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Confcommercio. Un superrmercato alla Piave ucciderebbe le attività esistenti

Così il presidente Santi contro Cortoni. "Non verrà creata nuova ricchezza e sviluppo ma si contribuirà ancor più ad accelerare la desertificazione commerciale che la crisi del piccolo commercio produce"

foto di copertina

di Dante Freddi

Giuseppe Santi, presidente di Confcommercio, interviene nel dibattito sulla possibile collocazione di un supermercato nella ex caserma Piave, tra le altre destinazioni immaginate. La discussione è utile, anche se ad ora verte comunque su ipotesi, poco più che "boutade" gettate lì da qualcuno per verificarne gli esiti. "Ballon d'essai", che comunque servono. Infatti, un documento ufficiale sul destino della Piave ancora non è pubblico e Franco Raimondo Barbabella, presidente RPO, è troppo navigato ed attento per lasciarsi sfuggire notizie non convalidate dal socio di maggioranza della sua SPA, il Comune di Orvieto.
"Ex Piave": la chimera del commercio", titola Santi il pezzo della Confcommercio, che si contrappone al contributo offerto da Fabrizio Cortoni e pubblicato nella rubrica "Corsivi". La visione dei due schieramenti di addeddi ai lavori è opposta e devo rilevare, per aver seguito negli ultimi anni con attenzione le posizioni di Confcommercio, che c'è in Santi uno stile riflessivo e realistico davvero inusuale. Sembra essersi spenta l'enfasi politica a vantaggio di una maggiore attenzione ai problemi veri e quotidiani della sua categoria.

"Seguiamo senza entusiasmo- dice Santi- ma certo con l'attenzione che comunque va riservata alle discussioni sull'economia cittadina,  il dibattito che si è aperto sugli organi di informazione locali sul possibile destino commerciale, quanto meno di una parte della "Ex Piave".

La proposta che leggiamo riguarderebbe la realizzazione di un supermercato alimentare di 1.500 mq di superficie di vendita che potrebbe, oltre a dare un servizio agli abitanti della rupe, frenarne l'esodo verso altri centri commerciali, naturali o artificiali.

Vorrei rassicurare subito i fautori della proposta almeno sulla coerenza della posizione di Confcommercio; noi-continua il presidente- siamo contrari alla realizzazione di un ipermercato di un solo operatore ad Orvieto Scalo per la stessa ragione per cui osteggiamo il supermercato che viene auspicato nel centro storico: i flussi e le dinamiche di consumo dell'intero bacino commerciale comprensoriale orvietano non giustificano e non consentono nuovi significativi insediamenti distributivi se non a scapito delle attività esistenti

Insomma, chi sogna questi nuovi templi del consumo deve sapere che non verrà creata nuova ricchezza e sviluppo ma si contribuirà ancor più ad accelerare la desertificazione commerciale che la crisi del piccolo commercio produce; in particolare una media struttura di significative dimensioni nel cuore della rupe ridotta ormai ad ospitare circa 5.500 residenti avrebbe il solo effetto di drenare i consumi di quasi tutti i piccoli negozi food, oltretutto offrendo qualità anche inferiore.

Il problema vero, che si tenta maldestramente di eludere, è che l'esodo dei consumi  degli abitanti dei centri storici verso le offerte diversificate e massificate dei centri e dei villaggi commerciali - vicini o lontani- è ineluttabile e tipico dei comportamenti d'acquisto moderni (ci piaccia o no): secondo Confcommercio la risposta vincente di quello che amiamo definire "l'altro commercio" che ad Orvieto non può che essere "piccolo commercio", è il negozio di vicinato di qualità e possibilmente di nicchia, per i nostri concittadini ma anche per i nostri visitatori.

Vorrei comunque confortare ulteriormente i tifosi del supermercato-conclude Santi- su ciò che veramente mi sembra l'argomentazione che taglia la testa al toro: se sulla rupe ci fossero state le condizioni di contesto, economiche e dei consumi, per far prosperare questa tipologia distributiva, possiamo essere certi che qualche operatore della Grande Distribuzione o della Distribuzione Organizzata avrebbe già bussato alle porte della Risorse per Orvieto per proporre l'investimento e probabilmente anche alcuni operatori locali del settore, tra quelli che non si sono dati per vinti e che puntano al proprio rafforzamento aziendale, avrebbero magari creato una aggregazione consortile per proporre un loro progetto.

Nessuno si può permettere di pensare che un'intera categoria sia miope o svogliata: dovremmo  forse  con umiltà valutare se le ragioni  qui prospettate hanno un fondamento".

Pubblicato il: 17/02/2005

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