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Vescovo, politica, Fondazione CRO. Cose orvietane

Pier Luigi Leoni interviene nel dibattito cittadino aperto dal vescovo. E anche sulle vicende della Fondazione CRO...

foto di copertina

di Pier Luigi Leoni

La recente intervista che il Vescovo di Orvieto ha rilasciato a Stefania Tomba appartiene evidentemente al genere omiletico. Cioè si tratta di una omelia sotto forma di intervista. Orvieto, come moltissime cittadine del mondo occidentale, è abitata prevalentemente da cristiani tiepidi mescolati ad ateisti occulti o dichiarati. Non è peggiore di tante altre, anzi l'aspetto sonnacchioso riesce gradito a chi cerca la quiete. Le filiali bancarie, che spuntano come funghi, sono la prova che mediamente si guadagna più di quanto si spende. Monsignor Scanavino si preoccupa di portare le anime in paradiso, e sa che la strada non è quella generalmente praticata in Orvieto. Gesù ha detto "senza di me non potete fare niente", questa è la fede di monsignor Scanavino e di tanti cristiani come il sottoscritto. Quindi la felicità non viene dal denaro e dalle altre cose desiderabili che offre il mondo, ma dalla fede. E ai suoi fedeli Gesù ha promesso la vita eterna e il centuplo quaggiù. Il Vescovo, a mio parere, cerca di farci capire che rinunciare a una vita eterna nella quale non si crede è un peccato, anzi è "il peccato" contro lo Spirito Santo, che non potrà esserci perdonato.  Però è una scelta, benché terribile, di libertà. Invece il rinunciare al centuplo quaggiù è solo una fesseria. E Orvieto è piena di manifestazioni di fesseria. Il Vescovo sfiora più o meno leggermente tutti i centri del potere orvietano. Avverte la classe politica che il lungo potere offerto da libere elezioni (ma anche, aggiungo io, dal controllo clientelare dell'elettorato) si è incartato, e l'apertura ai giovani sarebbe un modo saggio di rinfrescare, se non di cambiare l'aria. Accenna alla gestione del casermone, dalla quale peraltro la destra, per una scelta che io cercai di evitare, volle restar completamente fuori. Ma in merito lascio la parola al mia amico Franco R. Barbabella, presidente della società pubblica che si occupa della gestione di quel complesso patrimoniale. Quanto all'Opera del Duomo, Monsignor Scanavino difende indirettamente, e comprensibilmente, il nuovo assetto bipartisan, che egli ha favorito.

 

La maggiore attenzione è dedicata dal Vescovo alla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto. Evidentemente è rimasto scosso, essendo socio di diritto, dalle diatribe non ancora sopite in seno all'assemblea. In una focosa riunione, quei signori distinti che compongono l'assemblea (tra i pochissimi senza cravatta c'eravamo io, il vescovo e mons. Pettinelli) si sono detti, un po' più schiettamente del solito, ciò che pensano gli uni degli altri. Ma, stando alle dichiarazioni del Vescovo, non mi è chiaro se egli abbia potuto percepire tutti i vari aspetti della situazione. Sembrerebbe che il problema stia tutto in conflitto di potere tra chi occupa comode poltrone e chi vorrebbe occuparle. Effettivamente, gestire milioni di euro altrui è considerato da molte persone uno dei piaceri più estremi. C'è lo zampino del diavolo, anche se ormai al diavolo ci crediamo in pochi. È vero che chi gestisce non vuole mollare, anche perché una fetta succulenta di quel denaro finisce lecitamente (ma, a mio avviso, poco opportunamente) in poche tasche. Ma c'è anche chi vorrebbe che fosse riscoperto e valorizzato quello che è lo spirito della Fondazione: l'impiego oculato, disinteressato e altruistico di fondi per incidere positivamente sulla realtà orvietana e su quella di altre cittadine che, con il lavoro e il risparmio, hanno consentito che la Cassa di Risparmio di Orvieto accumulasse un certo patrimonio. I grossi investimenti e le grosse erogazioni di denaro vengono realizzati senza uno straccio, non solo di partecipazione pubblica, ma nemmeno di partecipazione dell'assemblea dei soci della Fondazione. Inoltre il bilancio presenta una quantità veramente inopportuna di micro sovvenzioni a comitati, club, associazioni e via dicendo. Questa politica, quando è praticata dai Comuni, può essere ascritta agli inevitabili inconvenienti della democrazia rappresentativa, nella quale i voti si contano e non si pesano. Ma le Fondazioni dovrebbero costituire proprio il contrappeso alle difettose, benché preziose, istituzioni democratiche. Le Fondazioni dovrebbe rivolgere le loro attenzioni esclusivamente agli interessi generali della popolazione, realizzando interventi efficaci per chi si trova in situazioni di svantaggio e per chi lavora, producendo i mezzi per la vita e lo sviluppo della società. È con questa puntualizzazione che mi associo al mio Vescovo nell'auspicare, in seno alla Fondazione, un confronto aperto e un "dialogo maggiore". Ciò potrà avvenire quando il vertice della Fondazione la smetterà di arroccarsi sulle consuete posizioni, di espellere soci senza un cavalleresco confronto, di distribuire risorse senza un minimo di dibattito, di aggiustare statuto e regolamento per limitare i poteri dell'assemblea.

Pubblicato il: 11/11/2005

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