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Un'agricoltura di qualità

Presentati al Palazzo dei congressi di Orvieto i risultati del v° censimento genarale dell'agricolture. Bene le produzioni di qualità

Economia

Qualità nella produzione ma anche segnali di innovazione nel settore degli allevamenti; aumento del numero delle aziende agricole, della superficie totale e della superficie agricola utilizzabile; alta presenza di micro aziende (il 76,51% delle aziende del comprensorio hanno una superficie non superiore ai cinque ettari); il tipo di conduzione prevalente è quella diretta del conduttore (94,33%), mentre la conduzione con salariati interessa solo il 5,62% delle aziende. Questi i dati che risaltano all’occhio subito dopo la presentazione del quadro agricolo del comprensorio orvietano. Ieri, infatti, al Palazzo dei Congressi di Orvieto - a piazza del Popolo - c’è stata la presentazione del V° censimento generale dell’agricoltura. «Anche se è più corretto parlare di mondo rurale più che di agricoltura in senso stretto - spiega il coordinatore della manifestazione Amedeo Ciriello, direttore centrale dell’Istat -». In effetti - si legge in una dispensa consegnata ai partecipanti al convegno e redatta da un dirigente Istat, Bruno Massoli - «le modificazioni socioeconomiche e strutturali verificatesi nel settore agricolo in quest’ultimo decennio, a seguito anche delle politiche comunitarie esplicitatesi con la riforma della Pac (Politica agricola comune) e con il varo di Agenda 2000, hanno imposto un riposizionamento dell’agricoltura italiana tale che appare più razionale abbandonare il tradizionale concetto di mondo agricolo ampliandola a quello di mondo rurale». I rapporti dell’azienda agricola con l’ambiente socioeconomico circostante, oggi sono diventati più complessi, così come sono cambiati i metodi di organizzazione della produzione e del lavoro, ci sono nuove forme di imprenditoria. Per questo ed altri motivi l’agricoltore, da soggetto fornitore di cibo e di manodopera per gli altri settori economici, «è stato sempre più accreditato dalla società - si legge – quale fornitore di servizi e benefìci ambientali, nonché di tutela e salvaguardia del patrimonio paesaggistico». Da qui l’inadeguatezza delle definizioni di imprenditore agricolo (in poche parole colui che coltiva il fondo, alleva il bestiame e si dedica alla selvicoltura) vecchio stampo; e la presa di coscienza di costruire un «nuovo e più reale rapporto tra contribuente ed agricoltore, reclamando nel contempo tutti i necessari sostegni pubblici al settore per i grandi benefici che questo apporta alla qualità della vita per la globalità della popolazione».

Così il legislatore è intervenuto con una norma più moderna, rispondente alla realtà delle cose: si chiarisce innanzitutto come sia sufficiente l’esercizio di una delle attività principali – coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali – per essere definiti imprenditori agricoli. Viene poi sostituita la parola «bestiame» con la parola «animali», superando definitivamente interpretazioni restrittive che confinavano l’allevamento di animali diversi da quelli tradizionali (bovini, suini, ovini, caprini ed equini) tra le attività connesse nell’ambito di un’impresa di coltivazione del fondo. Anche se l’innovazione principale riguarda la nuova individuazione delle attività connesse: l’interpretazione della nuova normativa è più larga intendendo connesse quelle attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti. Naturalmente le attività connesse non potranno prevalere sulla principale, cioè l’attività agricola, ma concorrono a potenziare il ruolo dell’azienda agricola in una visione moderna ed ampia delle funzioni dell’agricoltura. Senza trascurare l’aspetto ecologico.

Ma ritorniamo ai dati sull’Orvietano: ricordiamo che tali dati sono il risultato di un lungo e complesso processo che inizia nel novembre 1999 con l’aggiornamento dell’elenco delle aziende agricole reso disponibile dall’Istat (l’Istituto nazionale di statistica, proprio in questi giorni sotto il fuoco della critica per l’errore nella rilevazione dei dati sull’inflazione) ai Comuni. Questa fase di aggiornamento si conclude nel giugno 2000. Ma è ad ottobre 2000 che prende avvio il censimento vero e proprio, seguito dalla registrazione, il controllo, la validazione e la diffusione dei dati nel giugno 2002. Si diceva dell’aumento delle aziende agricole, della superficie totale e di quella utilizzabile. Incrementi superiori a quelli segnati in provincia e in regione. E che sono da ascriversi ai buoni risultati ottenuti nei comuni di Orvieto, Parrano, Monteleone e Montegabbione; mentre per gli altri centri del comprensorio siamo in presenza in parte del fenomeno della polverizzazione delle aziende: ad un aumento del numero di esse, corrisponde una diminuzione sia della superficie totale che di quella utilizzata. Ad Allegrona, Fabro e Porano, invece, si è avuta una riduzione strutturale del settore agricolo nel suo insieme. Altro dato: l’Orvietano si caratterizza per la maggiore presenza, rispetto al dato di Terni e Umbria, di micro aziende. Il 76,51% delle aziende dell’area orvietana hanno un’area che non supera i cinque ettari. A livello provinciale si ha un 76,81% mentre a livello regionale 69,96%. In particolare la presenza di piccole aziende si ha a Castel Viscardo e Montecchio, dove tale quota rappresenta l’88,61 e l’85,17% del totale delle aziende. La gestione è affidata prevalentemente al conduttore (conduzione diretta), mentre i salariati conducono l’azienda solo nel 5,62% dei casi. Nella conduzione diretta per il 92,98% si ricorre esclusivamente alla manodopera familiare, nel 4,3% dei casi si tratta di manodopera familiare prevalente e solo il 2,71% delle aziende è gestito ricorrendo prevalentemente alla manodopera extra familiare. Rispetto al censimento del ’90 a Castel Giorgio, Castel Viscardo, Fabro, Ficulle, Montecchio e Porano aumentano le aziende condotte con salariati. A Orvieto, Porano, Ficulle, Baschi e Allerona aumenta la gestione diretta con manodopera familiare prevalente.

Andiamo alle coltivazioni. La superficie utilizzata (circa 33 mila 564 ettari) è destinata per il 58,59% a seminativi e orti familiari, per il 23,28% alle coltivazioni legnose agrarie, il 18,13% a prati e pascoli. Nei comuni del comprensorio le quote maggiori di superficie utilizzata sono destinate per lo più a seminativi e alle coltivazioni legnose. Fanno parzialmente eccezione Montegabbione, Parrano, Fabro e Allegrona dove le coltivazioni legnose sono sostituite da prati e pascoli. Le aziende orvietane che coltivano i cereali sono 1396, quelle che coltivano piante industriali sono 504; molto più diffusa è la coltivazione delle legnose agrarie che troviamo presso 3357 aziende. Ma ciò che interessa di più, per la qualità dei prodotti, è il dato sui vigneti: essi sono presenti presso 3357 aziende, di queste 929 producono vini Doc e Docg (marchi di qualità sulle origini delle uve controllate e garantite), 14 uva da tavola e le restanti altri tipi di vino. Aumentano al riguardo le aziende vinicole, per le quali si registra nel decennio un incremento del 10,72% ed un aumento della superficie del 10,61%. Diminuisce, e questo è un dato sintomatico, il numero di aziende che coltivano vitigni non doc, mentre sale il numero e la superficie delle aziende nelle quali è presente la coltivazione di vitigni per la produzione dei vini doc e docg. Infatti, si delinea un netto spostamento delle aziende verso la produzione di vini di qualità, basti pensare che nel comune di Orvieto l’area investita è pari a 1611 ettari ed è cresciuta rispetto al 1990, in valore assoluto, di 600 ettari. In sintesi è possibile concludere che l’Orvietano si conferma una zona per lo sviluppo della produzione di vini doc e docg, infatti la superficie adibita a vini di qualità è di circa 2670 ettari. E ciò che più conta è che essa rappresenta il 49,09% della superficie utilizzata a livello regionale. Le aziende più estese del comprensorio dove si produce doc e docg si trovano ad Orvieto e Montegabbione, dove la superficie media è, rispettivamente, di 3,41 e 5,59 ettari.

Infine, un’altra coltura si evolve molto più che nel resto della regione: la coltura dell’olivo. Il numero delle aziende aumenta del 18,6% e anche la superficie aumenta del 53,37%.

Pubblicato il: 21/02/2003

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