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Perché maggioranza e minoranza guideranno insieme la quercia orvietana

Approfondimento

di Platone
Un partito non può essere gestito a maggioranza perché non è una coalizione. E, per qualche tempo (troppo), nei Ds, ha funzionato così. Il congresso di Pesaro ha lasciato un'eredità di ingestibilità a Fassino e alla maggioranza. Forti di un quasi 70% di consensi hanno pensato di portare avanti a colpi di maggioranza la linea del partito. Senza pensare che se qualcuno ti toglie ogni diritto a casa tua, tu te ne alzi e ne fai un'altra dove non ti senti ospitato. I risultati prodotti sono stati devastanti. Basta vedere, ad esempio, il numero degli iscritti e la forte litigiosità interna che, come nel domino, s'è riprodotta in modo gigantesco a casa di un Ulivo straziato da leader che non erano più tali fin dal giorno successivo alle elezioni politiche.

Così, in un centro-sinistra che risultò immediatamente anomalo (in altri paesi europei chi perde le elezioni a sinistra va a casa, in Italia resta personalmente o per procura sul ponte di comando), la maggioranza di Berlusoni trovava il suo miglior concime per crescere, proliferare e assalire lo Stato.

Sui territori, a casa dei Ds, non è poi stato diverso. Con alcune realtà dove la sinistra interna aveva vinto, a far da riserva indiana e a inasprire i rapporti interni.

Ad Orvieto i Ds, in una fase, hanno rischiato di far la stessa fine della locale Forza Italia. Attacchi frontali e personali, dimissioni e richieste di dimissioni, parole pesanti ed estati caldissime.

Quando si è poi capito che il rischio reale non era quello della soddisfazione di una corrente politica ma bensì quello dell'annullamento reciproco (un'altra scissione nei Ds poteva significare morte per entrambi), allora la ragione è scesa dalla luna e l'acredine ha ceduto il passo alla discussione.

Per una volta non è una scelta di comodo ma una scelta di sopravvivenza. Per una volta si ragionerà insieme e si sceglierà una linea perché spinti dalla "classica" necessità che diventa "virtù". Insomma, gli interessi generali hanno preso il sopravvento sui personalismi che avevano messo in crisi il partito, anche ad Orvieto. Non ci sarà falso unitarismo ma rispetto delle posizioni diverse, dialogo, confronto e scelte. Ed il merito principale è di quattro questioni fondamentali.

La gente, quella semplice, è tornata a far politica. Ed a farla nella sede migliore, quella movimentista e delle agorà: le piazze. Quando Moretti da San Giovanni, o Cofferati dal Circo Massimo, o i new global hanno mostrato di avere dietro di sé milioni di persone, e di rappresentarle non per grazia ricevuta ma per scelta, i Ds in primo luogo e il centro sinistra hanno avuto modo di interrogarsi e di capire che si doveva cambiare rotta. Ad onor del vero è giusto affermare che, nel centro sinistra, se ne sono accorte per prime alcune componenti cattoliche.

Stare all'opposizione (o a livello territoriale rischiare di andarci) ha dato lo stimolo per dire: "pensiamo un po' meno a litigare fra noi e un po' di più a comprendere su quali errori è bene meditare e come fare a rimettere insieme i pezzi di una coalizione ormai in coma quasi irreversibile".

La paura di una guerra, ingiusta e illegittima. La certezza di essere almeno quasi tutti d'accordo e di rappresentare (al contrario di quanto accadde per i bombardamenti nato sulla Yugoslavia) il sentimento italiano fatto di bandiere della pace e pacifismo convinto e non strumentale.

Il peggior governo della Repubblica, fatto di interessi personalissimi, leggi salvaladri, leggi salvapreviti, leggi salvaleader, condoni tombali.

Ci sono voluti due anni, alla politica, ai Ds, al centro sinistra per capire che continuare a litigare avrebbe significato dare a Berlusconi la possibilità di trasformare questo Paese nella peggiore Italia possibile. Speriamo che lo abbiano capito per davvero. Sia a livello locale che a livello nazionale.

Pubblicato il: 15/03/2003

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