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Orvieto e futuro. Signore, liberaci dalla banalità

Analisi leggere e superficiali, proposte di "lodatatori del tempo peruto" che vanno verso il passato. Poco stile, pensierini a rasoterra. C'è bisogno di una svolta radicale nel confronto politico amministrativo

foto di copertina

di Dante Freddi

Vorrei conoscere un centro storico che è riuscito a trattenere la popolazione, le attività commerciali e quelle della vita di tutti i giorni, scuole e palestre e servizi, ed ha espulso selettivamente soltanto quelle imprese che non erano più compatibili con l'ambiente, fabbri, idraulici, magazzini.

Tutti hanno la città che vorrebbero, spesso quella in cui si è vissuti da giovani, previo adeguate migliorie. Tutti hanno ricette per come si sarebbero dovuti comportare sessant'anni di amministratori perché Orvieto fosse una città prospera, piena di gente giovane che abita nel centro storico e lo anima, culturalmente vivace, con studenti che scorrazzano nelle le viuzze del centro, per andare a scuola, anch'essa sotto l'ombra del Duomo. Comprano panini e pizzette, dànno voce alle vie, almeno per mezz'ora. Bei ricordi, ma che diventano banali luoghi comuni se si spacciassero per progetti. E l'andazzo è quello.

Da destra continua questa manfrina della città svuotata e degradata, da sinistra c'è il controcanto del Manifesto, che tra diverse cose serie si va a perdere in giudizi da no global di periferia. E allora viene fuori che il progetto ipotizzato da Risorse per Orvieto, che prevede "alberghi, sale espositive per mostre internazionali e università nella vecchia area della caserma piave", " Se lo si realizzasse, con capitali (e guadagni) internazionali, si lascerebbe ai nativi il ruolo di custodi con mansioni di servizio e pochi spiccioli come mancia. Questo localmente è ciò che fa globalmente il Fondo Monetario Internazionale che depreda e inaridisce le zone più povere". Siamo alla farneticazione.

L'unica persona che ha prodotto negli ultimi anni un'indagine lucida su come sono andate le cose nell'ultimo mezzo secolo, più o meno condivisibile, ma solida, intelligente e fuori dalla banalità, è stato Pier Luigi Leoni, nel suo libello cult "Orvieto Kapput. La vendetta del villano". Mai abbastanza rimpianto, emigrato a Castel Giorgo, ha lasciato un vuoto nella "critica politica" che hanno colmato "lodatori del tempo perduto" da bar dello sport.

Se il mito di città evocato in questa moda onirica è la città "medievale", raccolta, vissuta, rallegrata dalle grida di mercanti ed artigiani e acquirenti, in un equilibrio finalmente ristabilito, siamo davvero alla frutta. Ad Orvieto sta prevalendo, in moltissimi temi, dagli anziani alla salute all'economia,  la tendenza a pontificare e non studiare. C'è un produzione  di "trattazioni" di senso comune, magari anche di buonsenso, ma non suffragate da un ragionamento, da qualcosa in grado di trasformare delle idee in pensiero, costruito ed  argomentato. Manca la disponibilità ad ascoltare, tutti sanno di tutto, amministrazione, politica e sport vengono trattati con il medesimo approccio.

Mancano i partiti, manca la formazione ordinata, l'abitudine al confronto ed all'espressione regolata e produttiva.

Signore, dàcci di nuovo la "Vecchia balena", le scuole di partito del PCI, le piazze piene, le grida alte, la passione traboccante. Signore, liberaci da dirigenti autoreferenziati, da politici che non hanno coscienza delle  regole della politica, dai cittadini che li alimentano. Signore, liberaci.

 

 

Pubblicato il: 14/02/2005

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