul piano nazionale e internazionale. E si deve collegare a questo l'altro grande sottosistema delle produzioni agricole di qualità e dell'enogastronomia. Però si deve anche sapere che il sistema territoriale ha assoluto bisogno di una base produttiva solida, innovativa, diffusa, che non può fare a meno né dell'artigianato, né del manifatturiero, tantomeno del commercio, anche perché altrimenti non regge non solo il sistema produttivo ma lo stesso tessuto sociale complessivo. Dunque, fare sistema e scegliere una scala di priorità sono un tutt'uno, richiedono cioè una visione armonica. In questo senso non possono non essere messe a fuoco almeno altre quattro priorità: la disponibilità di efficienti infrastrutture e servizi telematici, l'ammodernamento della rete stradale, l'adeguamento della rete commerciale, la disponibilità di servizi bancari finalizzati allo sviluppo e non al puro drenaggio del risparmio.

5. Scegliere il motore che può far scattare la macchina
Tutti ci siamo trovati d'accordo nel sostenere che la rifunzionalizzazione dell'ex caserma Piave è la grande opportunità che oggi ha Orvieto per rilanciare lo sviluppo del territorio mediante uno scatto nei settori vitali del turismo, della cultura, della formazione, dei servizi moderni e di qualità. Insomma, fare un'operazione di alto profilo sia per quanto concerne le destinazioni sia per quanto concerne tutti gli altri aspetti, dalle soluzioni architettoniche a quelle tecnologiche, dalle connessioni con il contesto urbano e territoriale alla collocazione nei segmenti alti del mercato nazionale e internazionale. Un'operazione capace dunque di generare sistema, cultura dell'organizzazione, spinta all'innovazione, e soprattutto nuova e diversificata occupazione. Un complesso di scelte non in sostituzione dell'esistente o di sovrapposizione ad esso, ma integrative, di potenziamento, di scatto. E' con questo taglio che, sulla base degli indirizzi stabiliti dal Comune, ha agito coerentemente Risorse per Orvieto, la Società costituita appositamente per la gestione di questa importante e delicata operazione. Non è qui il caso di illustrare di nuovo i contenuti del business plan discusso lo scorso 22 giugno dal Consiglio Comunale, ma è chiaro che il consenso molto vasto ottenuto sulle scelte di fondo dimostra che quel documento ha colto l'essenza delle questioni ed ha prospettato soluzioni credibili, al là del fatto che alcune modifiche si sapeva in anticipo che si sarebbero dovute apportare soprattutto per la parte di pertinenza pubblica. Dunque in ogni caso un largo consenso.

Il fatto è però che agli ostacoli frapposti all'azione di RPO nella fase che ha preceduto ed accompagnato l'elaborazione del business plan sono stati aggiunti più pesanti impedimenti dopo la sua approvazione da parte del Consiglio Comunale, fino al blocco delle attività che di fatto è stato imposto ormai da parecchi mesi per motivi che ci sfuggono e che in realtà sfuggono ai più. Lo SDI è in completo disaccordo con chi ha prodotto questa situazione sia per la sostanza, sia per il metodo, che nulla ha a che vedere con un corretto e produttivo dibattito politico, né con la distinzione delle competenze tra politica e amministrazione, né con il rispetto delle responsabilità di chi è incaricato di far funzionare una SpA, né, ed è l'aspetto più grave, con gli interessi vitali della città. Dunque la partita che ormai è aperta ha natura emblematica: o si decide che l'operazione ex Piave è realmente una priorità e ci si comporta di conseguenza mettendo RPO in condizione di operare secondo il mandato ricevuto, oppure tutti gli altri discorsi sono solo discorsi. E la decisione ha ormai tempi praticamente quasi scaduti.

Con le riflessioni e la trattazione dei punti precedenti, lo vogliamo ancora ribadire, non abbiamo certo voluto presentare un progetto compiuto di sviluppo, ma solo indicare temi fondamentali di una discussione che auspichiamo si possa aprire quanto prima fra le forze politiche, le forze sociali, economiche e culturali della città, avendo nel Comune, nella sua diversa articolazione istituzionale, il punto di riferimento e il punto di forza. In questo senso auspichiamo che venga costituito rapidamente quel tavolo di confronto, una specie di costituente del nuovo Progetto Orvieto, di cui si è insistentemente parlato nell'estate scorsa nel quadro del dibattito sulla cosiddetta cava di Benano.

Concludiamo con un'ultima riflessione. Romano Prodi, domenica 27 novembre, ha detto: "L'Italia è davvero in declino. Il declino però si può fermare e invertire. Per farlo c'è bisogno di riforme forti, profonde". Noi siamo assolutamente d'accordo e vogliamo partecipare attivamente a questo impegno per il futuro del nostro Paese. Ma vogliamo farlo in concreto, esercitando in modo pieno le nostre responsabilità laddove effettivamente le abbiamo. E crediamo fermamente - riprendendo un vecchio ma sempre attuale pensiero - che dove governa, il centrosinistra debba dare l'esempio, e perciò, quando è necessario, ed oggi lo è, bisogna avere il coraggio delle riforme e anche delle autoriforme. Solo così si può dare un contributo generale facendo il proprio dovere sul piano locale. Ci auguriamo dunque di poterci confrontare proficuamente e nei tempi giusti con gli altri sulla piattaforma di riflessioni e di idee che con questo documento abbiamo proposto.

Pubblicato il: 05/12/2005

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